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   Bike & Climb al monte Aga: VIA CALEGARI SCANABESSI, 03/08/2019
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Onicer  fabiomaz   
Regione  Lombardia
Partenza  Carona (1150m)
Quota attacco  2350 m
Quota arrivo  2650 m
Dislivello  300 m
Difficoltà  D- / V ( IV+ obbl. )
Esposizione  Ovest
Rifugio di appoggio  Rifugio Longo
Attrezzatura consigliata  Una buona scelta di chiodi, qualche friend medio piccolo.
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Mediocri
Valutazione itinerario  Buono
Commento RELITTI, ROTTAMI E UN TOPINO MORTO

"Tutto, è più facile delle Orobie" è la mia firma sul forum. E'una citazione scherzosa di Guidoval, nata in uno scambio di post in cui si parlava della via Calegari - Scanabessi all'Aga.
Ma mai avrei pensato che nascondesse un bel fondo di verità.
La Calegari - Scanabessi è una delle vie di "88 Immagini per Arrampicare", è una via del 1985, la penultima in ordine cronologico tra quelle riportate dal libro. Si configura quindi come "orobicata d'avventura", la classica immancabile delle mie estati orobiche.

Per affrontarla scegliamo la formula per me ottimale per la conca del Calvi, avvicinamento e soprattutto discesa in mountain bike.
Partiamo quindi da Carona zaini carichi e corde legate alla canna.
La salita al Longo è sorprendentemente piacevole. A parte i tornanti sopra Pagliari, che evito sempre di pedalare, si sale agilmente e su fondo buono fino al rifugio. Talmente bene che decidiamo di portare le bici fino alla diga del lago del Diavolo.
Parcheggiate le bici saliamo il sentiero per il passo di Cigola e, nel tratto pianeggiante, lo lasciamo per traversare in discesa verso la base della parete.
La via attacca al centro, nel punto di confluenza dei due profondi canali che delimitano lo sperone principale dell'Aga.
Sale l'antecima di sinistra, non la vetta principale, affrontando direttamente una fascia di placche compatte e verticali nella parte centrali, per poi seguire una crestina poco evidente dal basso ma facilmente identificabile nel corso della salita.
Le difficoltà sono concentrate nei primi quattro tiri, mentre da metà in poi la via si mantiene sul III/III+ ma solamente se si vanno a cercare i passi più interessanti e la roccia più verticale.

Nell'avvicinamento notiamo come la parete presenti una fastidiosa sfumatura di verde e lunghi tratti bagnati, ma speriamo che le placconate siano immuni dall'erba e si asciughino con il sole che, vista l'esposizione ovest, arriverà ad illuminare la parete. Nel frattempo ce la prendiamo con calma.
Il percorso della Calegari - Farina, via del '65 che risale lo sperone principale dell'Aga appare, visto da vicino, in uno stato deplorevole. Rotto e vegetato come solo ricordo di aver visto lo spigolo del Torrione del Salto.
La nostra parete, da sotto, sembra un po' meglio.
Attacchiamo con un traverso facile di circa 40 m fino a trovare un grosso chiodo rosso, alla base di un diedro canale di roccia scura e bagnata, ma che si sale agevolmemte (20 m, III).
Sormontato un pulpito nerastro faccio sosta e recupero Davide.
Davide parte spostandosi verso sinistra su roccia nera per qualche metro, poi comincia a salire verticalmente. Lentamente. Molto lentamente. Lo sento lamentarsi, Poi batte un chiodo. Finalmente raggiunge un punto di sosta. Quando parto capisco il problema. La roccia, apparentemente delle placche compatte, in realtà è cattiva e infiltrata da acqua e terriccio. Tutto va tastato e comunque non da certezza. Proteggersi è difficile e aleatorio (35 m, IV-)
Parto per il tiro successivo, traverso verso sinistra in direzione di uno spigolo su roccia rotta ma facile, anche qui proteggere i passi risulta aleatorio e complicato. Una regletta mi si sfalda letteralmente in mano mentre la stringo. Vorrei fosse questione di potenza ma non è così.
Alla base dello spigolo trovo due chiodi collegati da una vecchissima fettuccia. Anche lei si straccia appena la tiro.
Rinvio il chiodo miglore e mi appresto a salire lo spigoletto di IV+.
Un friendino blu offre un minimo di protezione per i primi e decisivi passi, poi scappo via senza più proteggere verso il punto di sosta, dove trovo un vecchio chiodo. Lo ribatto e tintinna. Rinforzo con un friend e recupero Davide. (35 m, IV+).
Siamo alla base della placca di V, che vista da qui sembra molto verticale nei metri finali.
Davide arriva e butta un occhio a destra della sosta: toh, un chiodo.
Solo allora noto che una parte della placca giace adagiata a destra della sosta e tra i rottami di roccia c'è un chiodo arrugginito.
Poi Davide sposta lo sguardo un pochino più un basso e aggiunge: toh, un topolino morto. E in effetti un minuscolo topino grigio giace tra le rocce rotte.
Per un attimo mi sento trasportato in un mondo antico e cadente, fatto di relitti e rottami. Un mondo morto. Si insinua il dubbio.
Ci consultiamo a lungo. La via non è difficile ma la progressione è molto stressante. La placca rappresenta l'ultimo ostacolo ma quella che giace alla nostra destra dice chiaramente che è possibile che gli strati che la compongono, se intaccati anche solo da un chiodo, si sfaldino.
Uso il chiodo trovato per rafforzare la sosta: con due calate possiamo sempre toglierci dall'impiccio e rinunciare. Mentre lo dico traziono la sosta orizzontalmente e il chiodo già presente si sfila insieme a un pezzetto di roccia.
Improvvisamente l'uscita verso l'alto diventa molto più attraente.
Parte Davide che risale la placca fino a 2/3. Trova un vecchio chiodo ad anello. Poi si sposta a sinistra con delicato traverso verso lo spigolo, e fa sosta (20 m, IV).
Raggiungo Davide e parto. Risalgo una placca, ora più facile, più a sinistra della placca di V. A destra vediamo il chiodo rosso di sosta che però non tocco. Proseguo invece per un canale per circa 60 m. Le difficoltà diminuiscono. La roccia diventa il classico gneiss bianco della cresta orobica. La tensione scende.
Per altre due filate da 55-60 m saliamo cercando i tratti di roccia più interessanti.
Davide affronta l'ultimo tiro e la bella placca con altri 60 m di corda.
Poi una crestina porta alla cima dello sperone. Davide arriva e dice di non essere mai uscito così stanco da una via: io penso "provato", non stanco, essere papà ha un costo "mentale" importante.
E I VIAGGI PIU' LUNGHI SI FANNO DENTRO NOI STESSI.
Il più è fatto. Dopo una pausa scendiamo dal vallone. Il pastore con 2500 pecore che staziona presso la diga del Diavolo richiama la nostra attenzione, ci saluta e ci fa i complimenti.

Alla diga recuperiamo le mountain bike. E da qui in poi è solo piacere. Dopo una bella sosta al Longo e due chiacchiere con Diego, rocciatore solitario, ci lanciamo verso Carona. Tra qualche protesta dei pedoni, ma senza mai correre rischi, in 17 minuti siamo all'auto. Le mogli incombono. Occorre affrettarsi!

foto 1: Davide in mtb nel traversone verso il Longo
foto 2: ai piedi della placca
foto 3: sulla cresta finale, con il lago del Diavolo alle spalle


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