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Verso l'alto, verso il Mont Alt, 27/04/2025 | Tweet |
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Onicer | oscarrampica
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Regione | Veneto |
Partenza | Candaten (420 m) |
Quota attacco | 1500 m |
Quota arrivo | 2100 m |
Dislivello della via | 600 m |
Difficoltà | F ( pendenza 30° / II in roccia ) |
Esposizione in salita | Varia |
Rifugio di appoggio | no |
Attrezzatura consigliata | ciaspe |
Itinerari collegati | nessuno |
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Rischio valanghe | 1 - Debole |
Condizioni | Pessime |
Valutazione itinerario | Buono |
Commento | Preso tra tanti fuochi: lavoro in reparto, lavori a casa con finalmente realizzazione della scala e lavori iniziati a casa di Armin che si sposa, arriva e sta per finire questa settimana di ferie lavorative interrotta però dall’uscita con Ste sui crinali bergamaschi. Coincidenze portano Dani (forse si sente più sicura, così!) a concedermi di andare a Caprile con Giona e il suo amico Giorgio. Io pensavo fra me di partire con loro e poi di tornare il sabato coi mezzi ma quando la moglie mi dice che posso tornare con loro la domenica, che costa meno..non credo alle mie orecchie! …sono tre giorni in montagna! Comincio a viaggiare di fantasia e i sogni volano come aquile sopra i Monti del Sole e i reconditi accessi delle valli Ru da Molin e del Piero. I ragazzi voglion partire alle 4 di venerdì 28/03/2025 e io progetto la mia ascensione verso la triade fulcro dei MdS e cioè Mont Alt, Palazza e Cima Coraie, o Croda Bianca. Alla fine la partenza di posticipo in posticipo si farà alle 7 e complice qualche errore di percorso il viaggio si allunga e il mio tempo a disposizione s’accorcia. Ho infatti in programma di farmi lasciare sul bordo della strada a Candaten, a circa 40 km da Caprile da dove inizierò il mio viaggio. E’ già mezzogiorno quando scendo dall’auto di Giorgio che stavo guidando e mi avvio verso il Cordevole per traversarlo, non essendoci in questo tratto ponti. Cerco il punto più largo e più basso ed essendo già abbondantemente in ritardo e pensando che andrò di corsa, non sto a levarmi gli scarponi come pensato ma traverso bagnandomi fin oltre le ginocchia..ma la giornata non è freddissima e camminando veloce in salita penso, non sentirò freddo. Oltre il guado non trovo i cartelli che mi segnala la relazione ma solo il sentiero che dovrebbe essere la Via degli Ospizi. Quando poco dopo trovo un sentiero segnalato che sale nel bosco, mi ci butto e inizio a percorrere una valletta col torrentello sotto. Subito dopo però il sentiero scende al fiume e la gola si chiude con una bella cscata che segna evidentemente la fine del percorso. Girandomi per tornare scorgo una croce relativamente nuova e avvicinandomi noto con stupore l’età giovane del tedesco quivi deceduto l’anno scorso a maggio a 55 anni. Chissà cosa può essere successo? Il luogo è chiuso ma apparentemente privo di pericoli. Ritorno sui miei passi e mi rendo conto che il sentiero corre alto una ventina di metri sopra la forra prima di scendere sul fondo. Magari è scivolato qua e han messo la croce dove era bene in vista e in un bel posto poco distante. La giornata è umida e le nubi gonfie di pioggia, sono basse, la visibilità scarsa. Tra una cosa è l’altra ho già perso un’altra oretta e sono già le 13 quando tornato sul greto percorro un piccolo tratto di sentiero vs i monti e trovo un ometto che segnala la via vs l’alto. Imbocco la piccola ed evidente traccia ed inizio nuovamente a salire bruscamente. La grande piana grigio verde del Cordevole si allontana sempre più e il Burel si scorge appena dietro le nebbie e le gobbe intricate ma innocue dei Coln di Costa Bramosa e del Forzelon. Alle 13.30 transito per i ruderi del Col de la Cazeta (q.830) idilliaco pianori in mezzo a tanti versanti ripidi che corrono verso il cielo. Un quarto d’ora dopo il bosco si apre e la vista spazia verso il mondo del Viaz: dalla PalaAlta, alla Cima Est e poi Pala Bassa sabioi Pinei, F.lla Oderz e il Burel. Poi sull’altro versante il missile terra aria della Rochèta che tiene al guinzaglio quel buldog de le Stornade. Salgo fino ad una paretina rocciosa dove la traccia vira a dx e alle 14 raggiungo la spianata coperta di foglie di faggio del Col de i Porz a q.ta 1130mt. Fra i rami e poco dopo libero di sprigionare la sua malia appare la grande parete del Bus del Diaol. Uno sguardo a lei ed uno al terreno perché qui la traccia si perde fra le foglie e le erbe alte. Cì è neve in quota..vedremo. Poi la vista libera la visione cumulata del cuore dei Mds: la cuspide del Mont Alt, il pianoro delle Coraie, la pinna del Bus del Diaol e l’anfiteatro delle Stornade. Poco dopo nel bosco un cartello indica a sx per il Mont Alt e alle 14.30 mi affaccio sullo spettacolo affascinante della cengia de Le Scalète che attraversa la base di verticale parete grigia e incute non poca soggezione. L’ambiente è grandioso e pulsa di solitudine e mistero come solo questi luoghi sanno fare. Inizio a percorrerla timoroso ma i tratti erbosi o rocciosi sebbene esposti sono sempre sufficientemente ampi e basta solo prestare attenzione a non inciampare. Certo il vuoto sotto è clamoroso e i bei ciuffi di erba gialla proteggono solo parzialmente la vista del baratro la cui presenza alita al fianco del viandante che di qua osa passar. Poi una brusca impennata e alle 15.30 fotografo un ometto in cima ad un masso nella piana di Campigol con la Palazza che alza i suoi pinnacoli di cresta a far da sfondo. Oltre la neve inizia subito alta e sono anche stanco per cui considero l’idea migliore di tornare e risparmiare energie per l’assalto decisivo dell’indomani. Scendo, ripasso dalle Scalete che mi fanno decisamente meno impressione e poi perdo quota velocemente soffermandomi prima di toccare terra a fotografare uno splendido mazzo di primule. Ora sono sul greto e decido di togliermi gli scarponi seppur fradici perché dopo dovrò mettermi in strada per fare autostop e devo essere in condizioni presentabili. Gelo assurdo a traversare a piedi nudi e mettere le calze bagnate dall’altra parte è quasi un piacere. Alle 17.30 sono in strada col pollice fuori e immediatamente un’ auto che esce dall’unica casa di Candaten mi chiede dove devo andare. Glielo dico e si offre di invertire la sua direzione per portarmi alla Stanga 5 km più su dove passano i bus. Chiedo info al bar ma il bus è appena passato e il prossimo passa fra quasi un’ora. Gli dico che esco a fare autostop ed eventualmente il biglietto lo acquisto dopo se nessuno si dovesse fermare. Sono fermo davanti al bar quando un ragazzo mi chiede dove devo andare. A Caprile gli rispondo e mi dice che mi porterà fino alla stazione dei bus di Agordo 20 km più avanti. Mi spiega che era passato ma non era riuscito a fermarsi in tempo per cui è tornato indietro apposta. Gentile, facciamo amicizia, e poi lo saluto ringraziandolo. Manca ancora mezz’ora al bus e allora mi rimetto on the road col pollice alzato e poco dopo si ferma un ragazzo che abita a Falcade da quando ha lasciato la moglie con cui viveva a Padova. Mi lascia a Cencenighe dove subito dopo si ferma una jeep con un tipo di Campitello che si fa ogni giorno 190 km per recarsi al lavora nei pressi di Padova, dove guida i ragni. Mi spiega che lo fa perché la moglie è morta e lui riempie così le sue giornate. Mi lascia a Caprile dove arrivo bagnato e fradicio e perfino mio padre non mi risparmia i rimproveri, perché dice che ho quasi 60 anni e dovrei smetterla di fare il ragazzino. Lavata veloce, cena rapida e a letto che domani sarà un giorno duro. La mattina dopo infatti, mi alzo presto per prendere il bus delle 7 e tornare nel wild per completare l’opera e raggiungere le agognate cime. Alle 8 sono a Candaten a rimirar le brume impigliarsi nei capelli del bosco. Tutto trasuda di umidità e rende l’ambiente silenzioso e misterioso. Ho deciso di portarmi un paio di scarpe per guadare il gelido Cordevole e la scelta si rivela azzeccata: infatti è un piacere mettere gli scarponi asciutti al di là delle acque. Più per simbiosi che necessità pianto un ramo nella sabbia dove ho guadato per ricordarmi il punto esatto dell’attraversamento ma più che altro per ricordare Chris Mc Candless, l’eroe di “Nelle terre Estreme” che fece cosa analoga quando traversò il suo fiume in Alaska. Io, speriamo di tornare. Nascondo le scarpe in un anfratto come se qualcuno potesse essere interessato al loro furto e riprendo il cammino vs l’alto forte degli errori di ieri. Salgo abbastanza veloce interrompendomi solo per fotografare e fotografarmi (un classico delle mie gite) con le amiche salamandre frequentatrici anche loro dei luoghi dimenticati dal passo degli umani. Esemplari grandi e come al solito bellissimi da seguire con la loro andatura dinoccolata. Sono nella nebbia che tutto avvolge ma le previsioni danno miglioramenti. Alle 9.05 passo per il Col de la Cazeta e mezz’ora dopo per quello dei Porz. Dieci minuti dopo al bivio per il Mont alt e a seguire ancora le spettacolari Scalète. Poco prima delle 11 sono al punto esatto dov’ero arrivato ieri e decido di fermarmi a fare una pausa-colazione e a calzare le ghette. Come ieri la Palazza mi osserva indifferente e disinteressata. Riparto sono a q.ta circa 1500 e la neve si fa subito alta e marcia, sprofondo già spesso fino alle ginocchia e cerco i punti nel bosco dove ce n’è meno. Dovrei salire nel canalone alla mia sx ma è pieno di neve e proseguo a fatica nell’intricato e comunque innevato sottobosco. Ad un certo punto voglio consultare l’app per vedere il proseguio del sentiero e decidere dove dirigermi in questo universo sempre più bianco e complicato. Non ho il telefono nella tasca anteriore del rifugio che ha la zip aperta. Penso subito di averlo perso e mi rimetto a scendere cercando a caso di seguire il percorso fatto in salita e aguzzando bene gli occhi. Non trovo nulla e decido di arrivare fino al punto di sosta sperando di averlo lasciato là. Nulla. Prima di risalire nuovamente alla ricerca, guardo che nn sia finito nello zaino…ma nulla non c’è. Controllo per sicurezza anche la sacchetta del cibo e lo ritrovo lì…mica scemo il mio cellulare! Riparto vs l’alto ed è mezzogiorno quando per la prima volta sprofondo nella neve fino alla cintola. Si fa troppo dura, capisco che nn ho speranze di arrivare in cima ma decido di proseguire comunque confidando in una mutazione del manto nevoso. Eppur piano piano a costo di enormi sforzi piano piano salgo nonostante la neve non mi sostenga mai ed ogni passo costa fatica a cui si aggiunge quella di liberare gli arti dalla neve pesantissima. Punto alla mugheta che ho a sx e quando vedo dei salti rocciosi a grandi gradoni decido di provarci. Sono piccoli muretti che con qualche passo di arrampicata e qualche trazione sui mughi, riesco a fatica a superare ma la cuccagna dura poco perché l’affioramento roccioso sparisce e mi ritrovo immerso nel bianco. Ormai navigo alla deriva in un universo bianco che impedisce ogni libero movimento e stremato punto un larice solitario su un’apparente cresta definendolo come l’obiettivo ultimo della giornata. Dopo il larice c’è ancora una specie di crestina che voglio raggiungere per guardare aldilà e capire la situazione. Con gli ultimi sforzi, la raggiungo alle 13.30. Si sprofonda sempre e allora decido che è ora di dire basta al supplizio. Però ora vedo: a sx la cresta della palazza di cui riconosco il profilo sebbene sia solito guardarla dal basso e dall’altro lato, dalla bassa Val Cordevole dove precipita con possenti e verticali precipizi. Davanti a me la cuspide vicina ma irraggiungibile in queste condizioni del Mont Alt, mentre a dx saluta ancor più lontana la cima di Coraie o Croda Bianca. Non c’è molto da fare se non pensare al ritorno che spero meno penoso e mi volto per ricominciare a sprofondare nella neve col sollievo almeno di farlo in discesa. Decido di scendere per i piccoli saltelli rocciosi che disarrampico o da cui mi butto per atterrare sul morbido manto in cui sprofondo fino al petto. Scendo veloce e nel boschetto a lato del canale innevato, decido di lasciare come segno i miei mitici guanti della North Face che da tanti anni mi hanno accompagnato nelle uscite in alta quota o in quelle invernali. Me li aveva riparati più volte anche la mia mammina ma oramai sono completamente aperti. Non meritano di finire nella spazzatura e li appendo ad un ramo dove trovo diano anche un tocco di vivacità. Chissà quando rivedranno un umano..forse li ritroverò io stesso quando tornerò per arrivare finalmente in cima? Divallo, ammirando nuovamente i passaggi esposti e spettacolari della cengia delle Scalète e poi scatto una bella foto che ritrae insieme Rochèta e Coro le sentinelle che da lati opposti sorvegliano la Val Cordevole. Più sotto sfasci di Vaja di cui non m’ero accorto, un bellissimo esemplare di abete rosso e alle 17 dopo il nuovo attraversamento del gelido Cordevole, sono nuovamente in strada co il pollice alzato. Pochi attimi dopo si ferma un pescatore che mi dice mi porterà fino ad Agordo, poi fino a Cencenighe che in realtà è il suo paese, ma che finisce di portarmi fino a casa a Caprile dove salirà per misurare la temperatura dell’acqua del Cordevole dove l’indomani si recherà a pescare. Parliamo della sua passione di cui mi svela molti segreti e in un batter d’occhio sono a casa dove papà ci porta in pizzeria a sue spese. Conclusione magnifica per una giornata faticosa. Che bello poter bere due birre medie senza menate di stop polizieschi!! Foto1 la cengia de Le Scalète Foto 2 il cuore dei monti del Sole Foto3 Mont Alt e Croda Bianca |
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