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   Punta Montagnaya Valpelline, 22/04/2012
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Onicer  mario-bi      
Gita  Punta Montagnaya Valpelline
Regione  Valle d'Aosta
Partenza  La Ferrere  (1682 m)
Quota arrivo  3050 m
Dislivello  1530 m
Difficoltà  BS
Esposizione in salita  Nord-Ovest
Esposizione in discesa  Nord-Ovest
Itinerari collegati  nessuno
Neve prevalente  Farinosa
Altra neve  Farinosa
Rischio valanghe  2 - Moderato
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Se per amare una persona si dovesse aspettare di conoscerla, forse non basterebbe una vita intera quindi è meglio prendere ciò che ti dà e ridare con la semplicità che il groviglio di una vita ti permette, senza alcuna pretesa. Sono le 4.56 e un Buon giorno amore mio, dà il via a questo giorno. Quattro parole sono state scritte e chi ne sia esperto sa che da esse ci si può aspettare di tutto: a volte profonde, a volte vacue così come la neve che ci ha accolto salendo la valle in nottata, grossa come aquiloni, leggera come farfalle. Oggi sono miele e luce tremula del mattino, staranno con noi e forse ci accompagneranno. Almeno lei, almeno loro. Poi ciò che siamo torna a galla, la voglia di andare prende il sopravvento, l’Aquila, verso Sud, anch’essa presenza di una sera di mezza estate è un sogno che si può ancora vivere. Preso il bivio e varcato il ponte dopo Pouillaye la luce ci restituisce un bosco di individui imbiancati alti e ben piantati. Insieme, appiccicati, paiono moltitudini. Attecchiti in segreto e in solitudine, ci restituiscono gioia e silenzio. La terra che li aveva accolti, ora come ieri li spinge in alto e noi uomini, ancora “sapiens”, li penetriamo per trovarvi luce e cercarvi respiro. La mulattiera sale dove non potrebbe scavalcando rupi e dirupi e noi con lei, Hobbit di una favola, oggi avventurieri intorpiditi, ci meravigliamo del candido della leggera consapevolezza di questa coltre dell’ignoto che cerchiamo di frequentare. Il dentro e il fuori si alimentano della stessa metafora. Il paesaggio, sempre e comunque abbondante, più saliamo più si ingigantisce. Lo facciamo con logica, là dove si può, cosa che, se riuscissimo a fare con noi stessi, forse placherebbe l’uragano riportandoci alla calma che tanto aneliamo. La libertà e la gratuità dei gesti, oggi come ieri, non ci bastano, forse siamo stanchi di fuggire, già il sentirci fuori dalle statistiche non ci basta più, siamo comunque omologati ed anche se lo siamo malgrado noi, comunque contrattuali, do ut des, do se mi dai, le nostre catene, la nostra tristezza, la nostra fatica di vivere. Viviamo liberi ma reclusi, mosche che battono contro un vetro alla ricerca di una nobiltà morale che non abbiamo e che forse mai conquisteremo. Forse non qui. La traccia ci segue e si srotola in tutta la sua bellezza, sola e unica, come lo siamo noi ed oggi è anche speranza, lo scriviamo e vogliamo crederlo. Sulla terrazza a un tiro di schioppo dal Colle di Montagnaya, mt. 2899, sotto gli scivoli della vetta che mai sapremo qual è, prendiamo tempo e fiato. I pendii, carichi, soffici e leggeri, ci dicono di non salire e noi stanchi e saggi, li assecondiamo. Girati gli sci anche stavolta tocca a noi. I pendii qui ancora immacolati e fatti per essere scesi, li fagocitiamo ritornando sui nostri passi non senza fatica tra polveri, polvere e radure in un tutto più grande, più presente, in cielo terso e azzurro come non mai. Poi una volta a casa, sale di presenza, ritrovo il suo sorriso semplicemente accogliente, Ti ho pensato tutto il giorno e sono stata in pace con me stessa perché ho fatto quello che sentivo giusto fare mi è parsa una nuova traccia, una nuova avventura su cui progettare. Dopo il sogno un altro sogno che si può ancora vivere.
Foto 1 Subito dopo Ardamon
Foto 2 Il canalone dopo il ripiano di Avoley
Foto 3 Il Colle di Montagnaya
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