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   Cimone di Margno, 02/02/2014
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Onicer  mario-bi      
Gita  Cimone di Margno
Regione  Lombardia
Partenza  Alpe Paglio  (1360 m)
Quota arrivo  1801 m
Dislivello  1200 m
Difficoltà  MS
Esposizione in salita  Varia
Esposizione in discesa  Varia
Itinerari collegati  nessuno
Neve prevalente  Farina pesante
Altra neve  Farina pesante
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Discrete
Valutazione itinerario  Buono
Commento Andiamo lì perchè in ogni uomo e in ogni storia vi è anche un metodo. Dovrebbe nevicare e il meteo conferma senza ombra di dubbio, beato lui, neve almeno per tutta la mattinata. Lo facciamo come spesso si dice, per non star fermi e anche stavolta la motivazione è pronta a reggere non senza dimenticare però che, taciute, ognuno ha le sue e che normalmente vanno ben al di la' dell'ufficialità. Sia per andare che per stare. Chi non c'è (oggi ci accompagnamo solo io e Paolo), pensiamo, magari sentenziando fuori luogo, che lo faccia per prigrizia e per oggi ci basta senza indagare oltre. Il tempo è pessimo e probabilmente una recente inversione termica ha spostato in alto di molti metri la neve. Lasciamo comunque il Paglio senza incertezze. Ora piovischia ma lassù, già si vede, nevica. Paolo va veloce mentre io cerco, imperativo, di non farmi risucchiare. Per dar senso, stato perenne di una umanità che come noi vogliamo credere in perenne ricerca, stavolta pensiamo di allungare sino all'Olino ( Cima di Olino) per poi e possibilmente inventarci improbabili discese, o da lì, qualcosa d'altro. Come si sarà capito ci piacciono le novità, l'avventura e irriducibili le cerchiamo, convinti che si possano incontrare, anche qui. Sfidiamo il tempo, lo si dice e lo si fa pur sapendo che la lotta è impari quando lui è da lupi, e di certo, s'è detto, per non saltare un giro ma anche perchè vagare sotto la neve ogni tanto è bello e fa bene all'anima farlo. La si sente cadere e fioca attutisce ogni rumore. Soffice, quasi lieve, impercettibile, occulta d'ovatta il mondo, le sue cose e le moltitudini amiche che lo popolano. Naturalmente. Consiglia lentezza, ascolto, e la vita, il tutt'attorno, l'accoglie. Copre, cambia, espande e colora il paesaggio. Costringe la sua abbondanza in bianco e nero, che sono i colori della neve, dei suoi fremiti, del suo spettacolo, ciò che si vede, ciò che è. Ed è proprio un bell'andare. Saltato l'Olino per nebbia e per troppa neve, al terzo giro nella strada del Bosco, occasionalmente, resto solo e lui, dopo aver aperto le danze con l'incredibile, mi fa strada e mi accompagna in questo tempo, ormai palesemente dilatato. Seguo la traccia di Paolo, ormai invisibile, che a sua volta calca quella di uno o più sconosciuti: più che una linea che va, ormai è una monorotaia che di suo favorisce il mio trasporto e il mio levitare. Così combinato continuo a salire e gli individui viventi che mi circondano, si presentano ai miei occhi in tutta la loro significanza. I larici ritti, sono i più numerosi, prendono posto con piccoli movimenti e lì, bell'imbusti, si impettiscono; gli abeti, qui rari o rarissimi ma ben piantati e finalmente liberi, respirano a pieni polmoni e il sollievo è percettibile; i grandi cespugli che qui e là sobri e tra i sorbi orlano la macchia, fanno a gara, senza spingere, per richiamare l'attenzione. Mentre tutto questo succede, dal basso verso l'alto, si concretizza una radura che per contrasto, per luce e per spazio esalta la messa in scena e più che un via vai, ora ne sono certo, ciò che sto ammirando, è una sfilata. Gli avvenimenti ancora mi sorprendono anche se è certo che sono io a sfilare. Rallento, diminuisco ulteriormente il passo e forse finalmente vado come un umano lo dovrebbe sempre, a passo d'uomo. In qualche modo tento di catturare con la digitale ciò che posso, ma mi sento molto impreparato. Il selvatico e il selvaggio mi appaiono in fusione perfetta mentre il capanno schivo e manufatto che intravedo, sospeso tra i larici e là in fondo, affianca la rappresentazione, materializzando “la follia” del Magic Bus 142. I fotogrammi e i pensieri adesso sono per lui, che forse ancora per poco, starà lì a testimoniare, nella profonda Alaska, la nostra voglia di primitività, di una vita essenziale, di semplicità, dentro, immersi (into the wild) nella Natura. Sbuco alla fine, senza averlo scelto, molto in alto in una linea che passa fra traliccio e seggiovia e trovo ricovero in una casotta che pare messa lì per permettere una quarantena prima di rientrare nel mondo civilizzato. Faccio ciò che devo fare con il giusto respiro, poi bloccati gli attacchi, torno giù al piazzale chiudendo per gioco una curva dopo l'altra con lentezza. Se lo vuoi, il tempo non finisce mai. Eravamo venuti sin qui anche per vivere con e sotto la neve, bellezza e disagio, testare i materiali utili al vagabondaggio, compiere gesti che in giornate terse normalmente non si fanno e, cosa non di certo secondaria, affrontare le depressioni, quella fuori e quelle dentro, per imparare la vita e combattere, per non cedere al maltempo e alle delusioni e a tutte le loro tentazioni. Forse il senso non è cosa da cercare disperatamente cavalcando maree, affrontando tempeste. Forse più che in ciò che si fa è nascosto semplicemente in come lo si fa. Forse lo abbiamo perso diventando macchine, numeri e gioiosi consumatori. Forse il mito del progresso ci ha fregato, l'abbondanza reso poveri, il superfluo schiavi degli oggetti e fanciulloni spensierati, il mito della libertà, della nostra libertà individuale, prigionieri. Forse da oggi in poi non saremo più gli stessi. Forse.
Foto 1: la strada nel Bosco
Foto 2: Magic Bus 142
Foto 3: il respiro del Bosco
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