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GAMBADELEGN
Registrato: 05/02/09 15:09 Messaggi: 156 Residenza: ovunque il mondo non sia piatto
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Inviato: Mer Feb 16, 2011 1:47 pm Oggetto: "IO, ISTRUTTORE" - THE END |
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Come spesso accade, durante il rientro, dopo una via di montagna, il silenzio cementa il gruppo.
Forse perché l’adrenalina, ritirandosi come un’onda dopo avere bagnato la spiaggia, lascia solo una sensazione di grande pace: di vuoto e di dubbio. Le sue conchiglie.
Quasi una sottile sconfitta, anche se la via è fatta, la cima è raggiunta, la sciata è stata fantastica. L’obiettivo è già da mettere nell’album dei ricordi.
Quale che sia il motivo, anche questa volta torniamo – in silenzio – all’hotel.
E la cosa che mi stupisce di più è che questo silenzio non è solo mio e del Giamma: ormai già “navigati” quanto ad esperienze in montagna. Il silenzio pervade anche gli allievi, praticamente alla loro prima via di un certo impegno. Forse è un effetto collaterale inevitabile.
Non siamo l’ultima cordata di assenti: ci sono altri della scuola ancora in giro. Questi, però, sono laggiù: al sasso di Remenno e da lì, ci metteranno sì e no 4 secondi a tornare alla base.
Per noi, invece, per causa del nostro ritardo, tra le cordate più puntuali, più rispettose degli orari del rendez-vous, già aleggia una sorta di preoccupato fastidio.
Allievi ed istruttori vari che ci aspettano all’hotel, dove sono giunti da ormai un’ora e mezza abbondante: bevono birra, mangiano panini ed aspettano noi.
Pensano, probabilmente: “Chissà dove cavolo si sono infilati quei due con gli allievi: magari sono affogati nel bidet della contessa
… che fine tragica! …
Se così fosse, ci toccherà anche andare a recuperare i corpi e portarli alla base di una qualche via, dalla quale dovremo far credere che siano precipitati: mica possiamo raccontare alle famiglie che sono morti affogati durante un’uscita del corso di arrampicata!”.
Tra questi ed altri brindisi, i colleghi e gli allievi con piacere ci vedono alla fine arrivare: col passo rigido dell’uomo devastato dal trekking.
Sguardi assenti/cupi: facce da non disturbare, da non svegliare dal torpore, dalle riflessioni, che è meglio.
Il mega Direttore non può dire nulla al Giamma, nessun rimprovero: che alla fine hanno la stessa anzianità, praticamente. E l’anzianità fa grado, anche qui!
- “Ciao”.
- “Ciao”.
- “Com’è andata?”
- “Bene”.
Punto.
Un dialogo effervescente e brioso, originale e frizzante come un’omelia del prete del mio paese: Don Arterio. Il parroco che riesce e ripetere lo stesso concetto anche otto volte di fila prima di passare al seguente.
(C’è anche un giro clandestino di scommesse tra i chierichetti, che ad ogni nuova predica puntano al nuovo record. Il jackpot attuale, si mormora, sia arrivato a 64 euro!).
A me invece, ultima ruota del carro, il Diretur mi mette subito nei premi.
Come riconoscimento per il ritardo e dopo avere ascoltato un vago resoconto dell’avventura odierna (Ma va! Non da me! Ovviamente avrei mentito … ! Dagli allievi … purtroppo …), vengo assunto seduta stante per il corso di alta montagna di fine-giugno-inizio-luglio.
“Bene dai! Visto che ti piace camminare, tra tre settimane ci vediamo al corso avanzato, che servono istruttori: ok?!”.
Solo a pensarci adesso, con le ginocchia calcificate che non si piegano più, mi viene la nausea. Immaginarmi durante le scarpinate di un corso di alta montagna: oggi non ci riesco proprio ….
Guardo il Presidentissimo con lo sguardo calcificato come le ginocchia. Non obietto. Non dico nulla: anche perché non posso dire nulla: sono così vuoto che non sto neppure pensando nulla.
D’altronde, ero stato io a chiedere se potevo partecipare anche al corso avanzato: perfino insistendo, peraltro!
Raccomandandomi!
Ovviamente, in preda ad un attacco di protagonismo masochistico del genere di quelli che talvolta mi colgono.
Ora vorrei ritirare la candidatura: ma è troppo tardi. Abile e arruolato.
Vittima della mia idiozia, del mio egocentrismo e dell’acido lattico che mi paralizza le gambe ed anche la mascella, mi taccio. Subisco la punizione per essere arrivato all’appuntamento con un’ora e mezza di ritardo.
Me lo merito.
Per noi ritardatari, per tutti noi ultimi arrivati – come ulteriore regalo – neanche il tempo per un tozzo di pane o un sorso di birra: le macchine già rombano nel parcheggio e ci tocca buttare nel bagagliaio lo zainaccio lercio e saltare su, sudati e fetenti.
Peggio per loro, penso!
Peggio per chi ci fa sedere in macchina senza un istante di tregua: vendetta nella vendetta, mi tolgo un istante le scarpe.
Per fortuna il conducente non ha ancora ingranato la marcia: dopo un paio di respiri, non ha fatto in tempo ad abbassare i finestrini.
Ed ora giace lì, con la fronte appoggiata al volante e la lingua a penzoloni fuori dalla bocca. Il socio seduto accanto al guidatore è svenuto, con la testa reclinata di lato e gli occhi aperti. Un rivolo di schiuma alla bocca, come in un tipico avvelenamento da gas-mostarda.
L’unico supersite – a parte me: ovviamente sono immune alle mie esalazioni – è l’allievo seduto sul posto accanto al mio che, vedendo che stavo per togliermi le scarpe, ha aperto la portiera e si è gettato fuori, sul selciato del parcheggio, incurante del fatto che la macchina fosse ferma o in movimento.
Anche se fosse passato uno schiacciasassi sull’altra carreggiata, si sarebbe buttato per rischiare una morte meno dolorosa da quella da scarpette avvelenate.
Arieggio tutta la vettura (ma dentro rido: che bastardo!) e aiuto i traumatizzati a riprendersi.
Dato che ci mettono un po’, intanto mi faccio anche una birra e un panino. Missione compiuta!
Di sicuro, la prossima volta o dovrò prendere la mia macchina o dovrò cambiare soci, per aggregarmi in macchina con qualcuno. Mi sono giocato la faccia, ma non importa: certe soddisfazioni non hanno prezzo.
Così, dopo tre settimane, eccoci qui al corso di alta montagna.
A costo di rimetterci la tessera del CAI, ad un’altra serie di lezioni teoriche non ci partecipo. Neppure sotto tortura. Minacciano di pignorarmi la casa e la mamma: ma fa niente! Basta-lezioni-teoriche.
Vero è che si tratta di un corso avanzato e che quindi le lezioni teoriche dovrebbero essere anche diverse: più specifiche … ma piuttosto che fare un’altra serata dedicata a “tecniche e materiali”, come spettatore, mi do fuoco in segno di protesta fuori dalla sede della scuola.
Dell’equipaggiamento e dei materiali so praticamente tutto: potrei aprire un negozio specializzato; recitare i parametri di tenuta e di rottura di ogni materiale tecnico adoperato nell’alpinismo dal XIX secolo ad oggi; riconoscere solo col tatto e con l’olfatto le differenze tra un “Gore-tex”, un “Novadry”, un “Sympatex” o un “Event”.
Basta.
E fin qui, l’ho vinta.
Non posso lamentarmi: nessun precetto particolare. Posso anche stare a casa.
Alle uscite, invece, non posso mancare.
Mancano già troppe risorse: sono pochi gli istruttori a disposizione in questo periodo (di ferie estive iniziate) per un corso.
Si raschia il fondo: varie assenze, per le vacanze o perché a luglio sarebbe bello anche andare ad arrampicare, invece che solo portare ad arrampicare.
Sia quel che sia, sabato e domenica, Nord della Presanella.
Io sono un po’ giù di tono: … muscolare, intendo.
Non so come caz…pita si faccia a prendere l’influenza a fine giugno, ma esco da una settimana di febbre. L’ultimo bastardissimo bacillo rimasto dell’influenza suina, ovina o canina che fosse … me lo sono beccato proprio dritto dritto nello stomaco (per nulla peloso …).
Sono debilitato e fiacco: ma l’idea di questa via, mi attira anche personalmente. Era già da un po’ di tempo nel mio “programma personale” e unire l’uscita … con la gratuità del rifugio, mi alletta troppo.
Dentro di me c’è sempre quel profondo istinto da brianzolo verace: da pidocchio senza ritegno.
Da uomo che per risparmiare sullo zucchero farebbe, il giro di tutti i bar a prendere una bustina alla volta.
Taccagno vero: D.O.C..
Weekend gratuito in rifugio e viozza in montagna = non-me-lo-perdo-neanche-col-virus-ebola!
Si parte.
Condizioni meteo eccezionali: un weekend della madonna! Spettacolo, no?!
Sì: spettacolo!
Partiamo dalla macchina con gli zaini in spalla verso il rifugio Denza. Trentacinque gradi e sole pieno. Dopo un’oretta di cammino con su i Nepal Evo e i Montura, con sulle spalle il solito zaino-cadavere-da-venti-chili, ho raggiunto una doratura ottimale. Ci vorrebbero un filo d’olio d’oliva crudo, un rametto di rosmarino e un pizzico di sale grosso e l’arrosto di Gambadelegn sarebbe perfetto.
Ma ci si arrangia con quello che si ha a disposizione: niente rosmarino. Al massimo due patate.
Arrivo al rifugio che peso due chili di meno.
Non che avessi molto da dimagrire, soprattutto dopo la settimana passata al bagno con la febbre. Adesso, semplicemente, non ho più liquidi in corpo.
Sono finiti tutti sotto forma di sudore dentro gli scarponi: fradici che neanche ci fossi andato in piscina a nuotare.
Tolgo la maglietta, la strizzo. Tolgo i Nepal Evo (tranquilli! … distante dal rifugio: per non fare vittime) e li rovescio per svuotarli dall’acqua.
Vorrei togliermi anche i pantaloni Montura, ma siccome ho già raggiunto il limite della decenza, considerando che non sono proprio un bronzo di Riace da vedere ignudo, mi trattengo.
Sono qui: sotto il sole Sahariano del rifugio Denza, davanti alla parete della Presanella che fa anche da specchio per l’abbronzatura, dando il meglio di me.
Come inizio non c’è male: sono conciatissimo e gli allievi, guardandomi in faccia, già stanno giocandosi a sorte chi domani salirà con me:
- “Ci vai tu con quello lì che è scoppiato solo per arrivare al rifugio!”
- “Neanche morto: ci vai tu!”
- “Piuttosto faccio la solitaria alla via dei seracchi”.
Percepisco un velatissimo segno di disistima nei miei confronti: ma non mi formalizzo. A qualcuno ‘sta roulette russa sparerà il colpo in canna: non sono problemi miei.
Mi guardo nella vetrata del rifugio, dove l’immagine mia riflessa mi ricorda immediatamente certe tristissime scene di servizi giornalistici sulla fame nel mondo.
Guance scavate. Occhiaie. Pallore. Il ritratto della salute.
Hanno ragione gli allievi: anche io non vorrei arrampicare con me stesso, adesso che mi sono guardato in faccia. Purtroppo però, mi tocca.
La giornata passa tranquilla: sedia a sdraio, birra, Playboy da sfogliare sulla veranda del rifugio.
Stasera una cenetta di certo migliore di quella che ci si potrebbe aspettare in un rifugio svizzero.
La tipica giornata “pre-gita di due giorni”.
Si fa anche la spartizione degli allievi e si decide come distribuirsi sulla parete.
Qualcuno farà la normale, qualcuno il canale diretto alla nord, altri lo sperone.
A me capita Giovanni: un allievo che conoscevo già, per averlo visto in un servizio del TG2 sulla prima invernale all’Annapurna, a cui lui ha partecipato come capo spedizione.
Beh: magari non proprio lì ... forse esagero.
Però è certo un allievo in gamba, sul quale fare certamente affidamento: più affidamento di quanto io ne possa fare su me stesso.
Appena saputo che dovrà salire con me, nelle condizioni in cui sono, telefona a casa: “Ciao mamma. Sì, qui tutto bene finora. Volevo dirti che ti voglio bene. No! Non preoccuparti: ce la farò. Abbraccia il papà da parte mia”.
La conversazione ricorda qualcosa che ho già sentito: ma non mi ricordo bene se era in una scena di “Salvate il soldato Ryan” o in “Platoon”.
Dopo la telefonata, scrive un breve testamento e lo consegna al rifugista.
Nel pomeriggio, dietro il rifugio, ripassatina al paranco di poldo, al paranco mezzo-poldo; al paranco di braccio di ferro e al mezzo-braccio-di-ferro (Ma va? Questi non esistono? … credevo di sì!), sempre sotto un sole che in Costa Smeralda ce lo invidiano.
Nel mentre, dalla nord delle Presanella lì davanti a noi, proprio proprio lungo la linea di salita vien giù un valangone di neve e ghiaccio.
Gli allievi ammirano il fenomeno naturale, nella sua tragica potenza. Non sanno che quella è la linea di salita per molte delle nostre cordate, all’indomani.
Gli istruttori, che lo sanno, si cagano addosso ma dissimulano bene e tornano a spiegare il mezzo poldo.
Sono stanco e un po’ scazzato. Aspetto il vino rosso a cena e le portate formato famiglia di brasato e polenta: sono le mie ultime speranze.
Ma anche questo espediente si rivela inutile.
Cerco di soffocare il malessere sotto badilate di cibo e scrosci di Tavernello e tuttavia non mi riprendo. Ho le movenze di un bradipo: per versarmi del vino devo prendere la caraffa con due mani, staffare sulla sedia e sfruttare il principio dei vasi comunicanti.
Anche spezzare il pane mi è arduo: mi lancio sul tavolo con una gomitata in perfetto stile wrestling: sembro Rey Mysterio che vola dalle corde del quadrato in un match contro Brutus the Barber.
Sbaglio mira e incrino le vertebre del povero Giamma che si era allungato per prendere una michetta. Alla fine mi spezzano un tozzo di pane e rimedio così.
A fine cena, mentre tutti avviano il giro di grappe, io mi ritiro nel castello (nel letto … a castello: ovviamente). Secondo piano: mi rovescio senza neanche togliermi le ciabatte, tanto so che anche se sono le 8 di sera, sarò svegliato dalle tre alle quattrocento volte da tutte le persone che entreranno nella camerata in ordine sparso durante la notte.
E così è: grazie alla mia ottima scelta, sono su un letto giusto giusto sotto la lampadina che penzola dal soffitto.
Appena qualcuno entra in camera e accende la luce (maledetto balordo!), un flash tipo fotoelettrica dello stadio di San Siro mi risveglia.
Ogni volta che si accende la luce, mi prende una sincope e parte una bestemmia.
“Ah. Scusa! Non ho visto che eri a letto”
“Io invece ho visto benissimo che sei entrato in camera”.
Così, come in un servizio fotografico, sotto i flash, la notte trascorre: quasi senza dormire. Poco male: domani farò meno fatica a svegliarmi.
Suona la sveglia: mi vendico. Accendo le luci di tutta la stanza: faccio anche gli effetti stroboscopici. Accendo-spengo accendo-spengo accendo-spengo accendo-spengo accendo-spengo accendo-spengo.
Scendo dal letto con un salto pesantissimo che il socio sotto di me si prende un infarto. Per fortuna è un allievo e quindi non ci sono problemi per le cordate.
Urto qualunque cosa si possa urtare. Sbatto porte. Schiaccio piedi. Prendo anche una lavagnetta e di passo sopra il gesso di piatto, per fare il peggior rumore che riesco a produrre.
Tutti svegli: così imparate ad accendermi le luci negli occhi ottocento volte a notte.
Nessuno ha la forza di replicare o di dirmi nulla: subiscono tutti (almeno finché non si riprenderanno sono salvo).
Sono vestito e prontissimo. Il fantasma di me stesso, ma prontissimo e sveglio.
Non devo avere una bella cera.
Un ragazzino, incontrandomi nel corridoio che porta al bagno, si è messo a piangere ed è scappato chiamando la mamma.
Anche io, guardandomi allo specchio, un po’ mi spavento.
Niente paura: mi ristrutturo con l’acqua che esce dal rubinetto a 0,001° C (quel tanto che serve a non farla scendere a cubetti) e dopo un paio di immersioni nel lavabo, sembro nuovo. Ho solo un lieve congelamento alla punta del naso che adesso è necrotica blu/violacea, ma sembro un essere umano, adesso: non più uno Yeti in vacanza sulle alpi.
Colazione. Intorno a me, la solita combriccola che la mattina in rifugio pare impegnata nella cosa più assurda: non fare rumore.
Siamo qui in rifugio tutti ma proprio tutti per fare la stessa cosa: svegliarci alle tre e mezza per andare in cima.
Nelle camere non c’è nessuno che stia ancora dormendo. Siamo tutti qui. E se anche ci fosse qualcuno, al piano di sopra, di certo non sentirebbe il piattino di una tazzina che si sposta sul tavolo di legno.
Eppure, nella sala da pranzo, tutti pare si impegnino a muovere tazze e posate senza urtarle, senza il minimo rumore. Si parla sottovoce. Si cammina con passo felpato.
Alcuni sbattono anche poco le ciglia per non fare troppo casino. C’è chi va in apnea, che altrimenti …
Va beh.
Non dico di fare colazione con i Metallica o gli Hardcore Superstar a palla alle quattro di notte … ma questa ossessione per il risveglio educatissimo mi fa un po’ ridere. E un po’ incazzare, visto che se stanno tutti zitti, mi tocca stare zitto anche a me che non vorrei.
Forse, in realtà, tutti sperano di non farsi sentire, per essere i primi a ramponarsi fuori dal rifugio ed a partire: di nascosto: “Alla facciazza vostra!”
O forse non è voglia di fare silenzio: è incapacità di fare rumore.
Rattrappiti dalla levataccia, non si riesce ad alzare il volume della conversazione. Si sussurra.
Quale che sia la ragione, eccoci qua in un’altra colazione sottovoce:
- “Mi passi il caffè?”
- “Sì: tu mi dai la marmellata?”.
- “Ok!”
Con ancora dei rutti al brasato che ribollono nello stomaco, mi ingollo un paio di paneburroemarmellata innaffiati da quell’inconfondibile brodo-caffè nero, lunghissimo, che si trova solo in rifugio. A casa, neanche se ti impegni riesci a riprodurlo. Un gusto unico. Sapore vero: altro che amaro Montenegro!
Esce da moke grosse come un silos per lo smaltimento dei reflui della Enichem, messe a bollire sui fuochi grandi della cucina: producono ciascuna dai sei agli otto litri di petrolio con caffeina … ops, di caffè.
Corrompo la gestrice del rifugio: mi faccio dare una moka intera e la verso nel thermos del thé. Quello che avanza (un buon cinque litri: il mio thermos è solo da un litro), un po’ lo bevo, un po’ lo uso per fare i gargarismi, un po’ mi ci puccio dentro la testa e mi ci deodoro le ascelle.
Sotto effetto di tutta questa caffeina, sembro anche sveglio e reattivo. L’allievo assegnatomi mi guarda con occhi rassicurati.
E via: si parte.
Fuori dal rifugio, imbragati e ramponati a tempo di record, partiamo col nostro bel frontalino in anticipo.
Da buon capo-cordata, do la direzione del percorso: “Seguimi!”, enuncio sicuro. Mi atteggio anche ad alpinista eroico: un po’ il Bonatti dei tempi d’oro, ma il vestito mi va largo e ci faccio una pessima figura.
Ci mettiamo in marcia: cammino senza vedere tracce davanti a me. Sarà lo stato mentale o quello fisico, o entrambi insieme: il fatto di non vedere peste davanti, non mi fa venire in mente nulla di allarmante. Anzi: continuo baldanzoso. La caffeina è a 1000!
Dopo un buon venti minuti che marciamo nella neve fresca alta mezzo metro senza incontrare anima viva e senza vedere luci dietro di noi (possibile che stiamo andando così forti? Minchia: ma chi siamo!?), mi sorge un piccolo dubbio: che quelle luci laggiù, sull’altro versante della morena siano le frontali degli altri della scuola che hanno seguito un’altra strada? … quella giusta? …
Dopi riflessioni ponderate, il dubbio si radica.
L’allievo-socio condivide la stessa perplessità. Dentro, ma sempre in silenzio come durante la colazione, mi manda anche un po’ affanc…lo.
Ci guardiamo in faccia e cerco di sembrare serio ed ancora attendibile, nonostante la mostruosa cappellata.
Non ci riesco.
Al che, non mi resta che uscirmene con questa: “Dai: non c’è problema! Tagliamo giù di qui, saliamo di là e siamo alla base del canale iniziale. Magari arriviamo anche prima degli altri!”.
Il povero Giovanni ci crede anche: quasi quasi l’ho convinto che la somma di due lati di un triangolo sia più breve del terzo lato.
Che scendendo da questo versante dopo avere cannato mostruosamente la direzione dell’avvicinamento, dopo la risalita del pendio dall’altra parte della morena, ce la faremo ad essere alla pari con gli altri.
Io ci credo così poco che mentre faccio la sparata mi scappa anche da ridere, ma va beh: l’importante è il morale della truppa!
Scendiamo e risaliamo e qui, accade il miracolo.
Al passo di una tartaruga paraplegica (questo è quello che mi consente la debilitazione fisica!) … arriviamo davvero prima degli altri.
Non mi chiedo né come né perché: alla fine siamo qui e gli altri sono dietro.
Alle volta, una botta di culo non guasta.
Il buon Giovanni è stupito come me. Anche lui non si fa domande. La matematica non sarà un opinione: ma la geometria, a questo punto, sì.
Aspetto positivo: non dovremmo prendere troppo ghiaccio in faccia, visto che siamo i primi a sfoderare le picche.
La salita dello Scivolo non ci impegna gran che. Vista la quantità di gente sulla parete, sembra un po’ un tappone di gruppo del tour.
Le difficoltà contenute, tuttavia, permettono di salire agevolmente e rapidamente.
Certo: vedere l’allievo che alle soste su ghiaccio dei due tiri fatti (le sue prime soste su ghiaccio) pianta – oltre a quelle messe da me – più viti di quante ragionevolmente sia possibile congiungerne con un cordino, mi fa sorridere e mi ricorda la mia prima esperienza.
Alla fine delle difficoltà, comunque, ci arrivo de-vas-ta-to. Stanco morto.
Non ho risorse: le ho consumate nella settimana di malattia. Le ho consumate ieri a salire. Non le ho recuperate nella notte insonne. Le ho esaurite: pile finite. Game over. Orasacchiotto della Duracel senza più carica. Punto.
Il Giovanni mi guarda in faccia. Ormai siamo sul piano e dobbiamo solo camminare fino alla cima.
Uso le picche come due grucce: arranco sbandando come Irvine in giacca di feltro a 8000 mt sull’Everest. Ma siamo a 3500 mt: ne mancano 56 alla cima.
E questo sarebbe anche un corso alta montagna, a volere essere precisi.
Sono schiattato: sarà la fine dell’effetto caffeina da bagno o semplicemente il bacillo bastardo che ancora vive in me, ma in piedi non riesco a mettermi, anche se il pendio lo consentirebbe.
Il Giovanni mi raggiunge: pacca sulla spalla.
“Dai che ce la fai! Dai che siamo arrivati ormai!”
Che tristezza: che umiliazione! L’allievo che mi sprona e mi incoraggia a superare le difficoltà.
Domani mi ritiro: adesso arrivo in cima, ma domani vendo tutto.
Picche, fucile ed occhiali.
Basta: mi do al nuoto sincronizzato, che secondo me si becca anche più gnocca che facendo montagna.
Ci raggiungono e superano ottocento delle duemilacinquecento cordate della parete. Io sembro Joe Simpson alla fine di Touching the void: ma lui aveva una gamba rotta e scendeva da un 6000 mt dopo 4 giorni senza mangiare …
E soprattutto non aveva l’allievo che lo sorreggeva per arrivare in cima. Che desolante scoraggiamento.
Meglio una morte dignitosa che una cima della Presanella in queste condizioni: cerco un crepaccio per buttarmi dentro, ma al massimo posso sperare nell’altro versante: il che vuol dire che in cima ci devo anche arrivare. Che disdetta!
E in cima ci arriviamo: scatto d’orgoglio, consumo anche le ultime riserve di energia del mio corpo, attingendo a quella parte di cervello che non uso mai (un buon 80/85 %). Consumo tutto.
Ma in cima ci arrivo. Con le mie gambe.
Dire che ho portato l’allievo in cima alla Presanella non è forse tecnicamente corretto, ma poi il Giovanni mi stringe la mano e mi ringrazia: “Senza di te non avrei mai provato a salire sul ghiaccio così: in sicurezza ed imparando anche nuove tecniche! Che bella esperienza!”.
Ora: mettiamo pure che sono un inguaribile romantico.
Mettiamo che il momento è ricco di pathos e di gloriosa tragicità: contornato com’è di cielo azzurro, di orizzonti tempestati di vette a perdita d’occhio. Tutto trabocca di emozione.
Un po’ mi commuovo.
Ho raggiunto un obiettivo: e non è la cima sulla quale cammino. Non è la croce alla quale appoggiamo i nostri zaini.
Con il sole di metà mattina, come se fossi una pianta, come se facessi anche io la fotosintesi, mi riempio di nuove energie.
Forse le forze arrivano dalla mia testa. Chissà ….
O magari, più prosaicamente, le energie mi arrivano solo dal Toblerone appena macinato e ingurgitato e dal thermos di caffè prosciugato in un battibaleno.
Ora non ci resta che scendere.
Per la via normale, infinita.
Non ci resta che scendere, dal Piz Roseg, dopo la Eselgrat.
Su questo nevaio grande ed assolato sono arrivato quasi ultimo, con il mio bravo allievo.
Ero troppo impegnato ad aprire la “variante Gambadelegn” di questa via che, non per niente, si chiama “cresta dell’asino” … Solo un asino come me poteva perdercisi sopra! Ci sono riuscito: mitico!
Mi sono fatto un giro nuovo tra rocce e roccette – su una via di quarto – nella quale sono riuscito a scoprire tetti e strapiombi.
Ci siamo trovati qui, sulla neve, con la cordata che ci seguiva fatta dal collega Andrea e dal suo allievo: mentre le altre cordate della scuola già cominciavano a scendere dalla cima.
Alla cima ci arriveremo, ma quello che conta di più, per me, è altro.
Ieri sera alla capanna Tschierva – il rifugio più caro del pianeta terra: dove una bottiglia d’acqua costa 9 €. Il rifugio in cui non tornerò neppure dovessi fuggire da una guerra atomica – consueta riunione tra gli istruttori.
Tante ragionevoli, ovvie, raccomandazioni:
“Domani affronteremo una via non banale, con un attraversamento di un ghiacciaio crepacciato e con difficoltà anche dopo i tiri di roccia. Quindi è importante che le cordate salgano unite, trattandosi di un corso. Non disperdiamoci, solo per arrivare in cima”.
Belle parole!
Ma adesso, che è domani, dove sono tutti?
Sono tutti in cima.
Io e Andrea siamo qua, invece: con i nostri allievi.
Raggiungere la cima del Piz Roseg è un risultato alpinisticamente ammirevole anche per gente che in montagna ci va da tempo.
Forse, come le Sirene di Ulisse, il richiamo della vetta è stato troppo irresistibile.
Probabilmente per questo è stato difficile rimanere coerenti con quanto detto ieri sera: per questo – lo confesso: anche per me – è stato difficile aspettare l’ultima cordata, in ritardo a causa di qualche difficoltà.
Fare gruppo, in nome dello spirito di un corso di alpinismo: che non è quello di una spedizione per la conquista di una vetta inviolata, con sul collo il fiato degli sponsor e nel cuore la determinazione della sfida.
Ora non ci resta che scendere.
Abbiamo guardato anche oggi il mondo da un punto di vista nuovo e inusuale. Dalle altezze di questi luoghi non aperti al pubblico pagante.
Con l’orgoglio, tutto personale: probabilmente infantile, non di avere fatto la via, ma di avere atteso un amico senza dimenticarsi di lui, in nome dell’ “ambizione”, dell’egoismo.
Dobbiamo scendere.
Sempre in silenzio, dopo le doppie: lungo le tracce fino al rifugio.
In questo ambiente maestoso ed imponente.
Davanti al Bernina ed al suo ghiacciaio che ci urla dietro i suoi scricchiolii ed si infervora con suoi crolli spaventosi.
Cercando di raggiungerci con i sassi che ci lancia: noi intrusi fastidiosi.
Noi, che attentiamo tutti i giorni alla sua vita, riscaldando il pianeta e poi abbiamo anche la sfacciataggine di venire qui a solcare le sue difficoltà: con una presunzione disgustosa.
Che siamo piccolissimi, a guardarci in questa cornice: dentro un quadro vivo, di rocce che si muovono.
Nevi che crepitano sotto i ramponi, rivoli d’acqua che si nascondono e fuggono, tra i ghiacci e gli sfasciumi.
I gracchi veleggiano sopra le nostre teste: beffardi, ridendo dei nostri stupidi sforzi a loro incomprensibili.
Raggiungono planando i picchi e le cenge ai quali noi arriviamo a quattro zampe.
Scendere. Camminare. Respirare senza pensieri.
Forse il motivo è tutto qui.
Non conta tanto il fatto che dalla capanna mi toccherà percorrere la Val Roseg sotto il sole di luglio: invidiando i ciclisti che mi compatiscono, mentre sudo con gli scarponi, i pantaloni pesanti, la corona di spine in testa e la croce a forma di zaino ripieno sulle spalle.
Come lavata da una pioggia tiepida, asciugata da un vento caldo e piacevole, la mia mente libera, vuota dalle angosce del quotidiano, brilla rinnovata.
Sappiamo infatti – noi viandanti delle montagne – che “lassù, tra quelle aride ed assolate pietraie avviene uno strano baratto. Succede di scambiare il vortice della vita per una pace senza confini”.
E questo basta, per ritornare. _________________ "Bello qui! ...peccato per tutte queste montagne che nascondono il panorama!"
"Arrampicare male sul difficile è facile. E' più difficile arrampicare bene sul facile" |
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Peggy
Registrato: 11/11/08 12:41 Messaggi: 1148 Residenza: Cologno al Serio-BG-
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Inviato: Mer Feb 16, 2011 6:45 pm Oggetto: |
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Adesso ho poco tempo ma questa ultima parte non me la lascio scappare  |
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bafio
Registrato: 15/11/09 21:18 Messaggi: 568 Residenza: brianza
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Inviato: Mer Feb 16, 2011 11:09 pm Oggetto: |
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letto tutti capitoli del racconto.....
alcuni col le lacrime agli occhi per le risate...
altri sentendo le emozioni e la gioia provate dai protagonisti del racconto.....
insomma....stupendo...vero...reale.... |
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paglia
Registrato: 13/02/07 11:31 Messaggi: 549 Residenza: Iseo (BS)
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Inviato: Gio Feb 17, 2011 8:11 am Oggetto: |
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secondo me un istruttore deve non aver vergogna di ritirarsi da una gita se non è in forma ed arriva da una settimana di influenza. Las icurezza è più importante dell'rgoglio |
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GAMBADELEGN
Registrato: 05/02/09 15:09 Messaggi: 156 Residenza: ovunque il mondo non sia piatto
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Inviato: Gio Feb 17, 2011 1:36 pm Oggetto: |
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paglia ha scritto: | secondo me un istruttore deve non aver vergogna di ritirarsi da una gita se non è in forma ed arriva da una settimana di influenza. Las icurezza è più importante dell'rgoglio |
Hai perfettamente ragione.
Se fossi stato veramente così male da non potere affrontare la salita in sicurezza, non avrei certamente partecipato.
La prossima volta che scrivo un racconto comico, metto il sottotitolo che è un racconto comico.
A parte gli scherzi, ti ringrazio vivamente per la puntualizzazione importante.
ciao _________________ "Bello qui! ...peccato per tutte queste montagne che nascondono il panorama!"
"Arrampicare male sul difficile è facile. E' più difficile arrampicare bene sul facile" |
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leo
Registrato: 25/02/08 21:43 Messaggi: 6823 Residenza: 3gasio
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Inviato: Gio Feb 17, 2011 1:41 pm Oggetto: |
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GAMBADELEGN ha scritto: | La prossima volta che scrivo un racconto comico, metto il sottotitolo che è un racconto comico.
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Ok, basta che ci sarà una prossima volta
Non l'ho ancora letto, come al solito preferisco gustarmelo con calma  _________________ “quello che facciamo non viene mai compreso, ma sempre e soltanto apprezzato o disprezzato.” |
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leo
Registrato: 25/02/08 21:43 Messaggi: 6823 Residenza: 3gasio
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Inviato: Gio Feb 17, 2011 7:28 pm Oggetto: |
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Semplicemente bellissimo  _________________ “quello che facciamo non viene mai compreso, ma sempre e soltanto apprezzato o disprezzato.” |
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Luca80
Registrato: 12/01/09 14:44 Messaggi: 110 Residenza: Lezzeno (Co)
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Inviato: Gio Feb 17, 2011 9:48 pm Oggetto: |
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Fantastico, complimenti  |
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Lucky Luke
Registrato: 15/03/09 19:15 Messaggi: 61 Residenza: ora Bergamo
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Inviato: Gio Feb 17, 2011 10:16 pm Oggetto: |
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Erano giorni che attendevo il gran finale , che non ha tradito le aspettative! Continua a scrivere, mi raccomando!
Luca _________________ L'utopia è come l'orizzonte:
cammino 2 passi e si allontana di 2 passi.
Cammino 10 passi, e si allontana di 10 passi.
L'orizzonte è irraggiungibile.
E allora, a cosa serve l'utopia?
A questo: serve per continuare a camminare. |
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ferra87
Registrato: 01/01/09 14:33 Messaggi: 238 Residenza: Alto Lario
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Inviato: Ven Feb 18, 2011 8:53 pm Oggetto: |
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adesso vogliamo "io istruttore" the return  _________________ perchè l'importante non è prendersela, ma farsela dare !!!! |
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paolo75
Registrato: 08/04/08 19:59 Messaggi: 1834 Residenza: Sesto San Giovanni
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Inviato: Ven Feb 18, 2011 9:00 pm Oggetto: |
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GAMBADELEGN ha scritto: | La prossima volta che scrivo un racconto comico, metto il sottotitolo che è un racconto comico.
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Aspetto la prossima tornata  |
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GuglielmoTell
Registrato: 30/01/11 09:50 Messaggi: 24 Residenza: lago di como
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Inviato: Dom Feb 20, 2011 11:23 pm Oggetto: |
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Mi son preso un giorno di ferie per leggere il tuo racconto!!!
Veramente entusiasmante  _________________ Nessun sentiero porta alla felicità, il sentiero è la felicità. |
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mrcmax
Registrato: 31/01/11 00:56 Messaggi: 5 Residenza: Ascoli Piceno
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Inviato: Lun Mar 28, 2011 5:32 pm Oggetto: |
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Era da tempo che l'aspettavo, e quasi la perdevo!!!! Esilarante come al solito....spero che non sia l'ultimo racconto.  |
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