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   Traversata delle 13 cime!, 28/07/2013
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Onicer  Vezz   
Regione  Lombardia
Partenza  Parcheggio dei Forni  (2140 m)
Quota attacco  3431 m
Quota arrivo  3769 m
Dislivello della via  3700 m
Difficoltà  AD ( pendenza 45° / IV in roccia )
Esposizione in salita Varia
Rifugio di appoggio  Rifugi Branca e Vioz, bivacchi Colombo e Meneghello
Attrezzatura consigliata  Uno spezzone di corda da 30 m, caschetto. Possono risultare utili 2/3 friend e 2 viti da ghiaccio.
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Traversata compiuta in senso ovest-est (dal Cevedale al Tresero); salita per la val di Rosole, discesa per il ghiacciaio dei Forni ed il sentiero glaciologico alto.
Le difficoltà sono estremamente variabili in virtù delle condizioni. I passaggi più complicati, che danno il grado alla traversata, sono tuttavia attrezzati.

In questa occasione il report sarà più che altro "emozionale". Rimando all'itinerario su questo sito per l'accurata descrizione. A cominciare dal dislivello, avrò tuttavia cura di integrarlo e aggiornarlo durante il racconto***.

La traversata è un must dell'alpinismo lombardo e consente di toccare in un colpo solo tutte (ad eccezione del monte Giumella) le montagne che compongono la cornice meridionale dello spettacolare bacino dei Forni. E' inoltre percorso ideale per chiarirsi una volta per tutte le idee sull'orografia della zona, cosa impossibile a farsi con un'unica toccata e fuga scialpinistica nè tanto meno con una sbinocolata dal basso.

Ecco l'elenco delle cime:
1- monte Cevedale (3769 m) - l'ambito
2- monte Rosole (3529) - il comprimario
3- palon de la Mare (3704) - il pacioccone
4- monte Vioz (3645) - il rinomato
5- cima Linke (3631) - l'intrusa
6- punta Taviela (3612) - la temibile
7- cima di Pejo (3549) - la panoramica
8- rocca di Santa Caterina (3529) - l'arcigna
9- punta Cadini (3524) - la storica
10- monte San Matteo (3678) - il sovrano
11- cima Dosegù (3560) - l'imbronciato
12- punta Pedranzini (3599) - l'inarrivabile
13- pizzo Tresero (3594) - il miraggio

Venerdì sera, dopo un'ottima sosta pizzoccheresca al Grisun di Castione Andevenno, io e Ugo ci portiamo al parcheggio dei Forni che raggiungiamo a mezzanotte in punto. L'erba bagnata ci consiglia di montare la tenda.

Sabato, di buon ora, ci incamminiamo alla volta del rifugio Branca e su per "la bella" val di Rosole (consigliata!). Lo zaino è colmo (il rifugio Vioz è completo e non ci ha permesso di prenotare; senza una reale ragione ci sobbarchiamo il peso di sacco a pelo e cibo per due giorni).
Quando il sole ci raggiunge siamo già oltre la morena a godere del colpo d'occhio sulle cime dell'indomani. Con facilità, per nevai e detriti, raggiungiamo il colle del Pasquale: la veduta del Gran Zebrù è commovente e tonificante. Ancora uno sforzo ci deposita sull'affollata cima del Cevedale. Significative le parole di una ragazza: "e questo da dove sbuca?". Prima cima raggiunta, brividi.

Senza dilungarci troppo, scendiamo su neve non completamente marcia diretti alla cuspide rocciosa del monte Rosole che raggiungiamo senza particolari problemi. Vero però è che, dopo quasi duemila metri di dislivello, la fatica comincia a farsi sentire. Giunge provvidenziale il bivacco Colombo che ci regala un'oretta di pennica. Quasi rigenerati, torniamo a salire la calotta glaciale del palon del la Mare. Qualche chiazza di ghiaccio comincia qui ad affiorare. Anche il Vioz è ora a tiro; ci separa da esso una tutto sommato delicata discesa e un'ultima risalita. La quota si fa sentire sottoforma di lieve ma costante cefalea pulsante.
Le distanze tra una cima e l'altra sono importanti. La visione del rifugio sotto la vetta ci dona conforto. Speriamo ci accolgano.

Così è. Ci godiamo l'ultimo sole, una buona cena, un bel tramonto. La notte invece è un mezzo tormento. Su di un materasso in corridoio, vedo e sento, ad uno ad uno, probabilmente tutti e sessanta gli inquilini del rifugio che, ogni quarto d'ora, si muovono e sfanalano in cerca del bagno. Ho così tempo di pensare all'indomani, focalizzando le ansie sui due tratti più ostici della traversata (Taviela e Santa Caterina) e sulle decisioni da prendere per l'itinerario di discesa. Sempre che ci arriviamo.

La sveglia suona (o meglio la spengo prima che suoni visto che non ho chiuso occhio) alle 3.55. In tutta fretta facciamo colazione e ci prepariamo: l'obiettivo è restare alle calcagna di un gruppo del soccorso alpino almeno fino alla punta Taviela. Tira un venticello teso. Alla luce della frontale e di uno spicchio di luna, ritorniamo all croce del Vioz, traversiamo alla cima Linke, per poi scendere decisi. E qui il primo rallentamento. Mentre chi ci precede si destreggia al buio con sicurezza, noi optiamo per allestire una doppia su di un primo esposto passaggio. "Addio sogni di gloria" penso tra me e me.. "se siamo già fermi qui, il Tresero resterà un miraggio". Con l'aiuto della piccozza, superiamo anche un'infida placca ghiacciata.

La salita alla punta Taviela non oppone nessuna delle preventivate difficoltà.*** Si tratta di seguire dei bolli gialli, di usare le mani qua e là e di azzannare un paio di risalti (peraltro attrezzati) non particolarmente problematici. E' raggiunto il crinale della montagna che per la prima volta si insinua in noi la convinzione di potercela fare. Sensazione amplificata dal grandioso panorama. Gonfi delle nostre certezze, cavalchiamo rapidi la cresta, toccando quindi la poco significativa elevazione della cima Pejo.

Abbiamo ora modo di osservare l'arcigna rocca di Santa Caterina, che scurissima e slanciata, si erge proprio di fronte a noi. La salita si fa più tecnica ma la roccia è buona: ne risulta una piacevole arrampicata. C'è tempo anche per un attimo di terrore causato da una scivolata di entrambi i piedi su del ghiaccio coperto da neve: ho fortunatamente il riflesso di aggrapparmi ad una lama del medesimo ghiaccio. In caso contrario sarei scivolato per qualche metro e rimbalzato sulle rocce sottostanti.
La discesa dalla rocca è, in quanto a difficoltà, il punto chiave della traversata. Si scende un muretto aiutati da 4-5 pioli metallici ed una catena. Si prosegue brevemente senza aiuti fino ad una serie di corde fisse (un po' lasche) in alcuni casi attrezzate su degli spit. Il tratto più aereo e ostico è una cresta affilata senza appoggi per i piedi da percorrere in traverso tenendosi unicamente con le mani.*** Per quanto ci riguarda abbiamo deciso di legarci per tutto il tratto, assicurandoci qua e là con protezioni veloci. Ma abbiamo perso una marea di tempo.

Si punta quindi alla Cadini che impone un'ulteriore risalita. Il finale si svolge sui resti di una scala di legno risalente, credo, alla guerra. Nello scendere compiamo un'errata divagazione per sfasciumi. Risaliti, troviamo la corretta via, ben più sfasciumata della nostra. Una vero cumulo di terra è, da sto versante, questa montagna.
Il tratto per arrivare al bivacco Meneghello lo ricordo come una estrema fatica. Sono le 11.30. Incontrati tre ragazzi, Ugo dà di matto (sarà la quota): insiste per elemosinargli del cibo quando nello zaino ne abbiamo per un reggimento e, fino a poco fa, abbiamo maledetto il peso specifico dell'insalata di riso. Capisco poco dopo che il suo programma sarebbe quello di fermarci qui per la notte. Con molteplici argomenti riesco a dissuaderlo, non prima però di esserci ulteriormente appesantiti di un panino alla mortazza e dello speck.

La cima del San Matteo, che da ore (in realtà da anni) anelavamo, la raggiungiamo prima del previsto. Con passo costante abbiamo risalito lo spallone glaciale, lasciandoci alla sinistra la croce del monte Giumella (non ci è passato nemmeno per la testa di aggiungerlo al nostro carnet). Ad attenderci tre cordate salite dal Gavia. Un po' per il freddo improvviso, un po' per l'attesa, un po' indiscutibilmente per la stanchezza, ci lasciamo andare ad un attimo di nervosismo. Passeggero comunque.

Sotto un vento sferzante (siamo ora esposti ad ovest), avanziamo come due zombie alla volta della terzultima cima: il Dosegù. Le tracce di coloro che ci precedevano non ci sono più (sono scesi ai Forni dal San Matteo). Stringendo i denti, ma il bruxismo perdura già da ore, raggiungiamo anche questa rocciosa vetta. Ci aspettavamo qui una discesa banale, così invece non è: seppur priva di passaggi tecnicamente difficili, è piuttosto verticale e oltremodo esposta.*** Non vorremmo fare compagnia alla massa di detriti sparsa laggiù sul ghiacciaio, e quindi procediamo con cautela, avendo cura di non inciampare nei nostri stessi ramponi né di far incastrare il materiale appeso a zaino e imbrago.

La conclusione della traversata si avvicina, abbiamo bisogno di alimentarci, di resistere alle raffiche che talvolta ci costringono a procedere a quattro zampe, di scorgere una traccia che scenda sul ghiacciaio verso la nostra auto. Sarebbe un bel colpo per il morale. E inizia a intravedersi qualcosa. Rifrancati, ci lasciamo alle spalle l'interminabile salita per la Pedranzini.

Da qui il Tresero è a un tiro di schioppo, la risalita agevole.
Siamo su!
Brividi.
Non ci sembra vero, ce l'abbiamo fatta!
Anche qui, come per tutta la giornata, le nuvole scorrono fuggevoli lasciando talvolta filtrare il sole. Ci appare di essere attori protagonisti illuminati dai fari sulla scena. E in effetti gli applausi sono tutti per noi, anche se sono solo metaforici: non c'è nessuno a farceli (e non sarebbe il caso). Ce li facciamo da soli, tra noi e noi. Fa parte dell'alpinismo e del tentativo di avvicinare i propri limiti e raggiungere i propri sogni.
Brividi.

L'ora è tarda, sono dodici ore che siamo in marcia, urge scendere. Dopo qualche discussione, decidiamo di farlo per il ghiacciaio dei Forni. Seguiamo una traccia che si perde ben presto. Ci affidiamo allora al nostro intuito. Per Ugo è la prima volta su un ghiacciaio in veste estiva. Comprensibili alcune preoccupazioni, che in parte condivido data l'ora tarda. Ma man mano che perdiamo quota, anche queste ansie svaniscono: di crepacci nemmeno l'ombra.
Con percorso non obbligato, aggiriamo la cima San Giacomo per poi calarci speranzosi per quel che sembra uno dei possibili percorsi scialpinistici. Attraversato un impetuoso torrente, individuiamo i primi minuscoli ometti che ci condurranno, con ancora lungo percorso, al parcheggio di partenza. Dinnanzi a noi è la val di Rosole da dove ieri eravamo partiti: scintilla al sole ed è più bella che mai.


Sarebbe anche finita qui se non avessimo passato anche la notte di domenica in tenda: trovatici in coda all'altezza di Ardenno, avendo notizia di code anche a Colico ed essendo stanchi morti, abbiamo piazzato la tenda in una piazzola sulla strada per Tartano. Che ronfata!


Nota sulle condizioni:
creste rocciose pulite, neve scarsamente consistente anche al mattino presto; sole con cumuli da calore il primo giorno, cielo estremamente variabile per tutto il secondo. Rifugio Vioz al completo, ma accogliente anche con chi, come noi, ha deciso di bussare alla loro porta ugualmente. Bivacchi in buone condizioni. Acqua non presente sulle creste, ad eccezione di alcuni rivoli sul ghiacciaio nei pressi del Palon e del San Matteo.


Per il fotoreport dovrete aspettare che torni dalle vacanze.
Per ora tre rapide foto:
1- Giunti al colle del Pasquale la veduta del Gran Zebrù è commovente e tonificante.
2- L'alba viene a ingentilire lo sperone orientale della punta Taviela.
3- Discesa in compagnia dal monte San Matteo.
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