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   traversata(quasi) corni di nibbio, 11/05/2019
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Piemonte
Partenza  ruspesso (900m)
Quota attacco  1500 m
Quota arrivo  900 m
Dislivello  2000 m
Difficoltà  PD+ / II ( II obbl. )
Esposizione  Varia
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  scarponi pesanti,acqua,mat.da bivacco,2 corde da 30 mt,cordinie materiale per doppie
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Dall’autunno 2016 sogno di percorrere le creste dei corni di Nibbio completando il percorso che partendo dal monte faiè arriva in circa 20 ore al proman attraverso un intrico di cime spuntoni e gobbe a volte erbose altre volte rocciose. Dopo aver contemplato a volo d’occhio il tragitto dalla cima Corte Lorenzo, faccio un primo tentativo con billy che dopo una giornata convulsa ci consegna almeno la forcelletta da cui l’avventura comincia. Tante persone manifestano interesse ma poi per un motivo o per l’altro nulla mai si concretizza fino a quando con Zeno dopo esserci sentiti per un tentativo nel tardo autunno 2018, abortito per un improvvisa precipitazione nevosa, riusciamo a fissare tre giorni buoni ad inizio maggio.
Così attorno alle 21 del 2/5 ci troviamo nel quartie4re fiera a Rho e dopo aver acquistato dell’alcol partiamo verso la Valgrande. Montiamo la tenda nel solito spazio e a mezzanotte ci salutiamo. Alle 6 suona la sveglia, disfiamo la tenda e cominciamo a riversare in strada per la cernita finale tutto il materiale che abbiamo portato. Alle 7.30 stipati gli zain con tutto il necessario per la nostra tre giorni wilderness, partiamo.
1 ora dopo siamo sul poggio di cima Faiè ammirati e commossi dall’improvvisa prospettiva che ci regala la catena imbiancata che partendo dal Massone e passando per la est del Rosa, arriva fino alla weissmies.
Passiamo per la colma di Vercio, per le creste dirupate del Sasso rotto e poi infine lo strappo finale che ci deposita alle 10 sulla cima corte Lorenzo, dove riprendiamo fiato,cibo,acqua e ci prepariamo per il salto nel nelle terre abbandonate dagli umani. Mezz’ora dopo cendiamo direttamente per la crestina transitando oltre il bell’intaglio roccioso chiamato la finestra e cominciamo la discesa nel caos vegetale a prevalenza di rododendri che con direzione sinistra(non solo geografica) precipita verso l’intaglio che segna l’inizio del percorso di cresta. Raggiungiamo il punto fatidico alle 11, cercando il percorso migliore fra arbusti ontanelli e loppe erbose troppo bagnate per i miei scarponcini che non mi danno la sicurezza che vorrei e mi costringono a far sicurezza coi bastoncini condor. E’ emozionante tornarci e ripensare a quando lo raggiungemmo con billy al termine di una giornata di esplorazioni fra la giungla. A sx solo orridi e quindi contorniamo il versante valgrandino e tra traversi delicati e risalite su erbe molto ripide(con qualche bollo rosso che feci l’altra volta), ci troviamo alla base del canalino erboso che porta alla cima 1505. Si arrampica su erba aiutandosi con le mani ancorate ai ciuffi più robusti: l’esposizione è sufficiente a stringer forte mani e chiappe. Alle 11.30 contempliamo dall’alto il surreale paesaggio che ci stà dinnanzi: tutto precipita vs il basso e la nostra isoletta rocciosa stimola soste non addii. Una foto e zeno parte infilzando saltini erbosi e verticali l’uno dietro l’altro che mettono a dura prova la tenuta degli scarponcini e quella dei nervi. Bisogna sempre assecondare la discesa senza risalire verso le più volte invitanti o apparentemente facili roccette che portano vs la quota 1520. Ad un certo punto affrontiamo un passaggio in cengia erbosa,inclinata, bagnata, e pureesposta su un salto d’una decina di metri: zeno la oltrepassa cauto e poi protegge un poco da sotto il mio passaggio. Non è difficile, ma scivolare sarebbe fatale. Qualche minuto più sotto, evitata ancora la tentazione di risalire in cresta vs dx, ci troviamo ai due lati del saltello finale: sono pochi metri ma nessuno dei due è sicuro della propria soluzione e optiamo per la prima doppia di giornata su alberello che ci deposita al sicuro 7/8 metri sotto. Mentre Zeno risistema la corda io m’inebrio della gioia di camminare finalmente su terreno non pericoloso e risalgo veloce le prime loppe erbose che danno sul Torrione di Bettola. Sono le 12.45 e mezz’ora dopo ne calcheremo la cima risalendone i facili fianchi erbosi che ci ridonano il piacere di camminare solo con la fatica da compagna e non anche la tensione continua. Faccio abbondanti foto vs i passaggi un poco da brividi appena superati. Non si tratta di passaggi difficili nel senso classico del termine ma spesso insidiosi e pericolosi per l’alto rischio di scivolare fra le loppe semi verticali che le piogge del giorno precedente avevano reso per noi ancor più inaffidabili. Solo il cocuzzolo roccioso finale ci obbliga ad un piccolo passaggio d’arrampicata. Poi iniziamo a scendere e alle 13.45 dopo aver virato a dx per evitare il salto diretto, raggiungiamo la Bocchetta di Lavattel, dove ci fermiamo a pranzare increduli del terreno orizzontale. Il muretto a secco ci ripara dal vento fresco che soffia nel passaggio e stabiliamo che è troppo presto per fermarci a godere della bella insenatura. Così,alle 14.30 riprendiamo a muoverci, appesantiti, in direzione del pizzo tre croci. Da qui in poi si seguono lieve tracce lasciate dai pochi bipedi o dai più numerosi quadrupedi. Mezz’ora dopo di normale risalita erbosa siamo anche sulla prima delle due cime del Pizzo tre Croci. Guardando avanti i paesaggi sono senza dubbio più lineari e morbidi dell’intrico di creste frastaglaiate da cui siamo appena pervenuti, autentico labirintico dedalo. Rilassati ci concediamo un autoscatto in cui appariamo felici nel blu del cielo che fa da sfondo, ignari di come passeremo le prossime ore. Tra continui piccoli saliscendi puntiamo e raggiungiamo l’ennesima elevazione chiamata Turinell alle 15.30. Il tempo sembra tenere anche se da qualche tempo guardiamo eventuali punti per un bivacco un poco preoccupati per le previsioni che minacciavano pioggia per il pomeriggio.
Mentre scendiamo c’è il sole e assistiamo divertiti al cadere di qualche chicco di grandine che poi aumenta d’intensita…ma sembra un fenomeno passeggero visto il cielo ampiamente limpido. E invece il cielo diventa sempre più grigio e la grandine assume la sua canzone melanconica e monotona. Zeno si è fermato,siamo sopra un piccolo risalto e scendendo siamo alla Bocchetta del Saltir dove la nostra attenzione è subito attirata da una paretina rocciosa leggermente strapiombante che sembra poter fungere da provvisorio riparo. Appena ci appoggiamo al muro comincia a piovere a dirotto, sono le 16 e approntiamo col leggero telo da pittore una sorta di riparo che in effetti funziona egregiamente. Poi in barba all’orario approntiamo con teli e sacchi il giaciglio notturno e affrontiamo la furia degli elementi che si scatena dormicchiando riparati e cullati dal frastuono di vento e gocce che impazziscono sul telo. Due ore dopo sfruttiamo una pausa per uscire con attenzione dal nostro umido sepolcro e decidiamo brillantemente di risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico sfruttando l’acqua intrappolata a piccoli laghi nel telo che con attenzione versiamo nelle nostre bottiglie e recuperando il padellino lasciato all’aperto.
Acqua in abbondanza e allegri pregustiamo il momento della cena a base di tortellini fumanti ma durante le operazioni di travaso zeno colpisce il pentolino che allegramente prende la via del baratro poco distante. Io assisto divertito alla fine della nostra cena mentre Zeno in un impeto di foga cerca d’inseguire il rotolio metallico e mi tocca urlargli di fermarsi prima che abbia a perdere anche il compagno. Povero Zeno è disperato,io più divertito che altro. Intanto è riiniziato a piovere ci siamo ritirati sotto il telo e ceniamo mestamente sognando i turale. Zeno si rifà la cuccia su un altro lato del sasso e girovaga, io mi rintano anticipando il buio. Verso mezzanotte la bufera c’investe e il telo sbatte come fosimo in Himalaya, goccioloni rimbalzano ovunque ma non arrivano a bagnarmi coperto come sono da duemila strati isolanti, chiamo Zeno perché venga a ripararsi sotto quello che rimane del telo, ma mi risponde che lui è all’asciutto e quasi lo invidio. Per un po tengo il telo poi mi stanco e concludo che può anche sparire nel vento tanto ormai cambia poco. Passano i minuti tra una folata un risveglio e uno scroscio ma non le ore. Poi forse la pioggia cessa, poi forse è calato il vento. Prendo il coraggio e una notte stellata veglia sul nostro silenzio. Guardo l’orologio sono le 2.30, quando sia avvenuto il miracolo non è dato sapere ma ora basta reggere al fresco. Alle 5 esasperato esco dal buco e lento come un bradipo assaporo la vita rientrare nelle mie vene e poco dopo il sorgere di un alba livida, nuovamente imbronciata. L’acqua di cui siamo intrisi si gela a segnalarci una temperatura prossima allo zero. Affrontiamo il gravoso compito di strizzare e riporre tutto, lasciamo il telo per eventuale riutilizzo sotto gli anfratti del masso ricovero e alle 6.15 come cani bastonati torniamo viandanti. Mesti mesti infreddoliti e bagnati senza aver voglia di far colazione riprendiamo a salire per tracce vs la Teisa che ci accoglie sulla sua lunga cresta alle 6.45 e poi iniziamo l’ennesima discesa in cui l’ennesimo salto ci obbliga ad una deviazione a dx dove nuovi ripidi erbosi ci permettono dopo traversi nevosi vs sx di riguadagnare la massima depressione della creta, qui chiamata Passo del Tita. Sono le 7.30.
Ci fermiamo a fare il punto della situazione e a far colazione nell’aria fredda del piccolo passo con lo sguardo incollato e poco convinto vs i tetri corni di nibbio che sono rappresentati da gobbe erbo rocciose che vanno al loro termine a saldarsi al lesino. La neve nella notte è scesa bassa ed è chiaro che la incontreremo salendo al lesino ma soprattutto scendendone il difficile versante che da sulla Bocchetta di Valfredda. Zeno esprime i suoi dubbi e la mia resistenza ideologica accetta infine le sue ragioni: rischieremmo parecchio e con un tempo che non promette nulla di buono. Gli propongo di provare a salire un poco, di provare a salire senza zaini, ma non abbiamo più entusiasmo: la sua proposta di lanciarci all’avventura scendendo per la Val piana mi sembra priva di senno ma un occhiata al percorso non sembra far intravedere ostacoli insormontabili…e poi abbiam le corde dice Zeno eccitato dalla sfida all’ignoto. E Val Piana sia. Terminiamo la colazione, foto d’addio e alle 8 cominciamo a scendere l’impervio ma non eccessivamente ripido versante vs la Val Grande, scegliendo i tratti meno scoscesi e restando alla sx del rio fino a fare qualche tratto al suo interno per poi abbandonarlo ancora sulla sx. Dopo una breve doppia su un alberello(più che altro per evitare un tratto parecchio bagnato) arriviamo ad una sorta di crocevia fluviale dove s’incontrano tre diversi torrenti e transitiamo all’altezza di una bella polla cristallina(h 9.30) ancora sul lato sx della valle che sembra decisamente meno ripido. Rientriamo così nel boschetto di ontanelli cercando di tenerci sui tratti più pianeggianti che corrono sopra i precipiti versanti del canyion dove scorre il fiume. Seguiamo tracce che sembrano tracce salvo poi scomparire nel nulla ma la direzione è giusta e continuiamo ad abbassarci, facciamo un’altra piccola doppia e alle 11 vediamo finalmente come un miraggio il Rio Valgrande. Il fiume sotto di noi è vicino ma non si può e non si deve scendere perché le pareti sono rocciose e verticali perciò risaliamo sopra delle banche rocciose,facciamo una terza doppia e riguadagniamo il lato opposto del bosco da cui iniziamo nuovamente a scendere vs la salvezza sempre più vicina. Alle 11.15 incrociamo un enorme omino che immediatamente non riconosco come essere sul sentiero della bassa Valgrande e comprendo la situazione solo quando arriviamo al passaggio della catena per attraversare il rio che scende dallaVal piana e che oggi è particolarmente pieno e spumeggiante. Ci confrontiamo brevemente con Zeno sulle intenzioni per il domani per decidere se proseguire vs Orfalecchio o invertire la direzione di marcia e puntare all’Arca per visitare eventualmente il giorno dopo il Lancone di Valfredda. Zeno preferisce tornare e allora via vs i nuovo bivacco che raggiungiamo vs le 13. Entriamo e la miriade di pentole appese esaudiscono il sogno di Zeno di poter finalmente cuocere i turtlen. Poco dopo la pentola fumante viene riempita con pezzi di crocchette avanzate e iniziamo il pasto selvaggio. Fuori infuria il vento o forse è il fiume e il cielo si fa minaccioso, il tepore raggiunto ci fa prendere in considerazione l’ipotesi di restare e ripartire l’indomani ma alla fine prevale la voglia di tornare e riassettato il bivacco alle 14 abbiamo nuovamente gli zaini in spalla. Zeno è entusiasta del sentiero e degli scorci sul fiume mai visto così spumeggiante e furioso a causa delle precipitazioni di questi giorni. Alle 15.20 breve digressione al Ponte di velina, incontro con una bella salamandra maculata come un tifoso del Borussia Dortmund e alle 16.30 fotografo il Ponte di Casletto. Passiamo per le condotte e alle 17 incontriamo il mitico Motta che ci riaccompagna per il sentiero pianeggiante della condotta fino a Rovegro che raggiungiamo alle 18. Da lì poi ci riporterà in auto alla nostra su a Ruspesso dove si conclude in anticipo di un giorno la nostra avventura.
Il programma originario era quello di salire anche il Lesino e il Proman e poi di riguadagnare la Val Grande attraverso la Colma di Premosello, la bocchetta del bosco e il Lancone di Valfredda. Ci riproveremo.
Grazie zeno, sei un grande alpinista, un ancor più grande amico.
foto 1 la via dal CL foto 2 discesa dalla cima senza nome foto 3 il bivacco alla bocchetta del Saltir
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