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   Elbrus, 09/07/2007
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Onicer  Renato   
Regione  Altro
Partenza  Rifugio Priyut  (4060 m)
Quota attacco  4060 m
Quota arrivo  5642 m
Dislivello della via  1582 m
Difficoltà  PD ( pendenza 40° )
Esposizione in salita Sud-Est
Rifugio di appoggio  nessuno
Attrezzatura consigliata  Corda picozza ramponi
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  2 - Moderato
Condizioni  Pessime
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento E' il giorno della salita all'Elbrus. Partiamo all'una con un meraviglioso cielo stellato e con passo lento, ma costante, rimontiamo le rocce Pastukova già salite ieri.
Ora si segue un ripido pendio che supera un dislivello di 300 metri. Il cielo comincia a tingersi d'azzurro e a est si intravvede il bagliore rosso del sole ancora nascosto da numerose vette oltre i 4000.
Ad ovest invece un lontano nuvolone isolato ad intervalli si incendia, sono i lampi di un temporale. Con ampia curva a sx si inizia il traverso sotto la vetta orientale per giungere alla sella quotata 5375 che divide le due vette.
Il sole finalmente ci scalda. Breve sosta e ripartiamo per superare un ripido ma facile pendio che ci porta sul versante nord-est all'inizio di un insidioso traverso. Ma proprio in questo momento cambiano completamente ed improvvisamente le condizioni climatiche: prima nebbie fitte, poi neve ghiacciata. La via è segnata ogni 50 metri con un bastoncino e questo facilita capire che direzione seguire anche se a stento vediamo il successivo. Arriviamo con fatica a 20 metri dalla vetta, tre russi che ci precedevano tornano indietro senza salire e ci fanno capire che l'aria è piena di elettricità, di non salire. Ma noi siamo decisi, mancano solo 20 metri!
Infatti a saltoni arriviamo alla spicciolata in vetta. Non abbiamo il tempo di gioire, tutto frigge: ramponi, bastoncini , picche ... noi.
Siamo in 13, solo io riuscirò a scattare 3 foto identiche al cippo della vetta (anche la macchina frigge...), subito dopo inizia il finimondo, un fulmine colpisce in pieno il cippo della vetta, tutti fuggono a quei famosi 20 metri più in basso buttando picche, bastoncini, tentativi di togliere i ramponi con le mani congelate.
Uno di noi, Claudio, urla di abbassarci e forse è questa la decisione giusta. Con visibilità zero arranchiamo nel traverso, qualcuno ha il terrore, qualcuno invece di scendere, sale! Ha perso l'orientamento. Fatichiamo a rimanere uniti.
I fulmini cadono vicini e gelano il sangue, la neve ghiacciata è talmente violenta che entra nei cappucci delle giacche, gli occhiali sono inservibili. Riusciamo ad arrivare al colle di 5375 metri e sentire i tuoni e fulmini più lontani da noi. Iniziamo ora il traverso e la lunga discesa nella nebbia senza più traccia ma seguendo i provvidenziali paletti. Alla fine arriviamo al rifugio con ancora neve e fulmini e sarà per tutti un bel sospiro: pensiamo di aver portato a casa la pelle!
Quindi in condizioni di bel tempo e senza ghiaccio affiorante è una lunga e bella camminata su neve in quota.
Noi abbiamo avuto la sfortuna di incontrare quel repentino cambiamento di tempo che poteva portare a fatali conseguenze e che tante vittime ha fatto negli anni passati.
Foto 1: dal colle fra le due cime, il traverso a dx in ombra. Il cielo è azzurro!
Foto 2: il cippo di vetta un attimo prima di essere colpito dal fulmine.
Foto 3: l'Elbrus dalla stazione Garabashi il giorno dopo
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