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   un pezzo di Viaz dei Camorz, 23/10/2015
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Veneto
Partenza  Pian de la Fraina (950m)
Quota attacco  1900 m
Quota arrivo  1600 m
Dislivello  300 m
Difficoltà  PD+ / III ( II obbl. )
Esposizione  Varia
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  corda 30 mt, casco, nde
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Dopo aver percorso quasi per caso l’ultimo tratto di questo celeberrimo Viaz nel luglio 2009 e averci provato seriamente nell’agosto 2013(io e Nico ci fermammo per l’arrivo di un furente temporale che spaventò soprattutto me), ci riproviamo per la seconda volta nell’Ottobre 2015 complice una stagione ancora calda e molto secca e che non ha visto finora precipitazioni nevose alle quote del Viaz. Sogno il cielo d’ottobre dai primi di settembre ma impedimenti vari, contrattempi, sfortune e meteo impediscono più volte di partire per il progettato viaggio nel sogno del viaz facendo montare in me la frustrazione e la malinconia. Con un ansia simile a quella del giorno degli esami parto il 22 ottobre con nico. E’ tutto a posto: previsioni meteo fantastiche e permesso d’aria valido per 2gg e ½ firmato dalla moglie. Ci giochiamo il ½ avvicinandoci a Belluno per dormire in tenda (finiremo poi in realtà in casa del Mot dove Marta e Paolo festeggeranno con noi l’inatteso incontro). Rischiamo di mettere a repentaglio il tutto ma l’indomani solo un filo scossi dalle abbondanti libagioni e bevute ci svegliamo comunque alle 5 nel cuore della notte tardo autunnale. Traversiamo illuminate da poche luci le frazioni di Bart e Tisòi che sono gli avamposti avanzati per i nuovi pionieri di questi meravigliosi angoli di montagna dimenticati dagli intenditori della bellezza commerciale e lasciamo la macchina al Pian de Fraìna (m 950) in mezzo al bosco, dopo aver percorso una stretta stradina asfaltata che parte dalla frazione di Bart (km 11 da Belluno). Non è segnalata, ma è anche l’unica che sale alle ultime case del paese, insistendo poi per altri quattro chilometri dentro la valle. Partiamo nel buio delle 6 continuando a piedi oltre il divieto di transito con la pendenza giusta per scaldare i muscoli delle gambe e l’unico suono del frusciar di foglie smosse dai nostri scarponi. Alti sopra la Val Gresàl puntiamo a nord, incrociando ben presto il percorso 510 che sopraggiunge da Casera Zoppa di Tisòi e arriva alla Forcella Costalunga. Dei volti scolpiti sulla pietra sopra un bell’arco in pietra sotto il quale passiamo, sembrano metterci in guardia contro l’ignoto che ci attende e poi cominciano i tornanti e iniziamo a sbuffare sul sentiero che s’inerpica. Andiamo a sormontare la dorsale della spalla che unisce il Perón alla Pala Alta (Forcella di San Giorgio m 13002) e alle 6.45 le luci di Belluno colorano allegramente lo scuro buco della Val Belluna e un alba blu appare ad est. Sopra il cielo è ancora nero. Intriso di stelle. Scatto foto straordinarie come straordinario è sempre il momento in cui il cielo da nero diventa blu e poi la linea arancio porta luce e vista e si solleva il sipario sulla meraviglia di una nuova giornata. Oltre il serva, sopra il Monte Cavallo irreali giochi di luce quasi boreali rendono giallo psichedelico quell’angolo di cielo e la Val belluna tutta è investita da fasce di luci policrome. Sass de Mura, Pizzoc e Piz Sagron anticipati dalle Stornade riflettono imbarazzati d’arancione. Esattamente un’ora dopo i primi deboli segnali di luce, sorge il sole dietro il Monte Cavallo e le onde arancione sommergono anche noi non più solo le alte montagne el erbe già secche che calpestiamo paion prender fuoco tanto è il colore che le fa ardere. Mentre anche i larici s’incendiano saliamo ripidi per erbe e davanti a noi appare la Bareta del Prete, massiccia formazione rocciosa sull’anticima che ricorda vagamente il vecchio copricapo dei preti. Saliamo ancora accarezzandola finalmente e girandovi intorno fino a sormontarla. Qui stacca e ha inizio la variante per la Pala Bassa e il “Viàz da Camòrz”, il posto si chiama Forcella di Pala Alta(q.1900). Gli ultimi passi intimoriti, poiché si percepisce il vuoto impressionante sulla Val de Piero. Intricatissima e misteriosa, vi emerge la parete del Burèl con i suoi mille e passa metri a sfidare tutte le leggi della gravità. Nonostante si siano misurati su essa i più prestigiosi nomi dell’alpinismo eroico, il Burèl rimane sempre il re semisconosciuto delle Dolomiti Bellunesi. Nico fatica si lamenta del peso(suo) e della mancanza d’allenamento, ma non mi preoccupo perché è uno che non muore mai: per precauzione e per aumentare un po’ la velocità passiamo però i pesi nel mio zaino. Ci caliamo cosi’ nei nostri ruoli naturali: un capo cordata e uno sherpa. Alla nostra destra i pendii bruni di erbe di erbe avvizzite sembrano invitare al viaggio con la punta del Burel che burbera controlla e la più materna Schiara spruzzata di bianco sul capo. Che colori. Sono le 8 e sostiamo in contemplazione davanti alla targhetta metallica che segna l’inizio del Viaz e alla scritta scolorita in rosso “Miotto” su un masso. Sembra che il suo spirito aleggi ancoria nell’aria fine che precipita per mille metri se facessimo qualche passo in più verso il centro di questo vuoto. Basta spostrasi di poco e si ha una discreta visione d’assieme del percorso del Viaz: si vedono infatti in ordine, la Cima Est di Pala Alta, la Pla Bassa, la Cima dei Sabioi, e poi lo sfondo fantastico della triade Burel Schiara Pelf. E spostandosi di qualche metro ancora lo spazio si libera ulteriormente e appaiono le Dolomiti di casa. Oltre i vicini Talvena Coro e Tamer, infatti spiccano Civetta Moiazza e la Marmolada. Dieci minuti di sole e calore poi la via scende a nord dove è ancora buio e c’è poca neve che non infastidisce. Mi giro per fotografare Nico e lo colgo in cresta al sole, a cavallo del buio. Uomo fra due mondi opposti: quello della lucecalda e quello dell’ombrafredda. Lontana in basso la Val Cordevole col suo solco selvaggio ma domato dalla civiltà e lAgner che dal basso prende la rincorsa per portare in cielo i suoi chilometri di roccia magnifica. La sua parete verticale e quella immensa del Lastei, adiacente , imbiancate ci ricordano della stagione avanzata. Sembra cantare per noi l’universo alpino ammaliandoci di struggente bellezza. Zoomo sul civetta e il suo bianco scudo sud. Che spettacolo incredibile di rocce che urlano al pallido cielo azzurro la loro potenza. Sprofondiamo a nord per cenge in un mondo freddo e repulsivo che vuol farci dimenticare la bellezza solare che fino a poco fa ci accarezzava. Scendiamo per canali erbosi e un grande canalone roccioso perdendo decisamente quota. In un’ agghiacciante visione verso il basso notiamo una traccia sulla Pala Bassa: sentiero o miraggio? Brilla di luce il versante Est del Burel in questo mondo ombroso tanto da sembrare un pugnale illuminato. Quando appare dopo svolta repentina a destra la cengia che traversa la parete est di cima pala alta la vista opprimente del baratro sottostante è sufficiente ad offuscare il ricordo della volta precedente in cui passammo con gli imbraghi e senza problemi. Sembra incredibile si possa passare nel mezzo di questa parete che è verticale e che non sembra offrire gli appoggi necessari. Eppur s’inghiotte saliva e con gli occhi fissi alla luce che ci aspetta a Forcella di Pala Bassa traversiamo, traversiamo passeggiando cauti coi passi che si svelano uno ad uno, senza problemi particolari. Il paio di cavetti vecchi arrugginiti e maltesi aiutano psicologicamente ma le placchette che li ancorano alla parete ancor più traballanti invitano ad un uso moderato. Con calma questa volta scatto belle foto a ricordo di uno dei passaggi più incredibili che mi sia capitato di affrontare. Alle 9 siamo nel sole della forcella(q.1650) a parlare di quanto sia bello essere fra monti senza dover correr dietro ad un obiettivo o ai tempi. Discorsi da alpinisti maturi. Nico accenna ad averne abbastanza. Nessuno gli da retta. Guardando indietro vengon le vertigini a pensar a dove siam passati, davanti invece il solco profondo e buio della Val de le Pale del Busnor che scende poi in Val del Piero. E sopra nel sole i feruch, Le Tornade e il dipinto di bianco per metà gruppo dell’Agner. Fotografo Nico controluce sulla piana di Belluno immersa nella foschia del mattino e sono felice di essere qui, ora. Ripartiamo mezz’oretta dopo iniziando a traversare pendii prativi giallo oro belli come solo l’Autunno avanzato li sa rendere: la Cima Est di Pala Alta occhieggia dietro di noi solare. In buio solo la vertiginosa parete nord che ci ha lasciato passare…e che sembra rammentarcelo. Nico fatica sotto il sole e anch’io mi fermo a togliere gli indumenti invernali. Riconquistata la cresta il panorama offre solare visione sull’intero gruppo dei Monti del Sole che sembra un mare di cime in burrasca. Sotto di noi la torre slanciata della Spirlonga,con dietro il paretone del Cielo e dietro ancora la Sud della Marmolada. Fotografo Nico intento ad osservare la val Medon che intricata scende verso il piano bellunese. Cosa starà pensando? Davanti a noi la Cima Sabioi e il Tiron oltre il vuoto di Forcella Medon. Attraverso la bellissima cresta promontorio semplice ma incredibilmente esposta dello Spallone Est di Pala Bassa e poi uno scatto bellissimo dall’alto, ritrae Nico mentre poco dopo affronta lo stesso tratto. Che mondo. Proseguiamo per creste e mughi appesi sul vuoto fino alla estesa cima della Pala Bassa(q1860, h 10.15) e ci prepariamo per la vertiginosa picchiata sulla Forcella del Medon: si scende grazie ai mughi e ai segni fra le erbe (lasciati dal grande Franco Miotto ideatore del percorso) che guidano mirabilmente nel pressoché unico passaggio fra scarpate strapiombanti e rocce verticali. Cominciamo la mugosa discesa su F.lla Medon guidati dai provvidenziali segnavia giallorossi che permettono di non smarrirsi nell’intrigo di rami e con la costante sensazione che da un momento all’altro si possa precipitare..ma c’è sempre un palmo di terreno che spunta improvviso per poggiare quasi sicuro il piede. Arriviamo ad una finestra che si apre nella roccia assicurata nel versante di discesa da un cavetto metallico. Poi traversiamo una bellissima crestina aerea ed esposta su entrambi i lati e disarrampichiamo un successivo camino di qualche metro. Atterriamo su una cengia esposta che costringe a superare nel suo tratto più delicato un’ insidiosa placca spiovente che porta a metter giù il culo per non assecondare la sua inclinazione sul vuoto e che ci crea qualche momento di apprensione. Superiamo e supero senza accorgermene la placca inclinata sul vuoto mancino che l’altra volta m’aveva costretto a chiedere la corda a nico (la roccia fa bene aderenza…altrimenti sai che salto!!!) e con un altro passo delicato superiamo il canalino sceso l’altra volta in doppia per calarci nel successivo attrezzato e traversare poi su cavetto per placche esposte che ci depositano sui prati ancora alti però sopra alla forcella. Scendiamo ancora per erbe ripide e un ultimo caminetto da disarrampicare ci porta finalmente alla base della parete rocciosa che guardandola sembra incredibile che siamo scesi proprio di lì. Bah…segreti del Viaz. Alle 11.45 arriviamo e facciamo un poco di pausa alla Forcella del Medon guadagnando il piano cui non siam più abituati e ci sediamo in forcella crocevia di valli repulsive ma anche possibile via di fuga verso la lontana Val Belluna. Il tempo è fantastico, tempo ce n’è ma Nico,lapidario, mi comunica che per lui finisce qui. Resto in mutande (non solo per il caldo) ma perché capisco che i timidi tentativi di farlo desistere dal proposito d’abbandono non sortiranno effetto. Lui si addormenta cullato dal tepore del sole e io rosico su improbabili ripensamenti del socio. Mi spoglio completamente e resto a prendere il sole in mutande, cìè un caldo notevole e assenza d’aria. Non riesco a prender sonno e rimugino. Peccato: mancavano solo 5-6 ore al rif. VII° Alpini (bastava solo dopo lunghi divallamenti risalire la cima dei sabioi e traversare per le cime dei pinei indi calarsi a Forcella Oderz). E poi il giorno dopo attraversare le cengie rocciose del burel e i prati verticali della costa del ciastelaz per portare i nostri scarponi sulla cima del riposante monte coro da dove immersi nei rododendri e contemplando l’invisibile linea percorsa avremmo reso grazie. Sarà per la prox volta. Dopo 1 ora e mezzo di bagno di sole nel quale il drittone dorme della grossa, si risveglia…e NON ha cambiato idea. Mi rassegno e col cuore triste iniziamo a calarci per l’infida valle del Medon che come la prima volta(ricacciati allora dal montare di un temporale) segnerà la via del nostro ritorno alla civiltà. Ho la morte nel cuore ma son contento di riuscire comunque a voler bene a nico che tanto m’ha dato in montagna. Scendiamo per l’impressionante greto del Medon percorribile anche se non c’è traccia alcuna. Iniziamo la discesa per l’ampio canale per lo più roccioso navigando a vista per evitare i salti più insidiosi e dovendo disarrampicare spesso ma senza mai incontrare difficoltà tali da dover usare la corda. E’ un viaggio infinito dispersi in questa marea di sassi e massi modellati dal passaggio delle acque che furono. Alle 15.15 passiamo dalle belle case in pietra delle Casere Colò e poi scendendo ancora arriviamo al caratteristico passaggio dell’Olt, una forra in cui scorre il Medon. Questa volta riusciamo a concatenare le varie tracce di sentiero, passando per le Case Bortot (q.700,h 16.15) e venti minuti dopo siamo a Gioz non di notte stavolta ma in un pomeriggio festoso. Un appello ai naviganti del wilderness: chi fosse interessato a fare il viaz può contattarmi. oscarrampica@gmail.com sono richieste solo 4 qualità: sapersi muovere sul 3° grado, non temere l’esposizione e il procedere per passi scabrosi, resistenza fisica per un percorso da spezzare in due tappe di circa 12 ore l’una, poesia per poter apprezzare la bellezza selvaggia dei luoghi che s’incontrano, che sono spesso scomodi e repulsivi. Foto 1 proseguio del viaz dalla pala alta Foto 2 la cengia della cima est di pala alta Foto 3 camino e traverso di calata vs f.lla del medon
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