Home Gallery
Reports
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Mountain Bike
Archivio
Itinerari
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Fenio...menali
Forum
Ricerca
   Gran Vernel Via Castiglioni(con variante), 31/07/2015
Inserisci report
Onicer  oscarrampica   
Regione  Trentino Alto Adige
Partenza  cava sotto il Gran vernel (1600 m) (1600m)
Quota attacco  2300 m
Quota arrivo  3210 m
Dislivello  900 m
Difficoltà  D / IV+ ( IV obbl. )
Esposizione  Nord
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata   a seconda della stagione possono servire i ramponi
altrimenti scarponi leggeri corde da 60 mt(potrebbe bastarne 1 ma in quel caso ci vogliono 12 doppie per scendere dalla normale di cui almeno un paio da attrezzare)
chiodi martello friend
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Non sono un vero rocciatore ( purtroppo per esigenze di tempo non ho mai potuto allenarmi in ambiente con costanza e quindi gli approcci al verticale sono sempre piuttosto moderati) ma girovagando per le Dolomiti spesso sono attratto da linee o pareti o montagne o traversate che ispirano il mio senso estetico( assolutamente personale). Cosi’succede per quel righello di roccia che dalla Roda del Muoln sale fino alla cima del Gran Vernel senza una sbavatura e che pare abbastanza appoggiato da non far pensare a difficoltà eccessive. Non trovando informazioni ad un certo punto mandando le foto a Nico, arriviamo a pensare di poter aprire una via nuova ( Merlo-Villa). In realtà scopriremo che è una via percorsa da Bruno ed Ettore Castiglioni (il 15/09 del 1926) niente di meno, ma questo particolare accende ancor più i nostri animi esploratori. Nell’attesa di trovarco per provarci, io sono in vacanza a canazei nell’albergo della nostra Associazione e tutti i giorni mi alzo col chiodo fisso di andare a dare un’occhiata per saperne di più visto che non abbiamo informazioni su come arrivarci e su dove partire se non alcune generiche ricavate dalla vecchia guida Berti e un foglio trovato sul web che prevede una variante nella parte alta. Il 20 di luglio mi porto in auto salendo verso il fedaia dalle parti del Pian Trevisan e attraversata la cava prendo a risalire l’ampio vallone che scende dalla grande parete nord del Gran Vernel. Zoomo subito sul tratto chiave della via rappresentato dalla grande fessura che unisce il basamento della montagna alla forcella che la unisce alla Roda del Mulon. Salgo per ghiaie,macchie di verde e qualche traccia in direzione del grande antro che custodisce l’immenso ghiacciaio pensile della montagna, simile ad un frigorifero di roccia col fondo incrostato di ghiaccio. Faccio foto zoomate per cercare di capire quello che la roccia ha da dirmi e poi bevo ad una cascatella che crea una polla cristallina. Riprendo a salire lo zoccolo basale e la montagna si avvicina svelando i suoi segreti che ancora non conosco. Individuo il gnocco roccioso da girarci dietro il traverso roccioso e poi la placca da superare per accedere al bastione laterale che sta a sinistra del ghiacciaio. Per oggi può bastare e torno soddisfatto dalla mia ricognizione durata un paio d’ore: ora almeno conosciamo la partenza! Quattro giorni dopo ritorno con Billy che ho convinto ad andare in esplorazione almeno fino a superare la placca che sappiamo opporre un passaggio attorno al III° grado, poi la via verso l’alto sarebbe aperta. Alle 9.30 siamo al park sopra la cava con il naso all’insù a guardare il circo che ci attende: da sinistra Roda del Mulon, Gran Vernel,Punta Cornates e Pala del Vernel. Tre quarti d’ora dopo siamo su un ghiaione autostrada sotto le prime rocce della parete nord e poi svoltiamo sempre per ghiaione a sx dirigendoci verso il frigorifero roccioso che contiene il ghiacciaio pensile del Vernel tra due nevai che si aprono uno a dx e l’altro a sx della fascia rocciosa che saliamo in direzione del gobbone che aggiriamo alle 11. Ora dobbiamo traversare orizzontalmente e semplicemente lo scivolo roccioso verso sx e portarci alla base della placca di III°. Ci prepariamo legandoci e poi Cecco mette le scarpette e sale la placca diritto affrontando deciso il pezzo in cui più s’impenna e sistemando un friend in una fessura per spostarsi poi a sinistra su un poggio dove fa sosta con un altro friend. Mi chiede se voglio salire e mi dice che più avanti sembra semplice. Anche per oggi il tempo è finito e ho visto quello che mi serviva per cui Cecco disarrampica fino al friend, scende sotto, lo toglie, e con qualche altro passo disarrampica fino a raggiungermi. Disfo la sosta e velocemente torniamo dalla famiglia con la certezza che la strada verso l’alto, ora è aperta. 31/07/2015: è il giorno. Sappiamo che sarà dura e lunghissima in giornata per cui ci troviamo il giorno prima per andare a dormire in tenda alla base della montagna, in mezzo a prati e abeti che ci ricorderanno il giorno dopo quanto è verde la vita, mentre passeremo l’intera giornata fra le rocce. Dopo una notte passata in tenda nei prati sotto la parete e i selfie di partenza con Giulia l’amica di Nico che ci aveva accompagnato anche sulla Cresta Corti, alle 5 siamo pronti per partire per la grande avventura. Siamo carichi noi e carichi gli zaini con due corde da 60 mt (per le doppie in discesa dalla cima), martello friends e ramponi. Conosco ormai bene la strada e ci muoviamo al buio alla luce dei frontalini. Attraversiamo la cava (risalendo da Penia di Canazei in direzione del passo Fedaia, poco prima del Ristorante Cosinat)e molliamo subito la strada sterrata prendendo una traccia di sentiero che costeggia il lato sx del torrente che scende dall’alto. La prima foto di giornata è per lo sperone della Roda del Mulon che pizzica il cielo azzurro intenso del mattino. Nei mughi sorpassiamo il primo salto di placche e fuori dal boschetto attraversiamo il torrente portandoci a sx di due consecutivi salti di placche che si potrebbero anche affrontare direttamente ma che troviamo bagnate dalla pioggia notturna. Per canali erbosi e qualche facile placca ci portiamo all’inizio del ghiaione (h 6) dove siamo colti dal miracolo dell’alba alle nostre spalle e che investe di rosso niente po po' di meno che il gruppo del Sassolungo con le cinque dita che riflettono di rosso fra giochi di luce e d’ombre. Contemporaneamente i raggi di sole coccolano la Punta Cornates sopra le nostre teste e la laterale Pala del Vernel. Cerchiamo di evitare le ghiaie stando sulle rocce a dx…poi dopo la svolta a sx dell’ultimo canale ghiaioso saliamo per facili rocce, costeggiando il nevaio a sx, verso l’ormai famoso groppone roccioso che va aggirato salendo un canalino roccioso che permette di passarci dietro e che deposita sul pianoro sottostante quel che resta del ghiacciaio pensile che una volta doveva essere veramente enorme a giudicare per quanti metri sono lisciate le pareti rocciose del frigorifero che ne contiene il residuo. Salendo l’orizzonte a nord s’è arricchito del Sass Pordoi e del Boè che emergono dietro i verdi crinali del Sasso Cappello e della costiera del Gruppo del Padon. Il fronte roccioso moderatamente inclinato che ci troviamo ora davanti, va attraversato pressoché orizzontalmente senza difficoltà puntando alla nota placca rocciosa di III° sup. Sono le 7 e con un tiro di corda che Nico non affronta direttamente ma portandosi a sx per mettere un friend nella fessura, la placca è presto vinta. Mi recupera e riposta la corda osserviamo per un attimo le enormi muraglie rocciose che fuggono verso l’alto. Da quassù c’è una vista incredibile sul Gruppo del Sassolungo e tutti i suoi satelliti: Sassopiatto, il dente la Torre Innerkofler e la Punta Grohmann e infine le 5 Dita prima del Capo. E poi Piz Ciavazes e Sass Pordoi brillano come perle nel giardino delle Dolomiti. Noi felici, cominciamo la risalita dell’abbordabile sperone che per rocce discrete e facili (max II°) ci portano in alto in questo universo minerale, di pietra in pietra. Le seguiamo estasiati dalla luce lontana sopra di noi e da sguardi furtivi sul buio baratro alla nostra destra. Continuiamo in un ambiente selvaggio e di rara bellezza dove rade macchie di verde rompono la monotona bellezza del grigio fino a quando finisce il terreno roccioso. Siamo piccolini in questo enorme calderone roccioso. Al culmine dello sperone, rocce scoscese con poco invitanti cenge che precipitano sull’orrido sottostante ghiacciaio che attende decine di metri metri più in basso, ci intimoriscono. L’alito freddo del gigante che dorme, sale fino a noi, e non vorremmo svegliarlo. Visione dantesca con la crepaccia che sembra una bocca spalancata. Che posto spaventoso e per questo attraente. Un poco disorientati sul dove andare, notiamo sulla sx una spalletta ghiaiosa che ci toglie dall’impasse e che facilmente raggiunta, miracolosamente ci inoltra nel circo glaciale superiore dove ammiriamo finalmente la fessura che adduce alla forcella( il punto più difficile da raggiungere e da cui inizia la più semplice cresta nord). Sono le 8.30 e bisogna scegliere se seguire la via originaria (attraversando il ghiacciaio)e poi salendo la lunga fessura/camino. Oppure percorrere la variante seguita da un solitario che sale su un contrafforte a dx del nevaio e che poi attraversa la placconata sopra il ghiacciaio arrivando in vertiginosa traversata alla forcella. La via della fessura appare ostica e anche forse non più percorribile per il ribasso del ghiacciaio ormai un secolo dopo il passaggio del buon Ettore che lascia scoperte rocce terribilmente slisciate. Dispiaciuti di abbandonare la via maestra ma convinti della scelta, partiamo velocemente verso destra salendo per facili risalti per una ventina di minuti fino a che ci fermiamo davanti ad un tratto in cui le rocce s’impennano. Nico fa un tiro di III° grado un filo esposto, mi recupera e poi proseguo io arrampicando su terreno più semplice ma parimenti esposto. Mettiamo via la corda e per rocce articolate e stupende, raggiungo la fine dello sperone roccioso proprio mentre il sole sbuca dalla linea della cresta nord e ci trasmette energia per raggiungerlo dove lui già sta. La grande placconata da traversare ora la guardiamo negli occhi alla nostra sx, sfidarci e mostrarci il punto d’arrivo, agognato, alla forcella che brilla di sole. Rientro nell’ombra e alle 10.00 sono in cima allo sperone trovandomi meravigliato a scoprire che siamo staccati dalla parete principale…forse si potrebbe scendere da dx ma vista l’esposizione manco controlliamo e un invitante spuntone ci suggerisce di calarci brevemente in doppia alla base dello sperone che si incolla alla parete placcosa. Mentre gurdiamo felici un cordino grigio, avvolto su uno speroncino posto più in alto di noi sulla parete di fronte, un sibilo acuto rompe il silenzio immoto. Un lieve moto del mio capo a ritrarsi e un sasso lanciato a folle velocità mi sfiora e ferma la sua precipite corsa sul collo dello scarpone di Nico che urla impreca ma non molla...nella sfiga è andata bene perchè ci avesse colpito altrove sarebbero stati guai seri. Dieci cm più in alto gli avrebbe probabilmente spezzato la gamba. Dolorante, urla, impreca e pesta furiosamente lo scarpone. Nico è un duro. Decide, decidiamo di proseguire e ci caliamo per 5 mt nello spazio fra le due pareti. Fa paura guardare dove dovremo passare e pensare cosa c’è sotto. Mette i brividi pensare di dover traversare queste placche precipiti. Bah…magari sopra saran meglio meglio e contenti di trovarci con la relazione, ci prepariamo ad affrontare l’evidente camino che abbiamo davanti. Recuperata la corda, faccio sosta a Nico rinserrandomi in una sorta di buco fra le rocce e lo osservo attaccare le rocce sul lato esterno sx del camino che, calzando scarponi rigidi(ramponabili) fa veramente fatica (ma con somma bravura) a superare, riuscendo a proteggersi solo con un microfriend. Da sotto sembrava più semplice ma ci sono un paio di passaggi di IV° veramente impegnativi se fatti con gli scarponi..comunque arrivo anche io allo spuntone col cordino che avevamo visto dalla cima dello sperone prima della calatina in doppia. Il camino (15 mt) va seguito fino a quando si chiude e invita all’uscita sulla sx. L’interno del camino appare più difficilmente percorribile. Sono le 11.30 e davanti a noi si aprono infide placche pure a tratti bagnate che sognamo di poter trovare attrezzate..ma non sarà così! Nico avanza titubante tra cengette e rampe fino a che risale ad uno spuntone solido dove attrezza una sosta con fettuccia e dalla quale decidiamo che mi recuperi per poter poi osservare il proseguio. Non siamo veloci e questi 10 mt ci sono costati un'altra ora. Poi Nico riparte e dopo altri 15 mt di traverso si ferma per mettere 1 chiodo (che toglierò poi con la picca senza sforzo) e poi avanza avanza fino a fine corda sprotetto e chioda nuovamente la sosta felice perché stavolta cantava e anche lui sfoga con rabbia la sua tensione. Tiro chiave in traverso quasi impossibile da proteggere senza chiodi su roccia non difficile, ma bagnata friabile ed esposta e che ci costa un'altra ora. E’ come viaggiare sulle uova..hai sempre paura di rompere qualcosa e prendere la via del baratro col pezzo che ti è rimasto in mano oppure che si è sgretolato sotto il piede. Ci si abitua. Raggiunto finalmente Nico, riparto e il terreno è più semplice o forse mi sono abituato all’esposizione e alla roccia scagliosa e volo fino a fine corda dispiaciuto di dovermi fermare. Recupero Nico che siamo ormai fuori dalle placche esposte ed entusiasta guardo la via di fuga salire verso la nostra salvezza. Ci sleghiamo, siamo ormai alla base delle rocce di II° grado che danno alla forcella. Arrampico di corsa sollevato e curioso di arrivare dove ho sognato di essere da tanto tempo e quando vedo la piccola forcella in corniciata nel cielo blu chiazzato di nubi, ni commuovo. Ce l’abbiamo fatta! Mi isso sul piccolo spazio a cavallo di due mondi e osservo felice Nico risalire le facili e appoggiate placche intervallate da gradoni. Sopra di noi si alza come un missile una torre verticale, a destra la pancia bianca della Marmolada e a sinistra la meravigliosa cresta non certo rettilinra come da lontano che sale tranquilla verso l’alto, verso la cima del Gran vernel che è là dietro fissata nel cielo e ancora lontana. Ed è così che appare in uno scatto bellissimo che mi regala il mio compagno mentre io sono intento sguado all’insù a fissare l’incredibile torre che ci sovrasta. Sono le 14.30..è tardi ma ormai la via di fuga è verso l’alto. Pausa panino, un goccio di coca che non manca mai nello zaino del mitico Nico e che in questi momenti ha l’effetto di una scossa benefica come il suo sorriso bonario mentre te la porge. Dieci minuti dopo, un ultimo sguardo all’immensa torre e muraglia che ci sovrastano e si riparte per la cresta nord che con emozione inizio ad attaccare per rocce inizialmente facili e friabili, che richiedono comunque l’uso delle mani perchè l’esposizione rimane sempre notevole. I passi non sono mai difficili ma sempre un poco friabili e a cavallo di due mondi che s’inabissano. Con soddisfazione mista a timore passiamo sopra le placche che abbiamo traversato e ci hanno tanto impegnato un’ora fa: il salto è notevole verso il fondo. Seguiamo ora una cengetta sotto cresta e poi ci ritorniamo scalando una placchetta con passi delicati attorno al II° e su cui Nico mi scatta una splendida foto. Impressionante il baratro alle mie spalle! Recuperata la cresta viaggiamo ora sul dorso del dinosauro con la cima che sembra vicina ma irraggiungibile e con la stanchezza che inizia a farsi sentire. Scatto stavolta io una foto a Nic memorabile mentre mani sul dorso della bestia la cavalca con dietro l’immensa punta della Roda del Muoln che riempie un po' di vuoto. Alle 15.15 ci sembra di essere alti, Punta Cornates ormai al nostro fianco, la Mrmolada quasi. Nico rimane un poco indietro, ma non mi preoccupa perché è uno che non molla mai e allora guardo un po' l’orizzonte verso il Sassolungo e il sella..sembra di guardarli da un aereo…c’è solo aria tra noi e loro. E oltre il lago del Fedaia Counturines e Tofane. Poi la cresta si perde in ghiaioni e risalti indefiniti..mi prende l’irragionevole paura di sbagliare direzione e aspetto Nico…capisco che sono stanco! Ma ora recuperato il filo di cresta non c’ è proprio più niente a dividerci dall’omino della cima che se ne sta fermo a braccia conserte e sembra dirci..vi aspettavo..ma quanto ci avete messo. Impazzisco di felicità e quando percepisco l’emozione anche nel duro Nik, mi metto prooprio a piangere di gioia. Ce l’abbiamo fatta. Anche Nico trattiene a stento le lacrime e lo vedo felice e commosso. Che impresa per noi due. Ci abbracciamo entusiasti, fieri l’uno dell’altro (Nico sei un grande). Siamo in cima al Gran Vernel(q.3205, h 16.30) e un cielo carico di nubi nere disturba la visuale verso i massicci montuosi che sono quasi tutti semicoperti dalle nubi. Il paesaggio è estremamente severo e dirupato sia in direzione di punta Cornates che verso la cresta da dove dovremmo scendere con le doppie. E’ la Marmolada a svettare potente e prendere a testate le nuvole che rimbalzano via dalla sua bianca cresta. Celebriamo con diverse foto il nostro successo ma è già ora di pensare alla discesa che sarà lunga e non semplice. I Nuvoloni neri ruotano in cielo, mi preoccupano e ci invitano a veloce calata per le doppie della via normale che iniziano attraversando l’esile cresta in direzione marmolada. Fortuna che Nico l’ha già fatta un’altra volta quando è salito per la normale. Avanza sull’altra cresta cercando nella memoria quello che sa e io lo seguo preoccupato per l’ambiente niente affatto più rassicurante e per lontani rombi di tuono. Scendendo davanti e sotto di noi la cresta dentellata del Piccolo Vernel e dietro le Cime d’ombretta. Nico cerca e infine trova lo spuntone esposto dove iniziano le calate. Sono le 17.30 quando inizio a calarmi all’inseguimento di Nico..il tempo sembra reggere..un temporale quassù sarebbe la fine. Abbiamo l’ottima relazione dei 3000 dolomiti di Ciri da seguire ma Il fiuto di Nico ci guida e inanelliamo non molto veloci veloci le 5 doppie dai 50 ai 25 m che occorrono per scendere questa parete appoggiata ma molto friabile in cui le corde (due da 60!) creano molti problemi di aggrovigliamento. Verso le 19 le nebbie ci avvolgono e non si vede più nulla, se non le corde che s’inabissano in un nulla più preoccupante..per consolarmi penso che va peggio a Nico che sta davanti e che col temporale sarebbe stato una catastrofe. Tocchiamo terra e nuova vita alle 19.30 dopo l’ultima calata verticale, presso la Forcella del Vernel (q.3003) o almeno così speriamo perché “nun si vede na cippa”. Siamo immersi nella nebbia e ci gettiamo a capofitto nel ghiaione del canalone fino a quando una successione di salti rocciosi ci costringono a gettarci sulla sx viso a valle dove con relativa facilità riusciamo a scendere. Alle 20.20 in una parziale e quasi miracolosa schiarita riusciamo a scorgere il pianoro finale dove dovremmo approdare e soprattutto come un miraggio a vedere l’enorme masso isolato punto di riferimento per la partenza del sentiero che porta al Pian dei Fiacconi. Dovrebbe mancare solo 1 h, esultanti seguiamo la traccia sul ghiaione condurci dopo un grande spallone verso sx e quando su di una roccia vediamo un segno Cai, ci sentiamo a casa. In realtà nebbia e stanchezza ci portano alle 20.50 a girovagare per immensi placconi senza più vedere segni o direzione. Ora smarrita la via, oltre alla sera scende anche la notte e ci prende sconforto e rabbia. Per 1 ora girovaghiamo fra tracce varie fino a che alle 21.30 finalmente una di queste in risalita ci porta a vedere un cartello la cui dicitura Pian Dei Fiacconi ci riempie il cuore di sollievo e le luci del rifugio che bucano la notte son dolci come un miraggio d’oasi nel deserto. Ci ributtiamo nel nero seguendo le scie delle nostre tremolanti frontali e alle 22.30 le grandi luci della diga del Lago fedaia ci annunciano salvezza. L’ultima foto è per un tratto di sentiero in ghiaino con fiori a far da corona e mi sembra di passarci come fossi un re acclamato per il suo ritorno. Camminiamo leggeri dopo 18 ore di fatica consegnate al silenzio e al ricordo della gioia provata lassù nel blu. Alle 23 concludiamo felici e distrutti la nostra odissea al Fedaia dove Giulia preoccupata ci aspettava..noi quelli delle 11 (come alla Cresta Corti). Non ci son parole. Grande via d’ambiente con difficoltà non elevate ma difficilissima da proteggere e che costringe a zaini pesanti per il rischio ghiaccio. foto 1 la parete dal parcheggio foto 2 il traverso roccioso e la placca di 3+ foto 3 la fessura della via castiglioni e in rosso e blu la nostra variante
Report visto  3321 volte
Immagini             

[ Clicca sulla foto per ingrandire ]
Fotoreport