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   Punta dei Tre Scarperi,il k2 delle Dolomiti, 02/08/2012
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Trentino Alto Adige
Partenza  Park Val Campo di Dentro (1500m)
Quota attacco  2650 m
Quota arrivo  3145 m
Dislivello  500 m
Difficoltà  AD- / III+ ( III obbl. )
Esposizione  Sud-Est
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  nda, meglio due corde da 30 mt
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Quest’avventura, comincia l’anno scorso nel 2011, quando con Nico decidiamo di provare a salire in giornata la cima dei Tre Scarperi, La Punta dei Tre Scarpèri (o Cima Tre Scarpèri, Dreischuster Spitze in tedesco, in alcuni testi quotata 3152 m) che è la cima più alta delle Dolomiti di Sesto, nonché la più settentrionale tra le cime delle Dolomiti che superano i 3000 metri di altezza, una di quelle montagne coperte dal mistero e di cui nemmeno il web racconta molto. Si tratta di una montagna misteriosa e regale, che da nord appare come una maestosa piramide, mentre da est e ovest assume la forma di una frastagliata cresta con pareti solcate da canaloni. Isolata, austera, più adatta agli alpinisti esplorativi dei vecchi tempi che a quelli moderni. Tanta fatica, pochi gradi, ma sufficienti a tener lontano gli escursionisti. Così dall’introduzione alla salita su Vie Normali: “Montagna misteriosa e regale, magnifica. Grande è l’effetto di isolamento per chi ne risale le pendici, accentuato soprattutto dalla difficoltà e lunghezza degli accessi. La mancanza di un veloce avvicinamento, l’assenza di comodi sentieri segnalati, il selvaggio e timoroso aspetto che tutta la catena incute fanno sì che una salita a questo monte sia riservata a escursionisti allenati all’avventura, meglio dire ad alpinisti esperti e agili su terreni friabili. I e II grado classico, passaggi di III. La prima parte non è semplice da trovare ma non presenta difficoltà se non quelle dei rari segnavia e della franosità del canale di accesso alla terrazza inclinata. La seconda parte della salita è lunga ma non presenta difficoltà di rilievo, alternando tratti di I e di II grado. Qualche breve passaggio di III grado nel canale finale. Alcuni chiodi per salita e per corde doppie (cordini vecchi!). E’ comunque importante tenere in considerazione che si tratta di una ascensione lunga, su roccia friabile e con qualche difficoltà nell’orientamento: questi fattori la rendono adatta solamente ad alpinisti esperti e capaci di muoversi agevolmente in ambienti di questo genere. Alcuni ometti di sassi e rari segnavia con vernice rossa, coperti da vernice blu/grigia, aiutano soprattutto per la discesa.” Partiamo per il nostro sogno condiviso la mattina presto da Caprile e ricordo che durante il viaggio quasi vomito e chiedo a Nico di fermarsi per prendere una boccata d’aria fresca. Comunque alle 6 dell’11/8 siamo già nel parcheggio del Piano Fiscalino dove finisce il mondo civile e ci si inoltra negli spazi aperti e selvaggi delle Dolomiti di Sesto. Pochi attimi e la nostra montagna scura fino allo sguardo precedente viene inondata di luce e arancione arrossisce davanti a noi. Che spettacolo, che benvenuto. La ammiriamo e contempliamo sperando di poter raggiungere fra poco il suo castello sommitale fatto di tantissime torri che rendono la cresta di cima simile ad un istrice. Lasciato il parcheggio di Val Fiscalina e imboccata la stradina che porta alla Capanna di Fondovalle, appena superata la stalla dei cavalli, sulla destra imbocchiamo una traccia di sentiero che entra subito nel bosco, dapprima rado e basso (pini mughi), dirigendosi verso la Lavina Bianca. Camminando al fresco la nausea mi passa e la bella giornata ci induce all’ottimismo anche se non esiste un vero e proprio sentiero e il paesaggio è più simile ad un territorio di caccia. Troviamo infatti un cacciatore che ci dà vaghe indicazioni a vista. E’ un regno a parte quello in cui ci inoltriamo, lottando fra i mughi e puntando ad avvicinarci alla montagna sfruttando tracce animali o varchi naturali del bosco. Ogni tanto emergendo dai mughi che vanno diradandosi la montagna si mostra nella sua ampiezza e orientiamo la nostra direzione anche se è chiaro che dovremo tendere a destra, dove vanno le tracce che portano alle «macchie dei Scarperi» e alla Forcella dei Sassi. Giunti al termine della vegetazione proseguire inoltrandosi nel centro della Lavina Bianca e risalirla fino allo sperone che scende dalla Punta dei Tre Scarperi. Alle 7.30, risaliamo un primo canale (probabilmente il greto secco di un torrente) e un’ora dopo siamo alle prese con un immenso ghiaione che ci porta alla base di un canalone che termina in una sella che diventa il nostro prossimo obiettivo. Risaliamo faticosamente il canalone a fondo duro ma franoso e alle 9.15 siamo in cima. Dalla sella dovremmo salire verso sinistra per un centinaio di metri lungo ripidi scaglioni, poco impegnativi, per arrivare al bordo della grande terrazza inclinata e poi alla base delle rocce e all’attacco della gola ghiacciata che segna l’inizio della scalata vera e propria. Saliamo ad occhio il terreno che si smuove completamente sotto i nostri piedi e ad un certo punto mentre mi appoggio ad un grosso masso per trovare un punto fermo ma questo si muove e rotola di sotto schiantandosi sul quadricipite di Nico che mi seguiva. Facciamo il punto della situazione mentre Nico cerca di capire se il dolore si attenua lanciando urla di rabbia. Il lungo elenco dei fattori negativi comprende: il ritardo accumulato girovagando in cerca di tracce o segni che non ci sono, la traccia che non c’è, l’infortunio appena successo, il compleanno di Jari che ho promesso a Dani sarò a casa a sera a festeggiare. Meglio tornare e tenere buona la giornata come esplorazione e conoscenza del territorio per un secondo tentativo. Alle 9.30 fotografo la gamba di Nico il cui ematoma si è gonfiato a tinte violacee e giriamo i tacchi. Non è agevole neanche scendere perché il terreno è scivoloso ma duro e non permette di saltare o scendere corricchiando. C’è è il rischio di sbucciarsi alla grande e quindi scendiamo attenti, contenti quando qualche tratto più roccioso ci permette di disarrampicare un poco, soprattutto nel canalone e poi giù veloci per il ghiaione di cui raggiungiamo la base alle 11.45. Alle 12.30 prima di reimmergerci nella mugaia mi volto per l’ultimo saluto alla montagna e per dirle che tornerò. Il suo silenzio è assenso e la sua immensità un invito. Scendo felice nella calura del meriggio. Un anno dopo, l’1 di Agosto del 2012 io e Nico torniamo sui luoghi del nostro sogno interrotto. Nell’anno trascorso abbiamo deciso che saliremo dall’altra parte della montagna e in più con l’idea di fare un bivacco notturno di fortuna per garantirci più tempo per la riuscita della salita che no si presenterà comunque semplice per via del “misterioso” avvicinamento. In fatti i nostri presagi di sventura trovano conferma quando risaliamo in auto la Val Campo di Dentro(magnifici panorami su Croda dei Toni, Cima di Sesto e Cima Undici) e superato il parcheggio( m 1520,h17) proviamo a proseguire sulla strada verso il Rifugio Tre Scarperi ma ci accorgiamo di spostarci troppo a destra rispetto alla nostra montagna, fino a quando alle 18 non trovando alcuna traccia che devia a sinistra, decidiamo a malincuore di tornare al parcheggio e seguire l’avvicinamento “a vista”. Fotografiamo i valloni d’accesso alla nostra cima che è preceduta dalla Punta Piccola dei Tre Scarperi per stamparci in mente il percorso che dovremo saper scegliere una volta che saremo sotto le pareti e in mezzo ai mughi. Da questa prospettiva e pulpito la Punta dei Tre Scarperi sale come una piramide verso il cielo e appare bellissima e irraggiungibile protetta da fieri strapiombi e da tante torrette di guardia. Ne fotografo con lo zoom l’incredibile zona sommitale e poi ci riavviamo verso il parcheggio che raggiungiamo poco prima delle 19. Risuperiamo la sbarra e traversiamo il breve tratto di bosco seguendo il sentierino che fa da scorciatoia per il Rifugio dei Tre Scarperi. Poi abbandoniamo il sentiero che si ricongiungerebbe alla strada percorsa prima e puntiamo alla base delle rocce alla nostra sinistra dove si vedono grandi ghiaioni che si alzano seguendone il profilo, per poi prendere la direzione della Lavina dei Scarperi . Traversiamo ad occhio il mare di mughi su tracce approssimative e dopo aver fotografato le luci del sole giocare con i pinnacoli della nostra montagna, mezz’ora dopo raggiungiamo un vallone ghiaioso. Risaliamo lungamente questa terra di nessuno priva di segni, chiedendoci se un sentiero da qualche parte esista e verso le 20 arriviamo in prossimità di una sorta di grandi dune di sabbia che non capiamo si siano formate per franamenti o scoli d’acqua dall’alto. Sembra d’essere sui resti di una frana gigantesca. Superate queste onde con tecniche invero poco alpinistiche, ci ritroviamo nel canalone ripido di rocce e mughi che segna inquivocabilmente la nostra direttiva di risalita. Saliti pochi metri il canalone si apre e alla nostra destra possiamo ammirare la cima dei Tre scarperi le cui torrette giocano a prendere i raggi del sole come fossero i codini dei cavallini delle autopiste. Che spettacolo vedere tanta luce brillare mentre noi ormai siamo all’ombra, come lo è la valle Campo di Dentro che ormai s’è tirata sopra la coperta della sera. Si preparano al sonno le sue cime: la Cima Piatta, la Cima e la rocca dei Baranci e altri monti che non conosco. Saliamo e la parete della nostra cima si apre alla nostra destra fin quando alle 20.30 la vegetazione finisce e come d’incanto sbuchiamo nell’enorme catino detritico chaimato Cadin dei Sassi. E’ un ambiente incredibile, una distesa enorme di sassi, pietre e ghiaie di ogni forma e dimensione che scendono dalla Forcella dei Sassi e dividono la Punta dei Tre Scarperi dalle Cime di Sesto. E’ come un deserto, non vi sono punti di riferimento se non la forcella che si apre lassù, in alto.
Dopo aver ammirato questo anfiteatro maestoso , la nostra cima che si alza a destra e il panorama serale alle nostre spalle decidiamo di scendere un poco alla ricerca di un poco d’erba dove sistemare i nostri sacchi a pelo e farci il giaciglio notturno. Troviamo ben presto un masso enorme con della bella e fresca erbetta sulla quale srotoliamo i nostri sacchi con la parete del masso a proteggerci. Ci prepariamo la nostra cena col fornellino e dopo un poco di lettura della carta geografica ci immergiamo nella contemplazione delle stelle che sopra di noi ci parlano sommessamente per trasportarci nel sonno e sogno notturno. Che silenzio, che pace, che meraviglia e mi addormento con il cuore in preghiera che batte di grazie. Sveglia puntata alle 4, colazione con thè e marmellata sul fornellino e poco dopo le 4.30 siamo pronti per il viaggio. Saliamo al buio lungo la pietraia del Cadin alle 5.30 la prima tenue luce orienta meglio il nostro passo. Venti minuti dopo raggiungiamo l’alto valico della Forcella dei Sassi, 2678m, che permette il passaggio tra la Val Campodidentro e la Val Fiscalina, una traversata difficile e lunghissima che il Visentini considera “una delle più belle traversate di tutte le Dolomiti”. Divide la Punta dei Tre Scarperi, dalle Cime di Sesto. Punto panoramico fantastico sia sul Gruppo dei Tre Scarperi, che sulla Croda Rossa di Sesto, Cima Undici e tutte le montagne a nord delle Tre Cime di Lavaredo. Dietro Nico spicca indomita e verticale la meravigliosa prua a cielo della croda dei Toni e poi il Popera e le guglie che bucano il cielo di Cima undici. Ci fermiamo perché sta sorgendo il sole dall’altra parte ed è uno spettacolo meraviglioso goderselo da quassù. Pochi attimi e il sole c’inonda di gioia e di vita e noi proseguiamo quasi in piano svoltando l’angolo e passando in val Fiscalina alla ricerca della gola ghiacciata perduta, dove l’altra volta non riuscimmo ad arrivare. Con nostra sorpresa dopo soli 5 minuti di cammino, talvolta in leggera discesa lungo un esile traccia, sino a raggiungere un ampio pendio ghiaioso che si risale, ritroviamo la targa di ferro di cui tutte le relazioni parlano come punto d’inizio della parte finale e allora conveniamo che è stato meglio salire da questa parte. Alzandoci ancora un poco per facili salti rocciosi, dieci minuti dopo vediamo ben sotto di noi la sella raggiunta nel tentativo precedente e le enormi terrazze detritiche che portano a dove siamo noi ora e dove occorse l’incidente a Nico. Saliamo ancora per facili rocce fino ad imboccare l’evidente gola ghiacciata che risaliamo abbastanza agevolmente essendo la neve dura ma martoriata di buchi e pietre che facilitano la progressione. Superiamo una paretina articolata ed un diedro di roccia friabile. All’uscita si presenta una parete ripida ,ma articolata con difficoltà in arrampicata mai sostenute(I e qualche passo di II), ma che richiede attenzione, per seguirne i punti più deboli(non è necessario legarsi). L’itinerario segue una traiettoria con numerosi cambi di direzione, tratti di sentiero, cenge facili e tratti di pareti. Alcuni ometti di pietra indicano la via fino ad arrivare in una zona di neri colatoi, sopra i quali si raggiunge la cengia che sostiene le torri del castello sommitale. Sento la stanchezza camminando nel seguente tratto facile e mi fermo a mangiare una caramella. Siamo ormai sotto la cresta finale irta di torrette, in un dedalo di rocce in cui sarebbe impossibile orientarsi senza qualche traccia di passaggio occasionale. Le grandi cime che ci circondano (Croda dei Toni e Cima Undici) sono ormai alla nostra altezza. Saliamo ancora per rocce rotte e per un ultimo camino che s’insinua fra le pieghe della montagna fin sotto le ultime torri. Tra queste, la più alta è la cima ed è riconoscibile per un piccolo tetto nero sul suo lato destro. Alle 9.10 ne intuiamo il profilo e superati alcuni gradoni rocciosi Nico affronta con la corda il tiro più difficile, entrando in un canale roccioso a destra di detta torre e che risale (chiodi di progressione e per calate a corda doppia, passaggio di III+) arrivando infine sotto al citato tetto, e superando un gradino verticale protetto da un chiodo vecchio seguito da un corto diedro un po’ aggettante e faticoso con l’uscita su sosta attrezzata. Per l’ultimo tiro della salita, ci sleghiamo e superiamo un canalino tutto a destra rispetto la cima, chiodo, che sbuca in cresta lungo la quale, in breve per percorso aereo e celeste, arriviamo felici ed increduli alla croce di vetta (quota 3145 mt, h10). Non è solo la fine della salita ma è l’inizio della soddisfazione che esplode per il raggiungimento di una cima che non era scontata e che era stata da entrambi da tanto tempo desiderata. Solito rituale delle foto con croce e sul sasso che pare più alto e che da sull’infinito e sulle varie punte delle torrette sommitali. Il panorama resta misterioso prigioniero di nubi e nebbie che ci hanno nel frattempo coperto e allora non ci resta che cominciare a pensare alla discesa calandoci alle 10.30 a fianco dell’ultima torre appena risalita e poi dal canalone sottostante e infine l’ultima che ci deposita nei pressi delle ghiaie basali verso le 12.30. Poi ridiscesa anche la gola ghiacciata, recuperiamo la forcella dei sassi e giù per i ghiaioni del Cadin fino a tornare all’amato e ameno luogo del nostro giaciglio notturno dove l’erba ha mantenuto la memoria dei nostri corpi. Sono le 14 e ripercorrendo a saltoni il ghiaione d’accesso, un’ora dopo siamo di ritorno al parcheggio dopo aver realizzato un sogno che per giorni cullerà nella gioia i nostri pensieri. L’ennesima realizzazione di spicco della nostra cordata che tra una risata e l’altra insegue l’avventura sulle cime dimenticate dagli uomini e che ricompensano i pochi che le cercano con ricordi indelebili. Grazie Nico. Diventato un amico più che un compagno di corda.
Foto1 la piramide Foto2 Nico nella gola ghiacciata Foto3 io e la croce
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