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   Biancograt e traversata del Bernina 2006 , 30/07/2006
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Svizzera
Partenza  pontresina  (1800 m)
Quota attacco  3300 m
Quota arrivo  4059 m
Dislivello della via  800 m
Difficoltà  D- ( pendenza 45° / IV in roccia )
Esposizione in salita Varia
Rifugio di appoggio  capanna tscherva Rif marco e Rosa
Attrezzatura consigliata  da roccia e ghiaccio
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Ritorno al Bernina ma questa volta con Ste abbiamo giorni a disposizione e capacità per affrontare la montagna dalla sua via più bella: la celeberrima Biancograt. Arriviamo a Pontresina il 30 luglio 2006 dove parcheggiamo e ci avviamo a piedi per la strada sterrata percorsa allegramente da carrozze trainate da cavalli che portano i clienti nella bellissima piana alluvionale dove sorge l’Hotel Roseg ai piedi del circolo glaciale del Bernina perfettamente visibile oltre il verde dei prati. Ci arriviamo alle 16.30 e scartiamo a sx sul sentiero vs la Capanna Tscherva a 2583 mt. Per bel sentiero si attraversa un ponticello e si risale il versante sinistro della bella Val Roseg, con vista sempre più suggestiva sull´omonimo Pizzo Roseg, che domina con la sua immensa cupola nevosa. Dopo 1 buona ora abbondante, si comincia a vedere anche il Bernina, con la mitica Biancograt sulla sinistra, ci si porta sul versante opposto della valle, ora più pietroso e si risale, sempre abbastanza comodamente sino alla Chamanna Thserva,dove arriviamo poco prima delle 18.30. Cena e a letto presto perché domattina la sveglia sarà antelucana( 3.30). Alle 4 in un gelidobuiostellato lasciamo il rifugio. Percorriamo la pietraia sopra la capanna, seguendo dei catarifrangenti sulle rocce, quindi un breve tratto di ghiacciaio e poi si prende a salire con più decisione verso la Fourcla Prievlusa. Saliamo a sinistra lungo un tratto attrezzato con pioli e cavicchi di ferro e arriviamo alla Fourcla Prievlusa mt.3445 (3,30h. c.a dalla partenza). Ora si attaccano le rocce del versante N, con un breve traverso a "gattoni" e quindi un´arrampicata intorno al III°, dove ci assicuriamo,essendo anche il tratto esposto, sino a sbucare al ripiano superiore. Sono le 8.30 e proseguo assicurato su un tratto incerto di roccette in traverso. Poi ci sleghiamo e seguitiamo a salire. La Biancograt appare e occhieggia invitante oltre la quinta rocciosa. Ad un certo punto non ci è chiaro se proseguire per le rocce sopra di noi oppure scendere per andare a prendere un nevaio e quindi risalire. Optiamo per la seconda soluzione…e sbagliamo! arriviamo sul nevaio perdendo un poco di quota e viriamo a dx per risalirne la china fino alla crestina nevosa che poi ci congiungerà con la cresta dei nostri sogni. Il cambio di prospettiva evidenzia immediatamente come il pendio sia decisamente più inclinato rispetto a come appariva dal nostro punto di vista: cominciamo comunque a risalire con ramponi e piccozza su uno strato di neve granitosa di qualche cm che copre un duro fondo di ghiaccio scuro e vecchio. Quando la pendenza si accentua a circa 10 metri dall’uscita(circa 50°) ci guardiamo incerti. Io ho paura perché i ramponi grattano e artigliano il pendio solo con pochi cm delle punte e la piccozza rimbalza sfaldando il ghiaccio e non dandomi sicurezza. Entrambi non abbiamo esperienza su questo tipo di terreno e dico a Ste che mi precede se riesce a raggiungere le rocce alla sua dx e buttarmi la corda. Le raggiunge mentre io sono immobile in un attesa poco serena. Ste estrae la corda , termina la salita anche lui con apprensione che mi trasmette mentre lo osservo preoccupato di vederlo partire sull’infido pendio che oltre sparisce sempre più inclinato. Poi mi butta la corda e assicurato sembra tutto meglio, anche se è evidente l’impaccio con cui risalgo titubante questi pochi metri. Finalmente, lo abbraccio e ringrazio. Ce la siamo vista brutta! Ora siamo al colletto da dove inizia la cresta N del Pizzo Bianco, il tratto caratteristico della Biancograt, che ci aspetta proprio davanti a noi. Sembra ammiccare e invitarci dolcemente alla salita. Salutiamo due ragazze canadesi in procinto di partire per il loro viaggio e arrivate al nostro contrario dalle rocce, e ci prepariamo anche noi. Sono le 10, guida Ste e dopo aver risalito un ripido pendio nevoso (40°), si comincia a percorrere l’arrotondata lama nevose con pendenze che non superano mai i 45° . Saliamo bene nonostante anche qui la neve sia piuttosto granitosa, ma senza fondo duro e quindi il dubbio rimane solo se restare legati perché la scivolata di uno difficilmente potrebbe essere trattenuta dall’altro. Ma ad ogni passo vs l’alto, aumenta la fiducia nella tenuta dei ramponi e ci abituiamo a questa progressione…..un poco sulle uova. Però io inizio a sentirmi stanco…mi sembra di accusare un calo glicemico e poi la sensazione peggiora quando mi rendo conto che devo scaricarmi…ma non è certamente il posto giusto così in vista e senza possibilità di nascondere il risultato. Avanzo a fatica, salgo a rilento ma finalmente usciamo dalla cresta meravigliosa e in un cielo lattiginoso vediamo l’esile cresta che lievemente inclinata ci condurrà sulla cima del Pizzo Bianco mt.3995, dove arriviamo poco prima di mezzogiorno. Ho da qualche momento un solo pensiero e visto che siamo soli e che poco sotto la cima c’è un cumulo nevoso, rapido e impellente il motivo per cui mi calo le braghe a 4000 mt di quota. Rapido ed efficace riesco a scaricarmi e coprire di neve quello che sarebbe inopportuno lasciare in vista nel regno immacolato del bianco. Improvvisamente mi sento non meglio ma proprio bene e capisco allora il motivo del repentino affaticamento che imputavo alla quota. Mi sembra di rinascere…tipo quando ti passa il mal di testa..ora sono tutta energia e sono spazzate via come da un colpo di spugna le preoccupazioni che mi avevano attanagliato nell’ultima mezz’ora. Per anni con ste commenteremo ridendo della cagata più in alta quota nella storia delle Alpi! Copro il malfatto, ne approffittiamo per mangiucchiare qualche barretta e ripartiamo per affrontare il tratto più impegnativo dell'ascensione. Si comincia con un saliscendi tra rocce e neve (I° e II°) sino ad un primo torrione dal quale ci si cala tramite una prima doppia di circa 15 metri. Ora si deve salire un secondo evidente torrione-gendarme, abbastanza esposto e di difficoltà III°/III°+ quindi calarsi anche da questo con una breve doppia giungendo così alla Breccia del Bernina. Si scende ora verso destra (Ovest) per altri 15-20 metri fino a raggiungere la base di un torrione all'inizio della breve cresta NNE del pizzo Bernina. C’è un piccolo salto da compiere e mi fermo a guardare se ci sono soluzioni migliori. Alle nostre spalle arriva un gruppo di anziani vicentini. Uno di loro, vedendomi fermo ed incerto, improvvisamente mi urla nell’orecchio: SALTAAA. E’ la scossa, e sono subito oltre. Scaliamo l’ultimo torrione direttamente (passaggi di IV ma molto discontinui ), fino ad arrivare al colletto dove inizia il tratto di cresta finale che in breve ci porta in vetta al Pizzo Bernina (4050 ). Alle 14.30 alziamo le braccia al cielo e ci abbracciamo dopo 10 ore di viaggio. Ci fermiamo mezz’ora sulle grosse pietre della vetta tra pietre chiacchere e pranzetto. Poi iniziamo la discesa verso l’Italica patria, inizialmente per rocce rotte e poi seguendo l´aerea cresta (passi di II e III), che congiunge la Cima svizzera con la Cima Italiana (Punta Perrucchetti mt.4026). Si crea un poco d’ingorgo tra le varie cordate con code alle calate. Il tempo passa e seguiamo il tratto roccioso verso destra lungo il quale si trovano gli ancoraggi per le calate in doppia, l'ultima delle quali conduce ad un breve canalino che adduce al pendio nevoso sottostante. Nel frattempo nuvoloni neri si sono addensati sopra di noi e appena ci siamo liberati dalle corde, scoppia il finimondo: tuoni tremendi scuotono il nostro piccolo mondo e lampi accecanti saettano un poco ovunque. Lanciamo continuamente avanti a noi le piccozze per liberarci del loro metallo acchiappa saette. Ad un certo punto perdo anche l’equilibrio e scivolo sul pendio ma sono già abbastanza spaventato per farlo ulteriormente e poco dopo per fortuna mi arresto. Recupero la piccozza e riprendiamo a corricchiare terrorizzati vs il basso. Dopo un poco usciamo dalla nube fantozziana che ci ha avvolto e improvvisamente come tutto era iniziato, si placa. Ormai siamo al rifugio Marco e Rosa (3597 m) che raggiungiamo alle 18.30. Chiedo quanto manca per scendere vs il Morteratsch ma il tipo si mette a sorridere…capisco che dovremo dormire lì…nella baracca adiacente al rifugio. Al mattino ci risvegliamo con calma e partiamo alle 10, il cielo è coperto e la neve non si distingue nel bianco uniforme. Ci hanno avvertito dal rifugio di calcolare bene le nostre energie perché il percorso è ancora molto lungo e faticoso. Traversiamo immediatamente una zona di crepacci e seracchi immensi. Scatto foto a questi palazzi di ghiaccio nel biancore uniforme dove risaltano solo i colori dei nostri abiti. Non si vede nulla se non una lieve traccia, non siamo tranquilli,l’ambiente è estremanente pericoloso e repulsivo. Mi sembra di essere nel Khumbu in Himalaya. Per mezz’ora andiamo avanti in questo meraviglioso dedalo di forme geometriche e gigantesche fino a che notiamo sotto di noi su un pianoro la fila dei vicentini(cinque) partiti prima di noi e un poco ci rincuoriamo. Alle 11 per fortuna siamo scesi oltre la zona più minacciosa, la visibilità un poco migliorata e la traccia nella neve è finalmente ben visibile, ma dura poco perché mezz’ora dopo raggiunto il contrafforte roccioso ( cresta della Fortezza) siamo nuovamente in un caos di rocce ghiacci e ghiaioni che scendono in ogni direzione e non si capisce proprio dove si debba andare. Cominciamo anche a litigare sulla via da scegliere. Finchè ci separiamo e comunque tenendoci in vista scegliamo ognuno la propria strada. Quando due ore più tardi ci riincontriamo entrambi abbiamo affrontato passaggi in roccia in discesa fino al II, esplorando terreno vergine. Non abbiamo mai capito se entrambi abbiamo perso la via ma siamo scesi ad occhio seguendo la logica del percorso e non trovando segno alcuno. Giunti all’Isla Persa, tra le colate del Vadret da Morteratsch e Vadret Pers, uscendo dal ghiacciaio per 300/400 metri, si rimette piede sulla fronte del ghiacciaio. E’ passato tantissimo tempo girando per questo versante infinito, dovendo continuamente scegliere l’itinerario migliore tra i crepacci, i torrenti e le bedieres fino a giungere alla fine del tratto impervio del ghiacciaio dove finalmente alle 16 bagnati depressi infreddoliti possiamo un poco rilassare i nostri nervi tesi per questa epica discesa. Veramente snervante e lunga questa cavalcata in discesa sulla Fortezza , e l'Isla Persa. Ora siamo in un paesaggio surreale fra due morene che come muri alti un paio di metri sono solcate nel mezzo da una trincea sassosa che percorriamo con difficoltà ma felici perché è la via per la nostra salvezza. Qualche ometto torna a comparire. Poi risaliamo sul ghiacciaio che percorriamo ancora più tranquillamente tra crepacci fronti morenici, cascate che si infrangono oltre i salti rocciosi ma in un ambiente ormai più aperto e rilassante. Alle 17 siamo ormai sulla morena finale che porta i segni dello scioglimento cui è stata sottoposta negli ultimi anni: sembra quasi una spiaggia inclinata dal tanto detrito sabbioso di cui è ricoperta. Alle 17 le nubi fradice di pioggia che ci hanno tenuti avviluppati per tutto il giorno si alzano un poco sbuffanti e guardandoci indietro riusciamo a vedere da dove siamo arrivati, non certo da dove siamo passati. Solo la Cresta Guzza per la sua forma ben definita emerge netta in quest’accozzaglia di cime ghiacciate che si mescolano tra loro nel vorticar di vapori e nubi. Alle 17.30 ci sediamo su un grande masso sfiniti e abbracciandoci ci facciamo una foto che chiameremo “salvi”. Sembriamo due profughi, non fosse per i vestiti. Poco dopo un cartello con scritto Morteratsch 40 min rappresenta il sigillo del ritorno alla civiltà. Siamo a quota 2010 mt al termine della Vedtret de Morteratsch. Un attimo dopo ci sembra inverosimile poggiare i nostri scarponi sulla stradina sterrata che porta i turisti al fronte della morena da cui siamo appena usciti. Ma non c’è nessuno in questa giornata inclemente e solo i paletti che indicano dove arrivava il ghiacciaio anni e poi decenni e infine secoli prima ci tengono compagnia nel nostro ritorno verso l’umano convivere. Attraversiamo il ponte sul fiume che scende ruggendo dal ghiacciaio e alle 18.15 siamo alla stazione del trenino che per le 19 ci riporta a Pontresina. Scesi dal trenino ci rechiamo scalzi vs il parcheggio tale è la stanchezza e la voglia di togliere gli scarponi fradici…poi sulla panchina del park spazzata via tutta il peso della giornata e degli zaini, ci regaliamo sorridenti e ironici una foto con pollici sollevati e calzoni rialzati. Grande Ste grazie per questa avventura per il tuo spirito sempre positivo e per la tua amicizia.
Foto 1 Ste sulla Biancograt Foto 2 noi in vetta Foto 3 salvi
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