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   Inferno sul Polluce, 04/07/2012
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Valle d'Aosta
Partenza  Plateau Rosà  (3480 m)
Quota attacco  3800 m
Quota arrivo  4092 m
Dislivello della via  180 m
Difficoltà  PD+ ( pendenza 45° / III in roccia )
Esposizione in salita Ovest
Rifugio di appoggio  guide del Cervino
Attrezzatura consigliata  Da alpinismo classico.
Itinerari collegati  Polluce (4092m), Scivolo Ovest
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Dopo la bella giornata sulla nord della Becca di Monciair, Max mi propone il Polluce, montagna di 4092 mt che si eleva tra la Porta Nera e il colle Verra e segna lo spartiacque tra la Valle D´Aosta e il Vallese. Con il Castore, visto da settentrione, ha tratti comuni e formano insieme il gruppo dei "gemelli". Proveremo a salire in giornata ed è per questo che alle 8 del mattino del 4/7/2012, ci troviamo sbalzati ai 3480 mt di quota del Plateau Rosà dopo esserci arrivati con la prima corsa della funivia. Salendo, nel tratto intermedio ho scattato una bella foto al re di queste zone, sua maestà il Cervino che avrei in programma per quest’estate: che montagna! Sento un poco si stordimento ma cominciamo a muoverci e seguire le piste da sci che scendono dalla stazione di arrivo della Funivia del Piccolo Cervino (3820 mt.). Nuvoloni si addensano sopra il colle del Breithorn, la nostra prima meta e in uno sprazzo di azzurro alla nostra sinistra, svettano Zinalrothorn e Weisshorn. Affrontiamo il ripido pendio nevoso vs il colle e poco prima di raggiungerlo passiamo sotto i cavi dell'ancora che sale alla Gobba di Rollin (3.899 mt.). Abbandoniamo la pista per seguire l’ampia traccia che scava un solco nella neve morbida, dopo un’ora di marcia. La nebbia ci avvolge e scompariamo in essa dopo esserci legati per sicurezza e assecondando la pista che scende verso il ghiacciaio di Verra che dovremo traversare interamente passando sotto il Breithorn e la Roccia Nera. Passiamo accanto ad un gruppo di tende che rompono con i loro sgarcianti colori il mondo bianco ovattato che si è mangiato la luce e anche i nostri pensieri. anche le voci degli alpinisti rompono il nostro silenzioso isolamento ma dura poco perché torniamo subito nel bianco nulla. Non sappiamo se scolliniamo al valico dello Schwarztor (3731 mt.). Ad un certo punto pieghiamo verso destra lasciandoci a sinistra la base dello scivolo Ovest del Polluce che è apparso fra le nebbie e proseguiamo( h.11 ) per l'evidente ripido scivolo che sale diagonalmente verso sinistra. La pendenza si accentua e dopo un breve tratto di misto affrontiamo l’uscita con piccozza e ramponi su pendenze che arrivano a 40-45° su ghiaccio duro e grigio che richiede un poco di attenzione per approdare alle roccette innevate della cresta che conduce alla fascia rocciosa della cresta Ovest che seppur attrezzata con catene, rappresenta la parte più impegnativa della salita. Dopo un diagonale molto esposto (su placche lisce verso sinistra) si arriva al punto chiave: un passaggio di III molto atletico per via di un masso incastrato a far da strozzatura del camino, che comunque si passa con l’aiuto del canapone. Raggiunta la selletta superiore del camino che divide i due tratti attrezzati, proseguiamo risalendo la parete rocciosa a sinistra e raggiungiamo, a destra, l’anticima sulla spalla Sud/Ovest, dove è posizionata una Madonnina. Da qui per facile cresta nevosa fino in vetta al Polluce (4091 mt.) dove io arrivo stremato per la fatica e per la quota. Alle 12.15 comunque ci abbracciamo nella nebbia: raramente mi son sentito così sollevato dal non dover più camminare in salita. Non c’è nulla da guardare,solo qualche foto che potremmo aver fatto quasi ovunque e poi come un automa muovo i passi in discesa, salutando con più devozione la Madonnina e concentrandomi sui tratti attrezzati che seguiranno. Alle 13.30 siamo nuovamente nei pressi della Roccia Nera intenti al nuovo attraversamento del ghiacciaio di Verra. Una decina di minuti dopo max scatta le ultime foto di giornata mentre si appresta alla risalita vs il Colle del Breithorn: in una di queste io sono un puntino nero nell’oceano bianco. Faccio fatica, non ho energie nonostante si cammini in piano e maledico la decisione di salire in quota così rapidamente. Guardo Max allontanarsi inesorabilmente e mi concentro per non arrendermi all’inerzia e alla consapevolezza che il colle da scalare mi metterà veramente alla prova. Quando inizio a risalire vado così in fatica che quasi mi spavento e urlo di rabbia verso Max dicendogli di aspettarmi..perchè non sto bene…ma non mi sente, è troppo distante. Quando lo vedo sparire oltre il colle mi sento abbandonato e non capisco il suo comportamento…cosa succederebbe se dovessi sentirmi male? Salgo di rabbia e paura. Il tempo si ferma e si scioglie nel bianco. Ad un certo punto quasi fosse un miracolo sento la pendenza attenuarsi sotto i miei piedi e capisco che questo dannato colle sta per finire. Ora vedo oltre il muro bianco e la traccia davanti al mio naso. Torno a vedere Max, meno lontano di quanto temessi, e sto per provare a chiamarlo quando la mia attenzione è attirata da uno strano crepitio di cui ignoro la provenienza. Come ci fosse una padella di olio che frigge,mi guardo verso i piedi ma non c’ è nulla di strano. Mi fermo per guardarmi intorno e il rumore sparisce. Bah! Riprendo a camminare e il crepitio riprende e lo associo ai miei passi. Mi guardo ancora gli scarponi sollevandoli per vedere sotto i ramponi e resto atterrito: fiammelline blu danzano fra le punte metalliche e un ondata di terrore mi pervade da capo a piedi. Realizzo immediatamente di essere in un campo elettrico e comincio con frenesia a cercare di togliermi di dosso tutta l’attrezzatura metallica. probabilmente una scena ridicola se non ci fosse da piangere perché come fossi tarantolato cerco di togliermi i ramponi che lancio lontano e poi l’imbrago a cui sono appesi moschettoni e viti da ghiaccio. In ultimo ancora vivo nonostante il cuore batta all’impazzata e percepisca la corrente elettrica drizzarmi i capelli e correre fra i peli delle mie braccia getto via i bastoncini e lo zaino con appese le piccozze. Realizzo che è spiacevole abbandonare tutto lì sparso sul ghiacciaio, ma qui devo cercare di salvare la pelle. Non ho il tempo di realizzare completamente il pensiero che una bomba esplode facendomi sobbalzare e raccogliere su me stesso a carponi in una posizione fetale seduta di sicurezza. Con le mani non frizzo più ma appena mi alzo per fare qualche passo il crepitio e il ronzio tornano a tormentarmi. Vorrei gridare aiuto , correre verso le ombre umane che intravedo lontano oltre le nebbie ma non ne ho le forze e un nuovo boato esplode. Mi rannicchio nuovamente ansimante e comprendo che sono tuoni che esplodono pericolosamente vicini praticamente in simultanea al bagliore accecante del fulmine. Appoggio istintivamente le mani sul ghiaccio per stare in equilibrio e noto ogni volta che il crepitio s’interrompe, allora mi alzo ,faccio qualche passo e questo riprende inesorabile. Pochi passi e le esplosioni violente mi costringono a rimbalzare in posizione seduta. Sono come un marines che avanza tra un colpo nemico e l’altro con il solo obiettivo di allontanarmi da questo campo minato. Non so quanti botti mi atterrano e quante volte mi rialzo ma ad un certo punto arrivo vicino ad un gruppo di persone che rannicchiate insieme attendono la loro fine o quella della tempesta. Riconosco Max che mi chiama e ripreso fiato stabiliamo che non possiamo stare fermi li e alzandoci prendiamo la direzione della traccia. Incrociamo e confortiamo un ragazzo che cammina per il ghiacciaio con andatura da zombie; appare completamente frastornato e lo invitiamo a seguirci anche se poi dopo lui dovrà rientrare in Svizzera. I colpi di tuono rallentano il ritmo ma ad ogni colpo tutti trasaliamo e istintivamente ci rannicchiamo per riprendere poi immediatamente la nostra marcia verso la salvezza. Arrivati in vista dei piloni degli impianti da sci forse il peggio è passato ma è inquietante sentire il ronzio della scariche elettriche percorrere i pali metallici. Salutiamo il ragazzo augurandogli buona fortuna in inglese e accertandoci che abbia compreso le nostre indicazioni, prendiamo a scendere verso la funivia. Tornati sulle piste da sci ci sembra di essere usciti da un incubo e di tornare alla vita. Max accelera per andare eventualmente a fermare l’ultima corsa della funivia che è alle 16.30, io lo guardo allontanarsi incapace di aumentare il mio ritmo. Arrivo comunque quasi in tempo e l’ultimo strappetto di pochi metri per arrivare alla cabina della funivia lo faccio a pezzi, interrompendomi e scusandomi con l’addetto un poco insofferente. Poi a bordo mentre scendiamo e proviamo a far due parole scoppio in un pianto violento accusandomi di non poter fare queste cose da padre di famiglia con 4 bimbi piccoli a casa. Max mi consola, mi riporta alla calma sedando con i suoi discorsi sulla fede i miei nervi scossi. Scesi dalla funivia decidiamo che lui tornerà a casa dalla moglie mentre io mi fermerò a dormire in un alberghetto e proverò l’indomani ad andare a recuperare il materiale abbandonato. Lasciarlo, significherebbe mollare con l’alpinismo e non me la sento: dev’essere una scelta serena se mai la farò, non dettata da una circostanza. e poi forse non ce la farei ad essere felice senza qualche sogno alpino che per me è sinonimo di libertà, di ricongiunzione con il Cielo. Dormo bene, sereno dopo aver chiamato casa e spiegata la situazione. La mattina dopo risalgo in funivia, sembra una giornata migliore, mi sento decisamente meglio e salgo a passo spedito verso il colle e la deviazione verso il Polluce. Molto velocemente il cielo si chiude e le nebbie mi avvolgono: mi sembra di rivivere l’incubo del giorno prima e telefono a Max perché non riesco più ad orientarmi precisamente nella zona dei piloni. Infilo comunque dubbioso una traccia e la seguo nella nebbia con la preoccupazione e la tensione che salgono ad ogni passo. Cammino, cammino e mi guardo attorno cercando nel biancore qualcosa che possa sembrare il mio zaino. Ho paura di perdermi, le tracce a terra sono diverse e temo di perdere la principale. Continuo a pensare di avere già camminato oltre il punto di abbandono e continuo a ripetermi di stare calmo che è difficile fidarsi dei ricordi di ieri e del tempo realmente passato. Non ho riferimento alcuno, poi improvvisamente qualcosa di scuro cattura la lentezza appannata del mio scandagliare attraverso il white out. Qualche passo e la massa scura prende sembianze umane. Due persone vengon verso di me e in inglese cerco di spiegar loro cosa mi è successo ieri e che sto cercando il mio zaino. Lo vedo sulle loro spalle e gli racconto quello che avrebbero dovuto trovare sparso in terra: mi confermano di aver trovato tutto e prontamente mi aiutano a controllare. Non so come ringraziarli e anche loro sorridono felici. Venti minuti di ritardo e sarebbero probabilmente finiti in Svizzera con i miei risparmi di tanti anni. Un segno del destino? Chiedo se posso seguirli e dopo averli salutati chiamo Max che sta salendo nuovamente a Courma per venire a riprendermi. io sono nuovamente in mezzo a duna bufera di neve ma ormai devo solo seguire le piste. Oggi è giorno di festa. Quando ci incontriamo ci abbracciamo emozionati. Non servon parole per dirci quello che abbiamo vissuto. Foto1 in arrampicata sulla paretina di III° Foto 2 in cima Foto3 discesa lungo il diedro

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