sacrifiCarlo
Registrato: 23/10/08 19:56 Messaggi: 423 Residenza: morbegno-valtellina
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Inviato: Ven Nov 05, 2010 4:56 pm Oggetto: tema: sconforto della città |
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questa è l'ispirazione che stamattina,a lezione in questa piana città, mi è venuta... subito appuntata... annoiatevi, se vi pare...
Bologna, 5 novembre 2010
Era stata necessaria tutta la forza di volontà posseduta dal ragazzo per rimuoversi dal torpore casalingo, quella mattina. C’era quell’aria umida e spessa che avvolgeva ogni cosa, rendendone vaghi e sfumati i contorni. Quell’atmosfera bagnaticcia contribuiva a far penetrare in muscoli e ossa un gelo che in realtà non esisteva, ma che rendeva davvero un’impresa affrontare l’aria aperta, lontano da caminetti scoppiettanti e dense, calde cioccolate.
L’istinto non avrebbe fatto muovere un muscolo a nessuno, lo spirito di autoconservazione esigeva un totale torpore fisico e mentale che sarebbe durato fino all’apparire di un nuovo sole ristoratore; evento che dopo interi giorni come questo appariva quanto mai un’agognata chimera.
La ragione, invece, richiedeva un ravvedimento: a furia di crogiolarsi nell’inattività si sarebbe finiti per perdere ogni attitudine per la vita. Con sforzo estremo, il ragazzo chiuse l’inutile libro, s’alzò dal letto, si buttò addosso qualche strato di pile, un gore-tex ereditato dal nonno, e uscì nell’infinita piscina vaporizzata.
Cominciò a camminare, dapprima senza una meta, e via via disegnando nella propria mente un obiettivo giudicato, a momenti alterni, impossibile. Camminò per ore, facendosi guidare da nient’altro che dal sentiero, ora piano ora terribilmente ripido; imboccava, ai bivi, la via giusta, scelta a caso. Attraversò i boschi costruiti di alberi di cui non scorgeva la cima, giunse nel regno dei pascoli di quota che ancora era immerso in un latteo, immobile, chiarore. Gli scarponi facevano bene il loro mestiere, mantenendo caldo e asciutto quel piede che, oggi, era tramutato in cuore, organo di vita. La dura erba d’alta quota era perfettamente immobile, ricoperta di uno spesso strato di rugiada, come una patina protettiva che amava posarsi su ciò che osava infrangere quella cristallizzata tranquillità.
Solo in montagna, ormai, esisteva ancora un’atmosfera del genere: nel silenzio e nell’immobilità generale, facendosi largo nella bianca e spessa nebbia, il fuoco della vita si riaccendeva, e divampava violentemente nel cuore del ragazzo, sciogliendo l’umidità stagnante che lo circondava e lo pervadeva, contornandolo di un’aura calda e luminosa.
Facendosi trasportare da mille pensieri scatenati dal risveglio, il ragazzo non s’accorse d’essere giunto alle falde della cresta rocciosa, che lasciava intravedere qualcosa di nuovo ed eccezionale appena al di sopra e al di là di essa. Si inerpicò finalmente tra le semplici pareti, quasi di corsa, spinto da un entusiasmo quasi puerile, ma genuino, e, quando il fiato fu quasi finito, toccò la vetta.
Fu inondato da una calda, colorata, intensissima luce. La nebbia umida e incolore che lo circondava si arrese finalmente a pochi metri dal picco più alto, e, volgendo lo sguardo a valle, la si vedeva, rassegnata, stagnante, divorare il mondo comune. Vedere, finalmente, l’azzurro del cielo, e assorbire l’energia vitale del sole combinata a quella del vento pungente, fu la sensazione più forte nella vita del giovane, che s’accasciò, sognante, sul poco spazio disponibile al confine con il cielo. Un cielo finalmente sereno, così come il suo animo e il suo corpo.
E non volle più scendere. _________________ difficulties are just my starting point....
sometimes you eat the bar, and sometimes the bar, well, he eats you |
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