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   pizzo Grò, 19/08/2024
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  Agneda (1200m)
Quota attacco  2000 m
Quota arrivo  2653 m
Dislivello  100 m
Difficoltà  PD / II ( II obbl. )
Esposizione  Nord
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  corda 30 mt imbrago cordini d'abbandono per doppie
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Che strana quest’estate in cui per la prima volta in tanti anni non ho programmi non ho obiettivi non tanto a livello personale quanto di compagnia. I figli crescono e non chiedono più la gita al papà, gli amici invecchiano e abbandonano la scena o l’entusiasmo e altri più giovani hanno obiettivi che richiederebbero più libertà di quella di cui posso disporre io, oppure si dedicano ad altro. Diciamo che sono spariti alpinisticamente parlando gli amici con cui ho condiviso le estati più belle. Va così anche se questo mi mette un poco di tristezza e malinconia per i tempi d’oro che furono in cui ogni secondo libero diventava da occupare in un progetto o in un sogno. Perfino il mio amico Robi quest’anno mi avvisa all’ultimo della sua settimana libera per ferie e in cui vorrebbe fare un giro in montagna. Grazie all’amicizia che ci lega anche a livello familiare mia moglie rinuncia ad un suo giro dalle amiche e ci concede di sfruttare la chance. Rispolvero il progetto in fase di studio del Pizzo Grò per cui penso di salire dalla via Valtellinese e poi scendere dal versante orobico recuperando il Passo del Salto e poi eventualmente proseguire oltre per Pizzo del Salto, Omo, Diavolo e chi più ne ha più ne metta. La mattina del 13/08 sono in casa con Noemi e chiedo a Robi se può venire a darmi una mano perché non ho ancora ben studiato l’itinerario e non ho ancora preparato il materiale. Farò il turno del pomeriggio e al ritorno passerò a prenderlo da casa. Mentre Robi ninna Noemi preparo quasi tutto e poi lo libero ringraziandolo. Alle 22.30 dopo un turno alluccinante per via della pz che voleva chiamare i carabinieri perché non c’era il suo antibiotico, raccatto Robi in piazza a Ripalta Guerina e partiamo per la Valtellina. E’ stanco anche lui e non vuol guidare e allora via in direzione Milano Lecco Morbegno Sondrio e poi su fino ad Agneda dove arriviamo verso l’una di notte. Montiamo la tenda al volo nel solito bel spiazzo erboso e stavolta solo cullati dal dolce mormorio del ruscello ci salutiamo all’1.30 decidendo di non puntare la sveglia..io sono proprio cotto. Dormirei due giorni. Un timido chiarore mi segnala l’inizio di un nuovo giorno, sono le 5.30..non ho nessuna voglia di alzarmi..ma siamo qui per questo! Mi alzo a far pipì, rientro, mi ristendo e mi rialzo..via! Disfiamo la tenda, facciamo colazione con i beveroni proteici lanciando un’occhiata al cielo imbronciato che si tinge di rosso quando da qualche parte il sole nascosto manda i suoi raggi a colpire la volta celeste. Alle 6.15 lasciamo i 1230 metri della piana di agneda e ci avviamo sulla sterrata che punta verso la diga di Scais e le sagome ancora scure della triade Medasc, Soliva, Cavrin. Poi la strada in cemento s’inerpica e saliamo prontamente a tornanti mantenendo la destra al bivio che indica Mambretti e arrivando all’altezza della diga sulla sponda destra del lago. La percorriamo con belle viste sul bacino e le Case di Scais che occhieggiano colorate oltre il turchese delle acque invero molto ribassate. Oltre, l’incredibile cresta della Grande Course che da qualche anno ormai sogno di completare( percorso il crinale semplice che dalla Bassa Valtellina partendo dal Dosso Billi arriva fino al Pizzo Rodes e aggiunto successivamente in invernale il pizzo Biorco), e che si vede per intero: Punte Gemelle, Punta degli Uomini, Pizzo Scotes, Cime di Caronno, Cima del Lupo, Porola e Scais. Solo il Redorta resta nascosto dietro la lunghissima quinta rocciosa. Alle 7 raggiungiamo il bivio per tornare alle Case di Scais e passiamo dalla grande costruzione metallica da cui partivano le teleferiche che servivano le miniere d’uranio della Val Vedello. Il Grò ci appare con la sua immensa e rocciosa parete nord dalla forma massiccia su cui si stacca la squadrata pioda finale. Da qui sembra inscalabile “by fair means”. Pochi minuti dopo siamo alla svolta a destra del sentiero GVO per il Passo del Forcellino che passando per due volte di notte con filippo, non avevamo visto transitando per la vicina Baita Cornascio e poi perdendoci nelle tracce delle vacche fra sassi ed erbe per poi risalire il costone e riprendere la giusta via. Salendo pochi metri, il Gò comincia a far intravedere il grande colatoio compreso fra le due creste discendenti e che poi è la via per la salita alla cima. Stiamo per ridiscendere verso il solco della Val Vedello e i Cavrin, il Grò e il Salto stanno allineati in bellissima prospettiva. Passiamo un bell’ometto da cui parte presumibilmente la traccia che sale verso il Piz Ceric e raggiungiamo alle 7.30 gli imbrigliamenti di un torrente che scende sotto i Cavrin. Dalla relazione di Beno siamo a q.ta 1850: coincide con il mio vecchio Suunto! Qui la parete Nord del salto domina la scena e noi cominciamo a salire seguendo la vecchia strada delle miniere che a breve sarà mangiata totalmente dalle frane e dalle erbe riportando questo vallone al suo isolamento primordiale. La luce dorata del mattino veste il Salto e il Grò mostra la sua pancia, il punto debole che dovremo attaccare per accedere ai piani superiori. Alle 8.15 siamo alla fine della strada che lasciamo puntando in traverso vs sx i prati che anticipano la nostra parete. Passiamo sotto il vallone che divide la Torre di Cavrin dalla nostra montagna e poi un quarto d’ora dopo ne raggiungiamo le compatte placche basali che non attacchiamo direttamente ma ci spostiamo a sx vs una sorta di canalino diedro che sembra più semplice. Facciamo colazione, mettiamo i caschi e alle 9 comincio ad arrampicare su difficoltà attorno al II° grado. Beno parla di III° ma probabilmente lui essendo più forte è salito direttamente dalle placche. Arriviamo poi alla compatta e rocciosa cengia che piega vs sx dove le difficoltà aumentano un poco(anche il vuoto sotto di noi) ma senza problemi raggiungiamo la soprastante fascia di vegetazione dove inizia la celeberrima valle sospesa. 10 minuti di arrampicata divertente. Caprette pascolanti irridono i nostri sforzi arrampicatori. Ora si riprende a camminare su pendenze erte e traccia a tratti più animalesca che umana. Superiamo subito con qualche passo ancora di II° un’altra breve fascia rocciosa e poi nuovamente ripidi e magri prati. Saliamo con molta fatica per via della pendenza e del terreno detritico e allora ci fermiamo a riprendere i bastoncini riposti, con cui va decisamente meglio con evidente rilassamento dei quadricipiti. Alle 10 raggiungiamo l’annunciato, dalla relazione di Beno, glacionevato a q.ta 2500 che traversiamo nella parte superiore ( chissà se in anni magri sarà già sparito del tutto) della sua lunghezza di un centinaio di metri e larghezza di circa 20. Puntiamo alla fascia rocciosa di sx che appare solcata da canalini franosi che saliamo con passi di I°/I°+ fino a sbucare in cresta mezz’ora dopo. La pioda di cima meno repulsiva di come me l’aspettavo ci aspetta a sx e pare semplice da scalare. Riguardando le foto sui libri di Pezzotta appare evidente come abbia perso in seguito alle frane degli ultimi anni il suo aspetto appuntito e con passi sotto il II° la superiamo velocemente. L’ arietta fresca tipica delle cime esposte ai venti mi conferma che ci siamo e alle 10.45 siamo sulla vetta sperduta ed esposta del Pizzo Grò (q.2650). Oltre il ciglio la parete strapiomba, facciamo le foto di rito in un cielo coperto che nasconde pezzi della scogliera di Scais e della triade Diavolo Omo salto. Bella la vista frontale sulla cresta che scende dallo Scotes vs la Bocchetta di Caronno e che rappresenta il tratto chiave per via della seghettatura e delle molte torri e torrette della Grande Course. Sotto di noi al sole i verdi e luccicanti prati del Vallone del Salto percorsi quando erano imbiancati in altra stagione con Filippo. Robi ha fame ma lo convinco ad aspettare per trovare la via di discesa sull’altro versante: seguiamo la cresta dalla parte opposta rispetto alla linea di salita ma un passo in discesa esposto e che costringe ad un movimento verso il vuoto mi blocca. Ci provo ma nn mi convince e torno sui miei passi: anche lui nn sembra entusiasta ma lo convinco a farmi provare con la corda e dopo avermi assicurato a spalla faccio il semplice passaggio: bastava fidarsi e girarsi spalle al vuoto. Percorro una sorta di cengia, disarrampico un paio di metri e mi trovo davanti ad un piccolo anfratto che nasconde un masso attorno a cui è avvolto un vecchio e un poco deteriorato cordino. Mi ci assicuro e spiego a Robi le mie intenzioni. Gli dico che se riuscisse a far passare la corda dentro un cordino avvolto attorno ad uno dei sassi di cima (pochi ed instabili) potrebbe usarla per aiutarsi nella discesa e raggiungermi. Lo sento deciso e gli dico solo di stare attento: con apprensione gli dico che gli mollo la corda..e la vedo sparire verso di lui. Lo sento armeggiare e spostar sassi, dice che non sono troppo affidabili ma inizia la discesa e senza difficoltà supera il saltello che lo deposita sulla cengia che in traverso viene da me dove ci ricongiungiamo. Gli sfugge la corda da 30 metri uscita dall’8 e questa penzola sulla parete col vento che soffia e sembra spingerla troppo lontana x essere raggiunta. Gli do dei cordini e allungandosi la recupera. Salvi..per il momento. Lo calo fino alla base della parete e poi faccio io una piccola doppia. E’ mezzogiorno e siamo scesi dalla strapiombante pioda sommitale che fotografo per memorizzare la linea di discesa e le nostre peripezie. Rileggendo a casa le relazioni di salita dal versante bergamasco credo d’aver capito che non andava affrontato questo lato( duro anche in salita nel tratto fatto in doppia ma che si dovesse tendere a sinistra per recuperare lo spigolo e poi salire la pioda da dove l’abbiam salita noi dal versante valtellinese. Scendiamo in un paesaggio dantesco di enormi massi franati cercando dove poggiare il piede e troviamo un paio d’ometti a sé stanti. Punto la direzione del colletto vs la cuspide del Piccolo Grò ma un troppo ripido canaletto di discesa non più segnalato, non mi convince. Ridiscendo per cercare altra via ma l’unica è sbarrata da un salto troppo alto e allora ritorno sui miei passi e scendo il non così ripido canaletto giungendo al colletto con ometto sotto la parete del Piccol Grò. Finalmente sappiamo dove siamo! Proviamo a risalire senza successo per la grande fessura. ( Anche qua probabilmente la linea di salita ideale stava più a destra). Siamo un poco stanchi di ravanamenti, il cielo brontola e decidiamo allora di scendere il pendio pietroso che dovrebbe portarci alla base dei salti di roccia del Grò per poi traversare per prati, secondo la mia idea, in direzione del Passo del Salto da cui riguadagnare poi il versante Valtellinese e tornare ad Agneda. Prima di risalire verso la cresta, ci fermiamo a concederci il meritato e frugale pranzo con visione a sx vs il Redorta e davanti della percorsa in altri tempi cresta che collega la triade Calvera, Vigna Soliva, Pizzo delle Corna dietro le quali svettano le rocce chiare della Presolana. Con pochi passi in salita raggiungiamo a sorpresa alle 13.30 la Bocchetta dei Geroi dalla quale è evidente che si possa scendere senza problemi nella nostra Val Vedello. Convinco Robi a salire sulla cima poco sopra ma quando ci arriviamo capisco che è solo la quota 2.500 e per arrivare alla vera Cima dei Geroi c’è ancora una lunga cresta e successiva risalita per poi ridiscendere al Passo del Salto. Facciamo foto stupende verso i Torrioni, il Grò e la punta svettante del Piccolo Grò che costituiscono un vero e articolato castello dalle molteplici punte e verso Diavolo omo e salto che ora si son tolti le nibi di dosso. Poi assecondo il desiderio di Robi di tornare, e riguadagnata la bocchetta ci lanciamo in discesa fra tracce e pietrame di varie dimensioni. Verso le 15 ritroviamo l’erba della strada delle miniere e dopo aver fotografato un bel rospo ci sciacquiamo nelle fresche acque di un ruscelletto. Lungo la rotabile e poi il sentiero GVO riguadagniamo il lago di Scais e poi sotto una pioggerella mista a sole che fa brillare e luccicare i verdeoro prati di Agneda, riguadagniamo l’auto per le 16.30. Meraviglioso pediluvio e bagno a frizioni nel ruscelletto e poi ritorno con pausa panino perché entrambi non ne potevamo più di mangiar spaciugate. Grazie Robi, grazie guerriero, sempre bello passar giornate con te fra i monti. Peccato sian diventate ormai così rare. Foto1 la linea di salita Foto2 Robi arrampica sulle placche basali Foto3 autoscatto in cima
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