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   Pizzo Arera, 06/01/2015
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Onicer  Pierpaolo   
Gita  Pizzo Arera
Regione  Lombardia
Partenza  Zambla Alta loc. Plassa (BG)  (1200 m)
Quota arrivo  2512 m
Dislivello  1360 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  Rifugio Capanna 2000
Attrezzatura consigliata  N.d.e. + ramponi e piccozza
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento L’Arera, una montagna la cui salita in condizioni invernali è stata da anni nei nostri piani, ma che per un motivo o per un altro ha sempre assunto i connotati, quasi inspiegabilmente, di escursione di scorta. Sarà che questi posti li conosciamo fin troppo bene, sarà perché ogni volta che c’è da andare per monti ci assale soprattutto la voglia di portarci verso l’ignoto e l’inesplorato. Qualsiasi fosse la spiegazione, abbiamo sempre, forse colpevolmente, ignorato la possibilità di conquista della vetta ramponi sotto le pedule e piccozza in mano. Oggi, così su due piedi, abbiamo deciso di sfatare il tabù. Tutti i tasselli sembrano al posto giusto perché il raggiungimento dell’obiettivo possa andare finalmente in porto. Al gremito parcheggio della Plassa di Zambla siamo ancora una volta anche noi della partita, ma stavolta le sensazioni sono diverse, sapendo quali sono i nostri piani in mente. Quello che per noi è abitualmente teatro di una normale e rilassante escursione che ha il suo termine nella rassicurante accoglienza della Capanna 2000, oggi diventa invece qualcosa di decisamente più brioso ed emozionante. Del resto, quante volte mi sono trovato a guardare la cima dell’Arera dalla pianura nelle giornate invernali risplendere di bianco e immaginare di essere lassù, anche solo nel tram tram quotidiano volgendo lo sguardo a nord per pochi attimi? Ecco dunque che la cosa nel suo complesso assume un sapore diverso, oserei dire più intimo. La strada asfaltata del primo tratto di salita oggi quasi nemmeno la vediamo, nemmeno ce ne accorgiamo di calcarla. I nostri pensieri sono altrove, sapendo che quell’asfalto è solo un preambolo, un percorso di collegamento a quella che sarà la vera escursione, una volta lasciatici alle spalle il Rifugio. Ci arriviamo così con la sensazione che il tempo abbia rallentato la sua corsa. Un attimo prima eravamo all’auto, qualche istante dopo a 2000 metri. E non perché siamo sprinter d’alta quota. Lo sguardo punta sempre verso sinistra, verso l’alto. Per capire le condizioni della via, per vedere quanta gente come noi ha scelto oggi questa meta. Ci fermiamo solo qualche minuto, per lasciarci alle spalle quell’atmosfera da allegra scampagnata e mentalizzare il percorso che ci attende. E per calzare fin da subito i ramponi, sebbene all’inizio del pendio che conduce all’anticima la neve sia ridotta all’osso, spolpata giorno dopo giorno dai tepori di un inverno che stenta a decollare. Andiamo, allora. Cinquecento metri alla vetta, poi quattrocento, trecento. Saliamo sempre più su quello che normalmente è un muro del pianto, ma che oggi per l'occasione diventa non dico della gioia, perché quella è sempre riservata all'avvenuta conquista, ma quantomeno della speranza di potercela fare. Non si sa mai cosa ci attende precisamente in queste circostanze infatti, se ciò che è fattibile per gli altri può essere insormontabile per noi. C'è sempre quella variabile di imprevedibilità, anche nel cosiddetto alpinismo facile. La pendenza aumenta, l'adrenalina anche, fino ad arrivare al cospetto dell'ultimo tratto, dove d'improvviso l'ambiente assume connotati più invernali, d'alta quota. E' giunto il momento di iniziare a fare le cose sul serio adesso, di riporre i nostri bastoncini telescopici e di impugnare la piccozza. Di metterci insomma nel giusto assetto per il gran finale. Muoviamo i primi metri non più in verticale, ma traversando a mezza costa per avvicinarci al canalino che conduce in cima. Passi larghi perché è vietato inciampare, sguardo fisso in avanti perché è vietato farsi impressionare dallo scivolo di neve a destra. Arriva la prima difficoltà, seppur breve. L'accesso al canalino, dove dovrebbe trovarsi la scaletta che in realtà rivedrà la luce solamente a primavera inoltrata, è posto infatti un pochino più in basso. Bisogna quindi scendere di qualche metro e nel primissimo tratto di discesa la cosa è un attimino delicata, necessita di un supplemento di prudenza che indubbiamente non ci facciamo mancare. "Metti il piede lì, poggia la mano qua, dai che non è difficile!". Tra un consiglio e un incitamento ne siamo fuori, tornando poi nel giro di qualche secondo a volgere lo sguardo nuovamente ben più su. Ad attenderci c'è la porta per la nostra piccola odierna gloria, fatta di tanti scalini bianchi, costruiti da chi ci ha preceduto. Uno, due, tre, uno, due, tre. E' tutto affidato al prezioso apporto di ramponi e piccozza, nonché di qualche colpo di punta più energico dove nei dintorni delle rocce la neve ha le sembianze di una granita, trasformata dall'azione del sole splendente più che mai. Dove quindi bisogna essere più sicuri che i ferri tengano a dovere. "Che fatica, ma quanto manca??". L'altimetro non mente, solo pochi metri. E infatti, timidamente, pian pianino appare dapprima il volto della croce di vetta, poi tutto il suo corpo. E' fatta, insomma. L'Arera invernale è anche nostro. Cresce la soddisfazione, immutata deve rimanere la concentrazione, perché in fondo siamo solo a metà dell'opera. Qualche minuto di pausa, il tempo di lasciarci meravigliare e impressionare dalla scorbutica faccia nord della montagna, e siamo pronti per compiere nuovamente il tragitto, stavolta a ritroso. Uno, due, tre, uno, due, tre. Stessa sequenza di prima, ma in versione gambero finché si è alle prese con pendenze ragguardevoli. Poi, possiamo girarci e tornare ad affrontare quell'iniziale e breve passaggio esposto, che ora in salita ci fa quel pizzico in meno di preoccupazione. Traversiamo a mezza costa dove è vietato soffermarsi troppo su ciò che c'è stavolta a sinistra, tornando così all'anticima con la certezza assoluta di avercela fatta, senza problema alcuno. Evviva, insomma. La lunga discesa che ci attende fa ora sorridere la nostra anima appagata e piangere le nostre ginocchia che implorano pietà. Ma è solo una formalità, a corollario di una giornata memorabile dove tutto è andato per il verso giusto. Cento e più di altre escursioni così!

Foto 1: uno, due e tre, uno, due e tre...
Foto 2: appare la croce
Foto 3: è fatta!
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