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   arera solo 97, 06/04/2006
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  valcanale  (1000 m)
Quota attacco  2200 m
Quota arrivo  2512 m
Dislivello della via  312 m
Difficoltà  F+ ( pendenza 40° / I in roccia )
Esposizione in salita Varia
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  picca e ramponi
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento La prima gita dell’Anno Domine 1997 ci vede partire il 22 marzo con dani verso l’invernale dei Laghi Gemelli. Lasciamo carona alle 8.30, tre ore dopo siamo al Lago marcio nella nevosa e faticosa salita.
Facciamo pausa per una mezz’ora e poi riprendiamo a salire raggiungendo i Laghi Gemelli verso le 13.
ci godiamo la bella giornata di sole gracchiando fra la neve nei dintorni dei laghi e poi il calare della sera nell’accogliente e riscaldato locale invernale. il giorno dopo alle 8 siamo già in marcia per il ritorno agli studi.

Alle 9 del 6 aprile 1997 invece parto solo da Valcanale in una splendida mattina di sole che brilla nei contrasti fortissimi tra il blu celeste e il bianco della neve primaverile.
Mi incammino da subito nella neve ben rivelata in direzione del Rifugio Alpe Corte, che raggiungo in mezz'ora, transitando sotto le magnifiche e calcaree rocce delle punte del gruppo dell'arera che svettano meravigliosamente dolomitiche sopra il verde degli abeti e scheggiando il blu del cielo. Resto ammirato da tanta bellezza che non pensavo potesse appartenere al paesaggio orobico. Alle 10.15 raggiungo il Passo del Branchino m. 1820 traversando onde di neve sulle quali salire è leggero come surfare. Dal passo senza abbassarmi procedo a mezza costa verso sinistra fino a trovarmi sotto la bella parete della Corna Piana e risalgo piegando verso destra fino alla Bocchetta di Corna Piana in magiche colline bianche di stupore a quota 2075, ubicata a ovest della parete rocciosa dell'omonima Vetta. Successivamente, bisogna perdere quota scendendo nella bellissima conca compresa tra la parete nord del Pizzo Arera mt. 2.512 e quella sud della Corna Piana mt. 2.302, per poi risalire nuovamente fino a giungere dopo 40 minuti circa al Passo di Corna Piana mt. 2.130.
Il panorama è fantastico e l'ambiente superlativo: un sole accecante rimbalza sulla neve ghiacciata riempiendo il mondo della sua luce e gli occhi cercano nello scuro blu del cielo un poco di riposo. Paffute bianche nubi solcano la volta rendendo il soffitto simile ad un quadro destinato a diventare capolavoro. Dal valico, salire l'evidente e ampia spalla nevosa, che diventa sempre più ripida fino a quando viene interrotta da una parete rocciosa. Il tracciato piega decisamente a sinistra consentendo di evitare il salto che ci si presenta davanti. Ci si immette poi all'interno di un lungo e ripido canalino nevoso seguito poi da un ampio canalone che conduce ai facili pendii nevosi sommatali.
Raggiungo la croce in ferro della sommità del Pizzo Arera mt. 2.512, alle 13.45 in un mare di bianco e di blu che si baciano senza confini. il panorama è infinito ed entusiasmante.
Faccio qualche foto un piccolo spuntino e alle 14 comincio la discesa a grossi balzi sul ripido pendio nevoso che nel frattempo sotto l'effetto del calore ha smollato. Faccio una decina di balzi e poi all'improvviso sento il piede sx scivolare via e ritrovo sdraiato sul fianco consapevole della velocità che aumenta e della paura che mi raggiunge perché temo che non riuscirò più a fermarmi. La scena successiva mi vede invece in piedi con la gamba destra tremante e la sinistra che brancola libera ed inutile sul pendio ghiacciato e senza il rampone che mi aspetta qualche metro più in alto. Non so per quale miracolo sia riuscito a fermarmi e rialzarmi quasi d’incanto: guardo dove sarei finito se la mia corsa non si fosse fermata ed è meglio non pensarci. Ringrazio,calmo il ritmo del respiro e mi concentro sulle mosse da eseguire per procedere nel recupero del rampone mancante, unica opzione per salvare la pelle.
Non ho una piccozza con me e quindi comincio a scalciare con violenza il ghiaccio nella speranza che il mio scarpone Cervino possa creare un buco nel quale poggiarsi: insistendo ci riesco e la vita torna bella e il sole è ancora giallo e il cielo blu. Poi sposto il piede col rampone e ricomincio a creare il nuovo buco per il piede sx. Così facendo in mezz’oretta copro la decina di metri che mi separa dal rampone che mi appare così vicino ma così irraggiungibile soprattutto quando mancano gli ultimi passi, ma che non si possono saltare. un poco di tensione per calzarlo in equilibrio come una gru sul pendio ghiacciato ripulito dalla neve che lo mascherava e spazzata dalla mia scivolata e poi torno padrone della situazione. Ringrazio ancora il mio Dio e leggero riprendo con cautela la discesa, apprezzando come non mai il morso delle punte sulla neve. Alle 15.30 ripasso dal lago branchino che si è liberato un pochino di più dalla morsa del gelo e alle 16.15 sono nuovamente a Valcanale.
A casa, quando poi racconto a dani della mia disavventura mi racconta che proprio a quell’ora mi aveva pensato e aveva detto un Ave Maria.
Imperscrutabile il cuore dell’alpinista e ancor più quello di nostro Signore. Una sola certezza: ci ama di un amore di cui ci sfugge a volte la comprensione. Un'altra certezza: quelle volte la colpa è nostra.
Foto1 nevaio vs Bocca di Valpiana Foto 2 Arera
Foto 3 in vetta


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