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   Cima di Vazzeda, all'avventura, 22/08/2015
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Onicer  Vezz   
Regione  Lombardia
Partenza  Chiareggio (1612m)
Quota attacco  2980 m
Quota arrivo  3301 m
Dislivello  320 m
Difficoltà  PD+ / II ( II obbl. )
Esposizione  Nord-Est
Rifugio di appoggio  Rif. Del Grande-Camerini, 2564 m
Attrezzatura consigliata  Una spezzone di corda da 30 m, qualche cordino, una manciata di friend e tanta, tanta passione.
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Accettabili
Valutazione itinerario  Discreto
Commento Con pochissime informazioni, partiamo alla volta di Chiareggio con l'intenzione di salire l'estetica (da lontano) cima di Vazzeda. L'idea è nata all'ultimo momento: non sicuri di poter effettuare la discesa di una via in Albigna con una sola corda, ripieghiamo su una salita della quale ignoriamo non solo le possibilità di discesa, ma anche quelle di salita.
Pare che qualcuno abbia percorso la cresta nord (quella di confine) fino a 30 metri dalla vetta e che qualcun altro sia arrivato in cima per la cresta est nord-est della quale, al momento di mettersi in marcia, spunta addirittura fuori una stringata relazione.

Il grigiume che ci ha accompagnato per l'intero viaggio in auto, si è ora in gran parte dissolto: dal parcheggio di Chiareggio, la nostra montagna svetta slanciata a fianco della testata della val Sissone. Evidenti le due creste e, tra esse, il piccolo ghiacciaio che ci costringe ad appesantire lo zaino con i ramponi. A questo proposito, oltre a ciò, abbiamo dietro un cordino da 30 m, una manciata di friend e, per non lasciar nulla di intentato, anche un paio di scarpette.
Ci incamminiamo di buona lena verso il rifugio Del Grande-Camerini: dopo un tratto di riscaldamento nel bosco, superiamo le alpi Vazzeda inferiore e superiore; attraversiamo chiazze di epilobio, accarezziamo gustose piante di mirtillo. Per poi traversare decisamente a sud, per raggiungere la direttrice della cresta est nord-est, sotto la quale sorge il piccolo rifugio che raggiungiamo in poco più di due ore.
Il luogo sarebbe ameno, ma le nubi, che ci hanno raggiunto in netto anticipo sulle previsioni, non permettono di percepirne le potenzialità. Della nord del Disgrazia ci è dato godere solo per pochi minuti, altri punti di riferimento, ad eccezione del fondovalle, non ne abbiamo. Peccato: questo tentativo alla cima di Vazzeda meritava ben altro tempo.
Dopo un'ottima (seppur piccola) fetta di torta al rifugio, ancora indecisi sul da farsi, procediamo alla volta del ghiacciaio. I bucolici prati dell'alpe Vazzeda sono solo un ricordo: qui tutto è costellato di detriti di ogni forma, colore e dimensione. Granito, gneiss, anfibolite, scisto, persino marmo si alternano sotto le suole degli scarponi. Le nuvole ci tormentano e rare sono le vedute delle cime circostanti, bisogna prestare attenzione a non farsele scappare: per qualche secondo è visibile il monte del Forno, poi occorre voltarsi dalla parte opposta per uno scorcio sui monti del Ventina, dopodiché è la volta del Disgrazia… poi più nulla ad eccezione della nostra montagna: ancora in parte sgombra da nuvole, è lì a chiamare i suoi forse unici due corteggiatori della stagione. Non resta che lasciarsi guidare dall'istinto e scegliere la via di salita. Senza particolari tentennamenti, optiamo per la cresta est nord-est.
In breve siamo alla base e, dopo qualche tempo in più, siamo anche pronti per attaccarla. Guadagnato il filo di cresta, ci portiamo subito sul versante della val Sissone per aggirare una prima elevazione. Il terreno franoso e un passo delicato ci mettono subito all'erta: qui non si scherza. Risaliamo un canalone misto ad erba fino a una finestra nella cresta. Rimaniamo tuttavia da questo lato per aggirare uno sperone e risalire un canalino fino ad un secondo intaglio che ci permette di riacciuffare il filo del crinale che abbandoniamo però già subito, per inerpicarci con tratti delicati sul versante opposto (nord). Dopodichè siamo nuovamente in cresta. Risaliamo una facile placca di roccia buona (una rarità qui) per poi traversare nuovamente sulla destra su roccia da cattiva a pessima. Non abbandoneremo più questo versante, ma lo seguiremo lungamente con snervante traverso fin sotto la vetta.
Avanziamo in conserva, proteggendoci anche piuttosto spesso in considerazione della precarietà della roccia e della sempre sostenuta esposizione. La relazione in nostro possesso non ci è d'aiuto, è evidente che occorre fare da noi. Basarsi sul colore in mezzo a questo cumulo di rocce cangianti, è pura utopia. Finalmente, dopo un tempo imprecisato di progressione, giungiamo nei pressi della vetta. Aggirato un ultimo slanciato gendarme, prendiamo a salire su terreno marcio e pericolante per una trentina di metri fin sul crinale prima e sulla vetta poi. Sono le 15 passate.
Contrariamente alle ultime esperienze, l'arrivo in vetta non mi suscita emozione alcuna, positiva per lo meno. E' come se il panorama precluso, la stanchezza mentale, o la tensione per la discesa mi tengano bloccato. Una mezza delusione, smorzata unicamente dalla stretta di mano con Andrea. Dopo aver scattato una poco convinta foto alle grigie tonalità della cima di Cantone, ci apprestiamo a scendere.
La volontà di evitare il marciume del primo tratto, ci fa optare per mantenere il filo di cresta che, una volta raggiunto, non abbandoneremo fino a poco prima della quota 3169 (scorto anche qualche piccolo ometto).
Sul sentiero oltre il rifugio Del Grande Camerini, sotto una fine pioggerella, non ci sembra vero di non doverci più curare della corda né di doverci guardare la punta degli scarponi. Per oltre sei ore, infatti, la nostra concentrazione è stata rivolta unicamente a dove e come appoggiare i piedi, a quali appigli afferrare o evitare, a come gestire la corda o dove farla passare… decisamente più stressante di una normale giornata di lavoro!

Per info (fintanto che me le ricorderò) non esitate a contattarmi.
Scambio anche volentieri info con altre vie simili su cime dimenticate.

FOTO:
1- Curiose placche di marmo sul tratto tra il rifugio e l'attacco della cresta.
2- Sullo snervante traverso per la cima.
3- A pochi metri dalla vetta, su di una rampa di detriti pericolanti. Alle spalle di Andrea, la cresta di confine (N).
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