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   Canalone dell'Aquila , 03/11/2014
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Onicer  mario-bi      
Gita  Canalone dell'Aquila
Regione  Lombardia
Partenza  Valle del Vò dopo Ronco  (1140 m)
Quota arrivo  1950 m
Dislivello  810 m
Difficoltà  BS+
Esposizione in salita  Est
Esposizione in discesa  Est
Itinerari collegati  nessuno
Neve prevalente  Trasformata
Altra neve  Trasformata
Rischio valanghe  2 - Moderato
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Siamo quasi al sellone del Pizzo che potrebbe essere anche e per oggi la nostra cima, mi giro e, vicinissimo,il viso di Ginevra ma sopratutto gli occhi,mi stanno parlando.Sono parole che forse neanche saprebbe pronunciare ma dette così,con gli occhi,inequivocabili.Chiusi nei nostri labirinti il più delle volte sono loro a cercar parole,esprimere linguaggio.Mi sciolgo di tenerezza,l'accarezzo e la bacio,lieve,cercando con infinita dolcezza di comunicarle il mio affetto e la mia vicinanza e poi,a me molto più facile,escono le parole che tentano di descrivere ciò che vedo:Ti vedo in disarmo,arrendevole,sì,incalzo,disarmata.Come ti senti?Arriviamo sin là e poi decidiamo cosa fare?Quanto ci vuole ancora?...e più che una curiosità mi pare un'appello,una richiesta di compassione.Non ci vuole tantissimo,dieci minuti,ribatto io,giusto il tempo per scendere qualche passo nella forra e risalire una decina di metri.Chissa' forse di là potremmo trovare una qualche terrazza,forse molla un po',un qualcosa che lo renda meno pericoloso quando la neve lo colonizzerà e lo levigherà imprevedibilmente come solo lei sa fare.Io ho fame,mi dice,ed io che come lei più che fame ho bisogno di rallentare,recuperare pace e determinazione,taccio,smetto con insistenze che mi appaiono inutili e fuori luogo e mi siedo il più possibile,come per cederle calore,vicino a lei.Così combinati spezziamo il pane e condividiamo anche questa frugalità:c'è del crudo,della senape,grana e c'è,come direbbe Elsa,il ben di Dio,come a dire che un pranzo così e qui non ha eguali.Ora parlottiamo con più calma e le sue preoccupazioni,pur simili alle mie,conquistano terreno quasi con la stessa fatica spesa per giungere sino qui.Su tutte,quella di ritornare sui nostri passi pare prendere il sopravvento condita com'è con la paura di perdere la traccia che abbiamo seguito sin qui.E se una volta giunti al Sellone scendessimo di là?Lo escludo,taglio corto,lo escludo.Perchè l'inizio potrebbe persino essere facile e invitante ma poi bastano pochi metri,qualche salto e magari dobbiamo tornar sù.Non è tardi ma è preferibile non rischiare perchè in situazioni così ci sono già stato e so che misto all'ansia e alla fatica il tempo vola.Quella volta dormimmo fuori,impreparati e con pochi abiti addosso e poi,guardati attorno chi ci troverebbe qui,metteremmo in allarme il nostro mondo.Queste ultime parole mi si fermano in gola e non gliele dico.Aggiungerei solo allarmi e gratuiti timori mentre invece, e risoluto, affermo sui due piedi la regola aurea che prima o poi ogni alpinista interpreterà come “verità assoluta”: Sempre è necessario scendere da dove si è saliti, se hai fatto il necessario (e noi lo abbiamo fatto spezzando rami e lasciando segni come Pollicino), conosci già la strada e le sue difficoltà. Se ci fosse la mia bimba direbbe, saggia come il proverbio, Papi ormai lo sappiamo, mai lasciare la strada vecchia per la nuova e lei, pur giovane e non avvezza all'esperienza, sa di cosa sta parlando, ne sono certo. Fin qui siamo giunti perchè da queste parti è vero e l'assicuro, è ancora possibile, avventurieri, mettere panni da esploratori. Il canalone, messo di traverso, l'avevamo visto qualche tempo fa scendendo il vallone principale e c'era persino parso che, a parte la ripidità iniziale, su in alto tra gole e terrazze, spianasse. Messolo in memoria, Mario, preso dai suoi ritmi e dai suoi tempi che normalmente non sono i nostri, lo ha tirato fuori e la sua irrefrenabile voglia di andare poi ha fatto il resto portandoci di nuovo qui. Non è che la valle sia stata da meno, Mario la conosce da un bel po' e l'acqua che la percorre, proprio come le stelle, milioni e milioni di metri cubi a settimana, devono aver lavorato in combutta, lui come detto, pretendendoci qui, lei, chiara e limpida nelle sue pozze turchine e nei suoi salti ammaliandoci con semplicità e senza pretese nella giusta quantità, quanto è bastato. A noi poi uomini Sapiens, è toccato (sic!) fare il resto e così è stato. L'ingresso (del canalone) ce lo siamo preso guadando lo scavo a precipizio del torrente che con molte diramazioni lo segna, e poi credendolo il luogo meno ripido, abbiamo cominciato a salirlo. Tant'è che più noi si saliva più lui si inerpicava, a tratti (pochi e brevi) l'abbiamo fatto usando quattro mani e per sorte, scoprendo poco dopo che una traccia lo segnava sulla direttissima. Tanto che per tranquillizzare Ginevra, di suo già smarrita, le ho buttato lì un, Andiamo su, poi se a quel masso non spiana, torniamo giù. Salire è terapeutico così come superarsi, ma anche questo non glielo dico perchè nel girarmi ogni tanto per vedere dov'è, capisco che lo sta facendo saccheggiando la sua volontà a piene mani e perciò “non infierisco”. Più tardi, molto più tardi e sulla strada del ritorno, chiusi dentro l'abitacolo della sua auto, mi confesserà di avermi seguito per pura abnegazione, come a dire un completo sacrificio di sé al mio servizio, ma è già successo, quando poi e però la racconterà, ne sarà invece, per dire un nulla, orgogliosa. Ora la traccia di animale tira su dritta ma poi comincia a zigzagare, si perde e si riprende, segue un dossone là dove è giusto farlo, guada quando nuovamente esso si fa impenetrabile, per ritornare di qui poco dopo dove non ci sono massi ed è più facile. Seguendola mi riscopro a pensare come lui e come ungulato mi trovo con piacere a calcare i suoi sprofondi, le sue unghie. Così, stavolta da Sapiens post moderno, realizzo che, probabilmente,”i primi tracciatori” sono stati loro e che quegli ominidi da poco bipedi, seguendoli, altro non facevano che affinare la vista, l'olfatto e senza saperlo, diventare, dopo essere stati raccoglitori, anche cacciatori. E così iniziare, ancora acerbi e solo bipedi, a crearsi quell'intelligenza che loro non sapevano di avere per sopravvivere e continuare a riprodursi imparando così a vivere, cercando un equilibrio tra sé e il tutt'attorno, tra sensazioni che non conoscevano, ma negli anni e nel tempo sempre più ripetitive e maneggiabili. Così appresero (stiamo tirando ad immaginare, permetteteci di farlo) come si riconosce un ambiente, un paesaggio, come si fa a andare e a ritornare. Talora, il mondo, la natura, gli deve essere apparso spaventoso e sgomentevole così come , senza sapere nulla di esso (del mondo) e di loro stessi (i sentimenti, il sentire) trovare, con l'istinto, la voglia di resistere e di continuare. Esplorare gli toccò senza volerlo né poterlo decidere trovando baratri esterni che neanche possiamo immaginare perchè a quelli interni ancora non potevano né sapevano pensare. E poi senza alcuna cognizione del tempo pur nel tempo, con tempo, dover affrontare sorprendentemente il brulicare di impulsi imprevedibili, intercettare ed esprimere flussi ormonali, estorcere allo sconosciuto che esplodeva in loro una maniera di stare insieme all'altro rispetto a loro ( femmine) e agli altri (gruppo e comunità). Piccoli passi, decine e decine di migliaia di anni, non paiono poi così lontani, oggi, aggrappati all'ontano o alla pietra, nonostante la Storia, ci sentiamo ancora gli stessi. Abbiamo più strumenti, più esperienza, più conoscenze, più Storia ma le difficoltà pur incomparabili tra ieri, appena ieri e oggi, paiono non solo le stesse ma ingigantite e smisurate. Con un paradosso potremmo persino dire di sentirci sì più consapevoli, ma più indifesi. Noi a differenza di loro dobbiamo, cerchiamo, vogliamo dar senso. Loro che non sapevano ancora immaginare, sognare, fantasticare, vivevano. Noi che abbiamo tutto siamo sempre più disperati al punto che salire sin qui ci fa sentire più vivi, diamo senso al giorno cercando senso. Lo stiamo facendo da molto tempo e presumo che continueremo a farlo, anche se (forse) è la vita ad essere così e gli eventi a condizionarci. Quassù siamo gli stessi uomini “civili e consumatori” che qui, praticando nuove strade, cerchiamo senza sapere cosa stiamo facendo, quel “noi stessi” che più che una meta possibile, oggi ci appare come un mito, un ideale, un'impresa impossibile verso la quale è comunque necessario andare, misurandosi, combattendo. Perchè l'esperienza che “in alto” si consuma e le “condizioni estreme” che lì si vivono, ci servono, con l'aiuto del “fuori”, a mettere i piedi per terra a svelare le nostre piccole e grandi ipocrisie, ci aiutano a conoscere la nostra vera natura e forse ci rendono più forti, più combattivi. Ma Papi, allora siamo costretti al dubbio e all'incertezza, alla precarietà, e allora perchè dovremmo fare questa fatica? Alla domanda o alle domande che mi fai non ho risposte certe. Se sono le certezze quelle che cerchiamo, cosa comunque del tutto umana, dobbiamo anche sapere che loro e le loro sicurezze, siamo destinati forse, a non trovarle mai. Ciononostante dobbiamo, mollare gli ormeggi, non temere il mare aperto. Il racconto di oggi può esserne una buona metafora. Siamo entrati in questa valle in quell'ora che poi scopriremo essere stata quella giusta, il primitivo e il tutt'attorno erano già in movimento. Il verde dei muschi, i primi colori, il sasso e l'animale in tutti i loro odori. Poi l'acqua, tanta acqua, i salti, il rumore, la trasparenza, le cascate, ….le radure. E poi la luce, indescrivibile luminosità, luce da luce e noi lì a cercare di cogliere la totalità di questa vita intorno a noi con questi segni che in cielo e in terra pare si siano accordati per darci conforto e aiuto. E così, ancora increduli, basiti, anche timorosi ma felici, su verso il canalone con tutte le nostre speranze (loro sì se lo vogliamo, onnipotenti), per individuarci per tentarlo almeno e se occorre, giusto per sperimentare, arrivare anche ad una “non meta, una non cima”, come quasi sempre ci capita. Ciò non toglie che durante il viaggio qualcosa sia successo : anche qui abbiamo visto la nostra umana limitatezza, non siamo Dei e le forze sono quelle che sono. Ciononostante siamo ritornati più ricchi. Siamo qui a scriverlo perchè anche la scrittura è un esercizio che ci aiuta a conoscere i tanti “me” (io), che siamo, ci aiuta a togliere i veli, meglio, ci aiuta a non mentire. Dolcissima figlia mia, oggi non ho altro da dirti, l'emozione mi si ferma in gola, soprattutto non ho certezze da darti e questo umanamente mi dispiace ma tu sai (e lo hai anche scritto) che ciò che conta è “vivere la vita con passione ed imparare ad amare gli altri e la conoscenza” e questo io credo possa anche essere la felicità. Vai bimba, vai!
Gita effettuata il 18-10-2014 I dati della neve,come ovvio, sono fasulli. Trattasi di gita esplorativa per eventuale scialpinistica.
Foto N° 1: ingresso del canalone
Foto Nà 2: l'abisso dal sellone
Foto N° 3: la quiete e i muschi

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