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   Corna di Val Canale e Viaz del Fop, 26/06/2023
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  Valcanale (1000m)
Quota attacco  2000 m
Quota arrivo  2145 m
Dislivello  145 m
Difficoltà  PD+ / III ( III obbl. )
Esposizione  Nord
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  corda 30 mt e nda
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Terminati i giorni belli e commoventi e pure faticosi del passaggio del mitico Greg alla famiglia adottiva, mi resta qualche giorno di ferie in cui Dani mi permette disparare le mie cartucce. Ho un po’ di arretrati da sistemare e il primo giorno voglio fare una capatina veloce di nuovo per provare a salire la corna di Valcanale visto che per l’indomani abbiamo in programma con Zeno la cavalcata Gleno Tre Confini. Mia moglie parte l’indomani mattina per un paio di giorni al mare con i ragazzi del Centro e allora io abbandono casa la sera del 14/06/2023 per andare a dormire in tenda a Valcanale nel laghetto che immagino deserto di notte. Salendo in Valseriana, le previsioni smentite, vengo sorpreso da acquazzoni e quando arrivo al park gocciola ancora. Sono quasi le 23 non ho in programma di dormire molto e quindi mi butto nel retro della peugeot con un plaid troppo caldo per la stagione. Non dormo comunque male e quando suona la sveglia alle 4 mi sento bello pimpante. Venti minuti dopo sono pronto alla partenza pensando che visto la stagione potevo partire anche un ora prima…evvvabbè. Mitraglio di passi l’asfalto e poi scavalco la sbarra che impedisce l’accesso automobilistico alla ormai in disuso strada che saliva verso l’Albergo Sempreneve. Sui suoi tornanti mi colgon i primi chiari e passo l’albergo avvolto nel buio della mattina giovane e dei bei tempi che furono. Salgo la frana segnata dal nuovo sentiero, le vecchie piste da sci e in piena luce alle 5 raggiungo i 1430 mt della Malga Bassa di Vaghetto. Giro a sinistra come la volta scorsa per il sentiero senza indicazioni e raggiungo 5 minuti dopo l’idilliaco spiazzo dove è allocata la Malga di Vaghetto Alta incastonata fra foreste d’abeti e cime maestose (Fop, Valmora e Anticima Orientale dell’Arera che aguzza svetta in cielo lamentandosi del suo toponimo. Ieri ho chiamato Alessio spiegandogli il naufragio vs il Passo del Re del mio tentativo precedente e lui mi ha confermato che il sentiero che cercavo e che lui impropriamente descrive nella sua vecchia guida Ai Duemila Bergamaschi è ripresa da uno scritto del Saglio e probabilmente non esiste più. Mi ha dunque spiegato che la via di salita per la Corna di Valcanale prevede di salire al Passo del Re e seguire la cresta vs il Fop fino alla sua seconda anticima per scendere poi un canalino (doppia!) e risalirne poi un altro per raggiungere l’agognata cima. Ora rispetto a un mese e mezzo fa non c’è neve e vedo un tratturo che muove vs sinistra e per curiosità provo a seguilo per un poco notando che non finisce affatto anzi…solo che così mi sto allontanando dalla via maestra che sale a 90° verso il passo. Mi fermo incerto a ragionare.. se seguo questa via sicuramente rinuncerò anche stavolta alla cima..ma alla fine prevale la curiosità e l’interesse per l’alpinismo esplorativo per cui seguo la traccia che abbastanza visibile scende infine al greto che raccoglie tutti gli scarichi del vallone del Re. Trovo ometti e alfine dall’altra parte il sentiero che misteriosamente s’infila in salita nel bosco invitandomi a raggiungerlo. Non evidentissimo ma facile a seguirsi con radi ometti e rossi segni sbiaditi mi offre appena terminano i fusti una bellissima vista della Corna che ora gode, non più schiacciata nella mole del Fop, di propria autonomia. Alle mie spalle in lontananza un bellissimo prato sfalciato con la sua malga a completar il quadro, ma che non riconosco. Riprendo a salire entusiasmato dalla curiosità e dalle prospettive offertemi da questo inatteso sentiero che s’inerpica fra boschetti e bei prati da cui emergono sempre più distinte le cime del Fop e della Corna a destra. Raggiungo e supero un piccolo promontorio e poi mi trovo sotto una sorta di fascia rocciosa che fa da scudo basale alla mia montagna. Intanto alla mia destra va in scena l’alba che pennella d’arancione la cima dell’Arera prima e quella di Valmora e Corna Piana poi. Sono le 6 e deduco dai bellissimi prati verdi che spianano di essere al luogo chiamato Colle del Verem(q.1700), luogo veramente bello dove il sentiero però si perde nell’erba alta e verdeggiante. Ma non importa perché qui è grandiosamente bello e osservo la luce del sole colorare dolcemente ora le due cuspidi sopra di me: Fop e Corna. Vedo i loro zoccoli basali che alternano fasce rocciose più verticali e cenge erbose che le sostengono: sembra di essere in Dolomiti. Con lo sguardo accarezzo il mio sentiero che percorre verso sx una delle cenge e mi chiedo dove andrà. Ritrovatolo lo percorro per pochi minuti fino a trovarmi ad attraversare un grande e impercorribile canalone roccioso che scende dalle due montagne. C’è ancora un grande nevaio da cui scende centralmente sotto l’arcata nevosa un bel getto d’acqua raccolta da una tinozza blu. Proseguo oltre chiedendomi quando dovrò salire verso la mia montagna e subito dopo sotto dei bei pendii prativi capisco che seguendo il sentiero mi allontanerei troppo dalla meta essendo il canale centrale fra le due cime già alla mia dx. Abbandono quindi la traccia e prendo a salire l’erto pendio a zolle erbose intuendo tracce di passaggio e andando a puntare un canale franoso a dx che sembra promettere l’accesso alla fascia erbosa superiore. Argentea nel cielo azzurro domina sopra i miei passi la mezzaluna della Corna. Raggiunti i prati continuo a spostarmi vs dx per aggirare dei risalti rocciosi e poi invece svolta a sx per lasciarsi a lato un contrafforte roccioso della parete e andare così ad infilarsi nel vano fra le due montagne. Sono le 7 e solo una paretina friabile mi divide dall’accesso al Van superiore. Salgo senza troppe difficoltà ma l’ultimo paio di metri è troppo ripido friabile e bagnato per correre il rischio di affrontarlo e precipitare giù. Prendo allora in considerazione un canale dirupato a sx che superato quasi senza arrampicare mi deposita su un poggio erboso e sulla cengia basale (detta Carini) da dove vs destra passo sopra la paretina e poi mi trovo di fronte ad un piccolo muretto (passo di II°) che devo superare per accedere alla piccola conca del nevaio finale che si annida fra le due pareti principali. Una sorta di parete arcuata le unisce e cerco di studiarne i punti deboli per capire se è fattibile salirla. Ni, decido comunque di provare a forzare un breve camino che si trova sul lato sx e superatolo mi trovo a dover affrontare un passaggio facile ma esposto e friabile in diagonale. Ci penso e ripenso perché forse sarebbe l’ultimo ostacolo dato che in alto la parete sembra presentare delle zone concave ma non riesco a fidarmi: scivolare qua vuol dire ammazzarsi perché sono alto ormai una trentina di metri rispetto alla base. Rinuncio, faccio una doppia su spuntone (!) sopra al camino e alle 8.30 sono di nuovo sano e salvo al nevaio senza rimpianti. Verso il basso splendono nel sole le borgate di Valcanale e dopo aver disarrampicato il muretto sono nuovamente sulla cengia Carini che percorro brevemente verso dx dove conclude la sua corsa e muore nei basamenti rocciosi. Non intuisco la via di discesa contro parete a sx che resta nascosta alla visuale e inizio a cercare una via per sscendere dal promontorio su cui mi trovo, ai ghiaioni basali un centinaio di metri sotto di me. Sembra possibile anche se i primi passi sono quelli di raggiungere un terrazzino erboso calandomio da un ramo del grosso e visibile larice che sta in alto. Scendo poi abbastanza agevolmente per dei canaloni per dover poi fare un’altra calata in doppia (ho con me una corda da 30 mt) che mi permette di raggiungere il ghiaione basale nel grande anfiteatro del basamento della cresta del Fop (h 9.45). Dal mio punto d’osservazione pare che una traccia si generi da circa metà del ghiaione per dirigersi ai basamenti rocciosi ed erbosi dall’altro lato del vallone e dove una traccia sembra garantire la prosecuzione dell’itinerario. Mi metto in testa di vedere se riesco a raggiungere il Passo del Re per valutare eventualmente poi di salire da lì alla Cima della Corna di Valcanale. Comincio a traversare la pietraia in linea orizzontale e senza grande fatica osservando la bellezza dell’ambiente con la grandiosa struttura ad arco della parete della cresta del Fop, piatta in cima che va a morire sull’altro versante per poi riprendere oltre con un altro grande arco che la collega al passo. Mi volto a fotografare il contrafforte da cui sono sceso sorridendo alla vista dell’unico larice che in cima rappresenta il mio punto di partenza. Nel frattempo raggiungo la traccia di camosci che in effetti sale dal basso e la seguo fino a giungere ad una paretina erbosa da risalire. Solo che per arrivarci c’è una incredibilmente esile ed esposta cengetta. Sembra un invenzione da Viaz dolomitico dove il buon Miotto certo piazzerebbe uno dei suoi cordini metallici per vincere il passaggio sul vuoto. Studio bene il passaggio e mi pare proprio che lo spazio per poggiare i piedi ci sia sempre: certo vista la verticalità della placca sopra, ci vorrebbe proprio un filo per le mani. Penso a Zeno e a cosa ne penserebbe di attrezzare un passaggio del genere. Vedo ora bene la lingua di ghiaie che sale ad esse a lambire la parete e da cui sarei dovuto scendere una volta giunto alla fine della “cengia Carini”. Scendo e cerco di aggirare questo promontorio per arrivare sul costone dall’altro lato perdendo circa 80/100 metri di quota. Mi viene anche in mente di tornare ma non vedendo tracce del sentiero percorso all’andata mi butto sulle tracce di altri quadrupedi per andare a dare un’occhiata “on the other side”. Oltre la valle in basso Pradella e Salina con le loro forme scure dominano sui Monti di Bani e lo Zulino che a loro volta gettan ombra sui prati rasati dei begli alpeggi sopra Valcanale. A nordest mescolati alle nubi fanno capolino le nevi di alcuni giganti orobici: Coca, Diavolo di Malgina, Torena. Domani con Zeno sul Gleno troveremo ancora neve ..e si bisognerà portare i ramponi! Arrivo in basso e vedo linee d’animali circumnavigare il promontorio dove sarei arrivato scavalcando la cengetta. Inizio a risalire coste prative e vedo il Passo del Re ancor lontano e ora anche il bianco Gleno che sembra aspettarmi e dirmi ci vediamo domani. Ripiegando a sx vedo un colletto che penso possa essere il promontorio dove volevo arrivare. Quando ci arrivo vedo che ho ancora da salire e tornare per un pezzo a sinistra ma finalmente alle 11.15 sono sulla cima un poco esposta del mio pinnacolo a guardar giù verso la cengia che anche da qui s’intuisce. Ci ho messo un’ora per arrivarci invece dei 10 minuti se il passaggio fosse attrezzato. Mah…vedremo…ora torno al colletto e decido di proseguire vs il passo e comincio a studiare percorsi ormai in modalità “ inventiamoci il Viaz del Fop”. Costruisco ometti giganti al pinnacolo e al colletto da dove vedo che potrei traversare in orizzontale su tracce o salire alto e costeggiare le pareti basali. Per ora traverso verso un grande imbuto franoso traversato dalla solita linea animale e oltre il quale in dosso verde promette terreno migliore. Il terreno nell’imbuto è veramente pessimo essendo fondo inclinato e duro perché slavato da piogge e frane e friabilmente scaglioso. Gli scarponi lavorano di lato con faticose torsioni del piede e non riesco a trovare un accettabile passaggio salendo verso l’alto. Con rabbia mi rassegno a scendere all’altezza di un larice isolato (alla stessa altezza del colletto) al bordo dell’imbuto e dal quale scendendo fino al suo termine traverso su rocce un poco più stabili e infine risalgo alla traccia orizzontale che raggiungo a mezzogiorno. Spero sia fatta ma pochi minuti dopo raggiunto il verde costone vedo che questo sale e basta mentre davanti a me precipita letteralmente a valle. Di salire su terreno ignoto che sembra praticabile non ho ne tempo ne voglia pensando alle fatiche che mi attendono domani. La via di fuga è solo verso l’alto perché anche di lato il costone diventa verticale e solo sopra si può forse passare. Oltretutto,il cielo si sta chiudendo e dopo aver studiato le rocce sopra di me immaginando differenti linee di passaggio che sembrano esserci per collegarsi al sentiero che poi scollinerebbe al passo del Re, decido di volger lo sguardo a valle per capire se da qui si possa scendere senza dover fare la troppo lunga linea a ritroso. Sembra di sì, anche se il terreno non sembra dei migliori. Muovo i primi passi vs il basso alle 12.30. Terreno accidentato e mi muovo con circospezione cercando a vista di evitare i salti rocciosi aggirandoli per banche erbose spesso però molto inclinate. Poco dopo annodo la corda attorno ad un alberello per calarmi oltre un salto spiovente. Non uso l’imbrago e la corda mi scalda le mani! Continuo a scendere friabili canali slavati mettendo a dura prova le piante dei piedi e la resistenza alla torsione delle mie caviglie..quando mi giro a guardare da dove scendo stento a credere di essere sceso da lì..sono al confine tra l’escursionismo e l’alpinismo..troppo difficile per scendere in piedi ma non abbastanza da poter disarrampicare usando le mani. Rischio continuamente di scivolare o slogarmi una caviglia in continui traversi per evitare le pendenze maggiori. Logorante. Seguo costoni laterali o letteralmente il fondo di canaloni e alvei in secca passando di dirupo in dirupo in una discesa infinita e snervante che raramente concede pause tranquille. Disarrampico l’ennesimo saltino sopra una pozza dove mi rinfresco e poco dopo abbandono il vallone per entrare in un bellissimo bosco di faggi che sono certo mi depositerà a valle…e invece poco dopo mi trovo sopra un altro dirupo e la solfa riprende. Sconsolato riprendo a marciare sul marcio ma poi sembra che l’ultimo impegnativo traverso mi possa definitivamente depositare a terra e con infinita gioia dopo una svolta mi ritrovo sul greto a cercare e individuare poco dopo gli ometti visti e rifatti al mattino dove il sentiero proveniente da malga Vaghetto Alta traversa per poi continuare nel bosco. Sono le 14 e sono salvo, ormai su terreno facile e semplice ed ho concluso l’anello sulle pendici del Fop in attesa di revisioni. A Malga Alta invidio il pastore che dorme poggiato sul gomito alto e lo fotografo di nascosto intitolando “vita” lo scatto. Poi Malga Bassa e la decisione scendendo sotto la pioggia che inizia a cadere di andare alla casaccia visto che tardi non è e corricchiando in discesa con gli scarponi che fanno un poco male, arrivo al park alle 14.45. Quando arrivo a Crema, in estasi casaccia trovo la casa piena degli amici di jari, ragione in più per sparire velocemente per cui recupero quanto mi serve e riparto nuovamente. Mi precipita improvvisamente addosso la stanchezza e il caldo opprimente della piana padana mi avvolge sedandomi e imbambolandomi. Ma ho una gran voglia di rivedere questo luogo dopo anni che non ci ritorno. Curiosità ed eccitazione mi tengono gli occhi aperti. La casa c’è ancora come allora e anche il sentierino d’accesso è rimasto. Tutto è a posto e gli spit ci sono ancora come quasi tutti i legni predisposti per lo scorrimento della corda, ma sono le energie che mancano e i bicipiti forse tesi per le continue calate di giornata, alcune fatte senza imbrago e freno, protestano e s’irrigidiscono immediatamente, ghisandosi e costringendomi al suolo. Meglio sdraiarsi sul telo a guardare il cielo. E così mi calo nel tempo che fu, nei vent’anni passati in questo pezzo di prato dove sono cresciuti i miei figli e i miei sogni. E guardando in alto, ne sogno altri respirando la brezza che come allora muove le fronde degli alberi sopra di me e viaggio cullato dal quieto gorgoglio della cascatella che instancabile ancora sussurra parole dolci d’amore. Quanta poesia in questo luogo fatato furi dal mondo e dal tempo. Fantastico epilogo di questa incredibilmente bella giornata. Grazie vita. Foto1 Cima del Fop e Corna di Valcanale Foto2 Cengia Carini e mio percorso foto 3 la parete fra Fop e Corna
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