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"IO, ISTRUTTORE" - TERZA E PENULTIMA PARTE

 
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GAMBADELEGN



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MessaggioInviato: Mer Gen 26, 2011 8:51 pm    Oggetto: "IO, ISTRUTTORE" - TERZA E PENULTIMA PARTE Rispondi citando

Un racconto a puntate liberamente non ispirato da Isaac Asimov

La colazione finisce che ormai sono le dieci meno un quarto.
Qualcuno entra in macchina con ancora la fetta biscottata in mano.
Quelli che stavano provando a masticare le proprie Five Ten con sopra la Nutella o la confettura alle ciliegie, faticano a terminare il caffelatte.
Ma diciamo che nella media il gruppo degli irriducibili pare ormai formato.

Anche io mi allaccio la patta dei pantaloni che sono ormai in macchina. Per fortuna ho avuto, inconsciamente, la prontezza di spirito di ritirare il gingillo.

Sarebbe stato imperdonabile presentarmi alla distribuzione dei libretti con il pisello di fuori.
Un segno di grave mancanza di rispetto che non mi sarei mai potuto perdonare.

Il Diretur patisce – causa età senile incipiente – i postumi della serata forse peggio di tutti: ma stoicissimo, troneggia in mezzo a noi istruttori con autorevole presenza.

Poi, oltre a troneggiare, si sveglia anche.
Chiede dove ci troviamo. Vede che là, a poche centinaia di metri dall’hotel c’è il Sasso Remenno e un po’ si vergogna della domanda.
Per esclusione arriva a considerare che siamo in Val di Mello: che questa è la due giorni roccia del corso CAI.
Che non è il corso avanzato.
Che lui fa parte del CAI.
Che, anzi, lui è il presidente della scuola CAI.

Dopo tali considerazioni, arriva persino a realizzare che la massa di libretti che tiene in mano ormai da un buon dieci minuti vada distribuita a quelle persone che lo guardano con aria di attesa da altrettanto tempo e che, a questo punto – sempre per esclusione – conviene debbano essere gli istruttori della scuola CAI di Como e non il pubblico di un comizio elettorale.

Così, il buon vecchio Megadirettore passa all’attesa distribuzione.

Non ci provo neanche a chiedere che mi venga assegnato un allievo che viaggi su di grado: probabilmente, infatti, oggi sarà l’allievo a tirarmi su qualsiasi via andremo a fare, visto che ha pagato per essere qui e che almeno per questo avrà più entusiasmo di me.

In realtà credo che mi tirerà su qualunque sentiero andremo a fare: visto che sarei pronto a scommettere che le vie, oggi, le guarderemo e basta: le ammireremo mentre asciugano lentamente sopra di noi.

Il Giamma, come sempre, arrampicherà con una ragazza carina: non sono da molto nella scuola ma non lo ho mai visto arrampicare con un maschio. Neanche con un maschio effeminato: solo con donne. E non certo stagionate come la Sciura Giovanna.
Sempre le allieve migliori (alpinisticamente parlando, si intende …!).

Il Giamma sa piazzarsi! Non si smentisce.

Ma il destino gli gioca oggi un brutto scherzo: oltre alla gnocca, gli appioppano anche un maschietto, un ragazzo. Che disdetta!

Anche lui è così stupito di questo torto subito che non osa neanche replicare al Magnifico Direttore.
Anche perché i neuroni del Diretur sono ancora in fase di rodaggio quotidiano e sta realizzando solo ora che è domenica; che tra poco dovrà anche lui mettersi in marcia con uno zaino in spalla, che dovrà finalmente togliersi il pigiama con cui è qui, in mezzo a noi, e vestirsi.

Il Giamma, pertanto, si trova spaesato con un cordata di due allievi.
Una bella ragazza ed un ragazzo più o meno della stessa età dell’allieva: che quindi, a rigore, durante le soste passerà in intimità il tempo della salita (sempre che mai ce ne sarà una, di salita!) a dispetto del povero istruttore che, da primo di cordata, dovrà arrampicare.

Per questa ragione, Giamma ha un moto di stizza e dentro di sé sta pensando come sbarazzarsi dello sgradito concorrente: o buttarlo nel torrente (“Per fortuna, a tal proposito, il Bidet della Contessa è esondato: se lo carico bene di ferraglia e lo aiuto a scivolare dentro, probabilmente annega senza soccorsi!”); oppure – come alternativa – non gli resterebbe che costringere il povero allievo a salire da primo su una placca bagnata di V superiore da proteggere a friend.
Così, per la paura, il tapino finirebbe col mettersi a piangere e col perdere ogni fascino nei confronti della virginea collega.

Mentre il cervello del Giamma ha elaborato questi pensieri, ovvero: in un paio d’ore abbondanti, il Sommo Sacer… Presidente ha finito con la distribuzione degli allievi.

Anche a me è capitata una cosa incredibile: mi hanno dato un’allieva e un allievo, peraltro entrambi tra i migliori.
Forse si sono sbagliati: forse con ancora le caccole negli occhi, il Presidente non mi ha bene identificato e crede che io sia qualcun altro.

Non che sia molto importante, con chi andrò oggi ad arramp … seeee … a camminare per la Val di Mello … ma mi pare ugualmente strana la circostanza.

Poi rifletto e capisco che in realtà è tutto studiato.

Nonostante il sonno, il Grande Capo ha pensato tra sé e sé: “Oggi gli appioppo una cordata semi-seria, che tanto con sto bagnato, il Gamba ha le stesse probabilità di arrampicare di quelle che ho io di trovarmi in cordata con Letizia Casta che – in tanga e topless – va da prima su Piedi di Piombo. Così, non potrà lamentarsi che il gesto non l’ho mai fatto: e la prossima volta tornerà ad arrampicare con i soliti allievi maschi cinquantenni, da tirare sulla Scalinatella”.

Bastardissimo, il Diretur! … Rigoroso nel farmi superare appieno la gavetta: senza sconti e scorciatoie.

Va beh… Dura la vita del giovane istruttore, ultimo arrivato!

Oggi, comunque, andrò a fare questa camminata con venti chili di materiale insieme al bravo allievo Paolo ed alla Marianna: la ragazzina con cui ho già arrampicato ai Denti della Vecchia.

In quella occasione, tuttavia, non valeva la considerazione che mi avessero dato una allieva come gratificazione: in primo luogo, perché se mi fossi sposato giovane, la Marianna potrebbe essere mia figlia per età… il che mi tiene lontano da ogni velleità da pervertito.

In secondo luogo, perché quando si va ai Denti della Vecchia non si arrampica mai soli: si è sempre in grupponi stile battaglione dei bersaglieri in sfilata il 2 giugno.

E anche se mi avessero dato come compagna di cordata la Nina Moriç dei tempi migliori, avrei avuto la stessa possibilità di trovarmi in intimità con lei, di quella che avrei avuto andando in una spiaggia di Bari ad agosto.

La povera e delicata Marianna è stata oggetto di mie riflessioni già nell’occasione di quella uscita.
Delicata: piccola, terribilmente leggera (il che non gioca a favore del socio che ti fa sicurezza!) e con due occhioni da cerbiatta impaurita che farebbero commuovere anche Chuck Norris con in mano una mitragliatrice (Oddio … magari Chuck no: diciamo Clint Eastwood …) .

Era l’occasione, quella, di una delle prime uscite del corso: e mi stupì allora quanto poco fosse tranquillizzante andare ad arrampicare anche su vie semplicissime con allievi così alle prime armi.

In quelle circostanza, dovetti insegnare alla mia allieva-ragazzina l’uso del gri-gri (questo sconosciuto) e gli mostrai – per pura didattica – come mettere e togliere i friend e i nut.

Poi mi toccò arrampicare con lei a farmi sicura: su un tiro di falesia di 5c.
Anche quella uscita fu motivo di turbamento.

Per quanto fossi letteralmente circondato da istruttori ed allievi, sulle vie vicine, ho apprezzato in qell’occasione l’importanza di un compagno di cordata preparato, come elemento importantissimo di una arrampicata di vero piacere.

Sempre per didattica, arrivato alla sosta, la recuperai, invece di calarmi in moulinette. Per farle riprendere dimestichezza con la doppia, prima di andare a cimentarci in qualcosa di “terrificante” come la Scalinatella o la salita alle Torri del Vajolet (… quelle dei Denti della Vecchia, dai! Non quelle del Catinaccio!).

Vedere quanta difficoltà faceva a salire (che bastardo sono stato a scegliere come primo tiro un 5c … !) non solo mi ha commosso (… sono un tenerone, in fondo …) ma mi ha anche fatto pensare: “E se fossimo in una via vera, soli? Senza nessuno di così vicino da poterci aiutare nel caso in cui lei non ce la facesse ad affrontare un passaggio? come ne uscirei, una volta finita la corda? Quanta difficoltà – oltre che tecnica, anche psicologica – dovrei trovarmi a superare? Ne sarei capace?”

Certo che ce la farei a tirarmi ed a tirarci fuori dall’impaccio, concludo! Mica si tratterebbe di soccorrere un socio impanicato sotto il tetto della via Vertigine al Monte Brento!

Però … Però … Però … che sbattimento e che rischi prenderei per fare il soccorritore, con la mia formazione e con la mia preparazione!

Duro mestiere quello dell’istruttore! Più duro di quanto pensavo quando ho accettato di diventarlo.
Più vere di quanto credessi le parole del vecchio lupo che a suo tempo aveva cercato di mettermi in guardia, spiegandomi la sua filosofia circa il compito di istruttore.
Aveva ragione.

Ma torniamo a noi.

Torniamo in Val di Mello: in questa valle che oggi è umida come il Borneo. Non c’è la zanzara anofele – almeno spero (…però, dai, che un po’ di Autan lo metto su lo stesso, va!) – ma c’è una umidità che sono le dieci di mattina, sono qui fermo senza fare un ca…zvolo e sto sudando come avessi soddisfatto un harem di odalische con la sindrome premestruale.

Ci prepariamo: ogni gruppetto con un machete, per avanzare tra le liane e per respingere eventualmente coccodrilli, pitoni e scimmie urlatrici.

Io afferro i miei allievi e mi incollo al Giamma: che ora si è preso l’impegno!
Deve portarci a vedere la via “asciutta” in ‘sta regione sub-equatoriale durante il monsone.

Alla partenza ormai sono pronto: quasi il 4% del mio cervello è in moto (molto più di quello usato per fare il liceo o per laurearmi … quindi sono messo bene!).

E sono anche rassegnato ad affrontare il trekking integrale della Val di Mello: prima assoluta.
Il Giamma, infatti, ci ha spiegato – con nostra grandissima gioia – che la via “asciutta”, della quale non ricorda il nome, è in fondo ma proprio in fondo alla valle.

Il mio allievo Paolo, per un attimo, pensa di rompersi un dito della mano con il collo di una bottiglia, per avere il congedo per motivi di malattia. Poi, visto che questa idea è in realtà venuta prima a me, lo dissuado e ci rassegnamo entrambi ad unirci a questa spedizione di disperati indefessi … o di fessi senza inde.

Si parte. E si arriva alla frana che ha cambiato la morfologia della valle, chiudendo quasi il torrente.

Il torrente, in effetti, è simile al Missisipi: oltre a tronchi d’alberi, cadaveri di mucche affogate e tetti di rifugi travolti dalla piena, porta una tale quantità d’acqua che ha allagato l’intero prato e l’intera valle.

“Cominciano le comiche!”, penso.

“Cominciamo bene!”, dico.

Via asciutta! …

Ho già preparato la macchina fotografica: ma non per fotografare la via asciutta, nella quale credo come credo nella verginità di Silvia Saints. La macchina è pronta per fotografare la faccia del Giamma quando i 4 allievi lo manderanno a … riflettere, di fronte alla dura realtà.

Ora il primo “tiro” di questa giornata sarà l’attraversamento del torrente.
Direi un TD+, a guardarlo da qui.

Esclusa la possibilità di costruire un ponte tibetano … non ne abbiamo le competenze … non ci tocca che alzare i pantaloni, togliere gli scarponi e … guadare. Sperando di non scivolare: perché una caduta con lo zaino farcito di moschettoni ci farebbe sprofondare nella palude e ci troverebbero fra migliaia di anni, dopo la prossima glaciazione, come hanno trovato Oetzi, l’uomo del Similaun.

Appena immergo la gamba dentro il torrente, perdo l’uso dell’arto. Al polpaccio parte un crampo che una colica renale, in cambio, la vedrei come un regalo di Natale.
L’acqua è così gelida che dopo i primi passi, mi giro per vedere se mi è rimasto lì, sulla riva, il piede sinistro, che non lo sento più.

Ormai cammino sui sassi ma potrebbero essere tagliole, vetri o cadaveri di istrici che andrei avanti lo stesso senza sentire nulla.

Arrivo sull’altra riva e mi giro a guardare gli altri che attraversano. La mia espressione ha tolto loro ogni speranza: devo avere la stessa faccia del soggetto ritratto nell’Urlo di Munch.
Una faccia terrorizzata, paralizzata lì, senza possibilità di scongelarsi.

Anche la combriccola che mi segue dà il meglio di sé, in un caleidoscopio di facce e grida di dolore che sembrano le vittime di un sacrificio di massa Azteco.

Arrivano tutti di qua.

Il Giamma fa finta che non gli si siano paralizzate le gambe e mentre si china per rimettersi gli scarponi si sente un crack tipo vetro spezzato: è la sua schiena che si era congelata per induzione.
Sempre fingendo ieraticità, con sprezzo del dolore, si tira dritto e ricomincia a camminare che sembra un trampoliere.

La povera Marianna mi sta guardando con uno sguardo che significa: “ …! …… !!!!! …! !!!....!!!!!.... … ….. .. .. … … .!..... !. !”.

Se il Giamma vantava una qualche velleità verso l’allieva gnocca, adesso ha più probabilità di accoppiarsi con un Minotauro femmina che con lei. Lo sguardo di dolore misto ad odio e compassione che l’allieva ha, mi fa temere l’ammutinamento e soprattutto mi fa temere per l’incolumità fisica del Giamma.

Ma non siamo qui per divertirci!

Siamo qui per andare ad arrampicare sulla via asciutta senza nome che il Giamma riserva per noi.

Senza troppo dilungarci nella descrizione della lieta passeggiata, tra guadi, salti su rocce muschiate, lotte con le iguane giganti velenose, salassi con le sanguisughe e attacchi di malaria e febbre gialla, arriviamo là, dove il Giamma sa esserci la via asciutta.

La parete dove dovrebbe correre questa linea di roccia idrorepellente (che la abbiano impermeabilizzata con la paraffina liquida? … deve essere un piacere arrampicarci sopra! ) non si vede dal basso: “Dobbiamo salire lungo questo torrente, fino ad una cascata” – dice il Giamma.

Beh: mi conforta il fatto che questa parete sia così solatia e asciutta … che ci corre anche una cascata, sopra!
A giudicare dal fragore che scende dall’alto, Gullfoss in Islanda al confronto è un rigagnolo semi-prosciugato.

La salita lungo questo ombroso sentiero nel bosco è una gioia: tre passi su, nel fango, due passi giù, grazie al fango.

In un’oretta di step, siamo alla cascata: siamo tutti così stanchi che vorremmo bivaccare.

Estraggo la portaledge e la fisso ad un albero. Il Giamma mi dice che non è il caso.

La cascata, come il fragore lasciava forse vagamente presagire, è talmente gonfia che anche qui, a trenta metri, ci stiamo facendo la doccia: beh, poco male, che almeno così ci scrostiamo lo zoccolo di fango dagli scarponi.
Era così alto, lo zoccolo, che per la prima volta ho varcato l’altezza del metro e ottanta: che emozione!

Dal flusso che c’è, mi aspetterei di vedere qualcuno scendere col kayak. Ma non passa nessuno.

Il rumore dell’acqua è così forte che se gridassi: “Giamma: vaffanculo a te e a queste idee del cazzo!”, il Giamma non mi sentirebbe.

Quindi grido: “Giamma: vaffanculo a te e a queste idee del cazzo!”.

Il Giamma probabilmente pensa che stia facendo qualche apprezzamento circa la beltà dei luoghi e quindi mi risponde: “[ ------------------------------------]”

Onestamente non lo so cosa mi risponde: non lo sento!
Ma siccome sorride non mi starà mandando a cagare anche lui, credo!

Lo avvicino e gli grido nelle orecchie: “Doveminchiaèstavia?!”

Lui mi risponde gridandomi nelle orecchie: “… Sotto la cascata in parte, e in parte accanto: dove arrivano gli schizzi d’acqua! … È un po’ bagnata … ”

La via asciutta sarebbe lì: sotto sto fiume in piena. Povero Giamma: ci credeva davvero!

Lo vedo contrito: triste.
Povero diavolo: che pena mi fa!

Recupero gli allievi.
Ci allontaniamo dal fragore.
Mi accerto che siano disarmati e poi gli spiego che … è il caso di tornare indietro.

Anche loro vorrebbero bivaccare.
Anzi: come nelle migliori tribù di cacciatori-raccoglitori, uno si era già messo a pescare per il pranzo e le donne stavano cercando bacche ed erbe amare per la cena. L’altro aveva acceso il fuoco.

Mi schiarisco la voce.
Mi accingo a testare la mia capacità di persuasione:
- “Ragazzi: vi è piaciuto il giro?”

- “ … …… … … ..”! (Me lo dicono tutti: in coro!)

- “Va beh, dai; oggi è andata così. Torniamo indietro: magari col sole che è uscito qualcosa asciuga in bassa valle o al massimo andiamo al Sasso Remenno a far due tiri, ok?”

- “ … …… .. . … … ….!” (Sempre all’unisono).

Ok: li ho convinti! Che autorità! Che autorevolezza!
… o forse è solo che ne hanno le palle così piene di ‘sta mattinata che non hanno neanche la forza di rispondere?
Non mi pongo veramente la questione: ho paura della risposta.

Prendo e porto a casa il fatto che non ci hanno ancora aggrediti, a me e al Giamma, e che possiamo sperare di non essere radiati dalla scuola per “coglionaggine conclamata”, dietro ricorso degli allievi.

Ci rimettiamo in marcia: la discesa su fango mi è sempre riuscita piuttosto bene. Diciamo che questo pendio, con lo zainone ripieno e senza sci è un OSA, o almeno un BSA+ (rischio valanghe 3 marcato).

Arrivo giù con tanto fango addosso che sembro uno speleologo, invece che un arrampicatore.

I ragazzi arrivano giù ugualmente puliti ed ugualmente incazzati.
Le ragazze, invece, sono meno incazzate perché si dice che i fanghi della Val di Mello facciano bene alla pelle.

E via, con la marcia di ritorno.

Tuttavia, c’è una certezza: piuttosto che rifare il guado di poco fa, passo di liana in liana come Tarzan.
E se non ne trovo, di liane, aspetto che crescano e me ne resto da questa parte del fiume, nel frattempo.

Poi il Giamma – forse si tratta di un’illuminazione divina che il Signore gli ha donato per rimediare un po’ a tutte le cappellate della giornata – trova un cavolo di sentiero sul lato opposto della valle, che forse è emerso perché la piena del torrente va scemando.

‘Sta pista mai più percorsa dai tempi dell’uomo di Neanderthal è si un V grado su macigni melmosi: ma almeno ci evita di rivedere diventare blu/nerastri i nostri piedi.

Ringraziamo tutti, sentitamente.

Arriviamo così, felici come una Pasqua, giusto giusto sotto il sentiero di attacco di Stomaco Peloso e guarda te cosa ci capita: lassù, sui tiri alti di Alba del Nirvana – la via che prosegue da Stomaco Peloso – vediamo qualcuno che arrampica.

Al Giamma parte l’embolo: “Caz…pita! Ma allora si può fare! Dai che andiamo anche noi! Quelli lassù li riconosco! Sono l’Antonio e il Marco con gli allievi! Dai che andiamo anche noi a fare sta vietta!”

Ormai il Giamma potrebbe proporre qualsiasi cosa: andare a fare l’accoppiata Stomaco Peloso-Alba del Nirvana; andare ad aprire una via nuova; andare a ripetere Polimagò con gli allievi, andare a funghi (che secondo me, sarebbe anche una bella idea!) …

Il mio cervello è pronto a tutto: rassegnato, dopo ‘sto percorso di guerra, che sembrava un’esercitazione degli incursori della Folgore senza fucili.

Gli allievi vorrebbero andare ad arrampicare: ma gli starebbe bene anche andare ai Bagni di Masino a fare le terme (le ragazze così finirebbero il trattamento di bellezza).

Ma non abbiamo tempo di riflettere né di replicare: il Giamma è già sul sentiero. Anzi: è già all’attacco, e grida giù: “Dai! Allora!? Ci sbrighiamo o no?”.


….
…..

Quindi ci tocca farci ‘sti altri 200 metri di dislivello (che con i precedenti, per oggi, fanno 2000 metri di dislivello: neanche nelle mie migliori sci alpinistiche primaverili!).

All’attacco, due splendide sorprese.

La prima: il Giamma riconosce perfino gli zaini degli altri istruttori Antonio e Marco. È certo che siano altre cordate della scuola, a precederci. Non ci spieghiamo come mai non rispondano quando li chiamiamo (visto che stanno cento metri sopra …): ma accettiamo il fatto come un mistero della fede: un dogma insondabile, imperscrutabile. Siamo stanchi di farci domande, oggi.

La seconda sorpresa: la via Stomaco Peloso, con la sua bella placca iniziale di IV, è più o meno nelle condizioni della via che il Giamma ci voleva fare salire vicino alla cascata.
Manca solo la cascata.

Ma non c’è nulla da fare. Ormai, se vogliamo conservare un briciolo di credibilità e di dignità – umana, prima che alpinistica – ci tocca salire: se no gli allievi avranno anche ragione a farci la pelle.

Il mio allievo Paolo, durante il trekking della Val di Mello appena concluso, con il temperino ha lavorato un ramo e ne ha ricavato una lancia di legno in perfetto stile boscimane: non so come, ma l’ha anche intinta nel curaro che non so dove si sia procurato (che se lo sia portato da casa? …!) ed ora, se non parto per sta via, mi fiocina e finisco la mia vita qui, in modo inglorioso.

“Istruttore muore trapassato da un lancia boscimane avvelenata alla base della via Stomaco Peloso, in Val di Mello”: immaginando i titoli del telegiornale regionale e la figura di merda che farebbe mia moglie ad avere sposato uno che muore così, mi persuado a salvare il buon nome della famiglia.

Così mi metto le scarpette e mi torna in mente la mia prima via da primo: la famosa Via del Veterano, con partenza fradicia.

Siccome sono un veterano della placca bagnata, mi tocca partire.

Provo a convincere gli allievi che ora il primo spit non è a due metri ma a dieci metri da terra.

Faccio gli occhi dolci pure in questa occasione per suscitare pietà: ma anche la buona e tenera Marianna adesso sta affilando il Victorinox conto una pietra per il caso che decida di desistere. Penso che stia anche scegliendo in silenzio quale sporgenza tagliarmi, nel caso non partissi.
Con questa motivazione, parto.

Mi fa sicura la Marianna: ottimo!
Così, se scivolo, oltre ad asciugare per attrito la via, faccio anche arrivare direttamente in sosta l’allieva, che salta direttamente il primo tiro.

Per fortuna arrivo in sosta: maledico ‘sti beduini di istruttori Antonio e Marco: “Ma che cavolo gli è venuto in mente di andare a fare una via in queste condizioni?! Pazzi assassini!”.

Mi assicuro alla pianta e rimorchio su i miei allievi che, giunti in sosta, dalla commozione mi abbracciano: hanno arrampicato! Incredibile, per essere un corso di alpinismo! E sono riusciti ad arrivare su senza accendersi come fiammiferi su ‘sta placca scivolosissima!

Intanto che sono qui, mi giro per guardare sopra e vedo con piacere che le cordate che ci precedono non sono quelle degli istruttori Antonio e Marco: ma quattro tizi sconosciuti, probabilmente dei diciottenni inglesi, abituati ad arrampicare sulle scogliere fradice – tra le alghe e le cozze – e chiaramente sotto effetto di qualcosa di buonissimo e fortissimo, per essersi buttati su questa via in tali condizioni.

Chiedo gentilmente all’allievo Paolo se ha portato per caso con se la lancia intrisa di curaro, che aspettiamo un attimo in sosta il Giamma.

Purtroppo non ce l’ha: ci toccherà cercare la nostra vendetta verso quel genio dalla vista di aquila di un Giamma, scagliandogli delle pietre dieci centimetri prima che arrivi al primo chiodo della via.

Poi invece ci lasciamo impietosire e lasciamo perdere: anche perché, di questo passo, alla fine di Alba del Nirvana ci arriviamo di notte con i frontali.

Tiro fuori le palle: il paio supplementare che porto con me sempre per le situazioni di emergenza.

Le monto, e salgo sta via e la successiva ad una velocità che al mio passaggio la roccia si asciuga.

Il Giamma, arrivato alla sosta dell’ultimo tiro della concatenazione, deve anche tirarmi giù dal tiro della via successiva, Morti Viventi, che per sbaglio, ho iniziato e quasi finito: “Dove cazz… vai che è un tiro di VII che gli allievi ci lasciano le braccia lì!?”

Stavolta ha ragione: mi calo e desisto.

Non volevo farlo, veramente: è che per inerzia, sono finito oltre …

L’entusiasmo da arrampicata mi aveva fatto un poco eccedere …

Finiamo sta giornata surreale con una via portata a casa: non riesco a crederci! Ho perso la scommessa che oggi non avremmo fatto un bel caspita di niente!

Portiamo a casa anche gli allievi contenti, sebbene non riescano più a rimettersi gli scarponi: che ora sono inglobati in blocchi di argilla secca che dovremmo spaccare con il piccone e rifinire col flessibile.

Non ci credono neanche loro che dopo tre ore di cammino, siamo riusciti a fare una vietta degna di soddisfazione!

Ora non ci resta che scendere: tornare al parcheggio e poi all’hotel.

Non voglio neanche immaginare con quanta gioia ci accoglieranno gli altri istruttori!

Sono le tre e venti e l’appuntamento e a un quarto alle 4 all’hotel. Neppure se chiamassimo il soccorso con l’elicottero ce la faremmo ad arrivare in tempo e già mi pregusto il cazziatone del Diretur.

La prossima volta, come premio, mi farà arrampicare con la Sciura Giovanna ubriaca e con le voglie!
Forse mi dimetto dal ruolo, che mi conviene: scappo alla Gianetti e mi do per disperso un paio di Giorni.

Ma la Gianetti è in salita: l’hotel è in discesa, più o meno. E rotolando, ruzzolando e bestemmiando, prima o poi ci arriveremo! Prima o poi …

Più poi, che prima.

TO BE CONTINUED
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Cat



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MessaggioInviato: Gio Gen 27, 2011 12:38 am    Oggetto: Rispondi citando

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leo



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MessaggioInviato: Gio Gen 27, 2011 9:18 pm    Oggetto: Rispondi citando

Son tornato a ridere come ai tempi del racconto della strada chiusa Laughing Laughing Laughing
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mrcmax



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MessaggioInviato: Dom Feb 06, 2011 11:22 pm    Oggetto: Rispondi citando

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paolo75



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MessaggioInviato: Mar Feb 08, 2011 8:36 pm    Oggetto: Rispondi citando

Quasi me lo perdevo, sempre forte, e ora spetto il gran finale Wink
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