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   Burel e tratto finale Viaz dei Camorzieri, 20/07/2009
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Onicer  oscarrampica   
Gita  Burel e tratto finale Viaz dei Camorzieri
Regione  Veneto
Partenza  Loc. Stanga,val Cordevole  (450 m)
Quota arrivo  2280 m
Dislivello  2200 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  Bianchet
Attrezzatura consigliata  nde passaggi di 1° e 2° grado, tratti insidiosi su erbe
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento La sera del 18/7 2009 ho la fortuna di assistere con mio figlio Armin ad una conferenza del mito delle Dolomiti Bellunesi,alias franco Miotto. Chi non lo conosce DEVE leggere il libro che racconta le sue gesta, “La forza della Natura” e chi lo conosce deve leggerlo ugualmente. Un mito. Che piaccia o no come tutti i personaggi da frontiera. Il mio alpinismo che mi piace definire esplorativo si nutre dell’incognito cui vado incontro privilegiando spesso luoghi misteriosi, selvaggi e dimenticati. E come non muoversi subito dopo verso le terre alte dove lui ha scritto sulla roccia e sui viaz le pagine della sua leggenda. A dire il vero era tempo che ci pensavo ma sempre ho più progetti che possibilità di realizzarli e a tornare in quei luoghi dopo la puntata attraverso la Val del Piero di tanti anni fa col Mot, non ci ero più riuscito. Ho deciso, salirò il Burel la sua montagna simbolo dove ha lasciato indelebili tracce delle sue arrampicate con alcune imprese anche invernali che restano epiche. Certo io mi accontenterò della via normale, ma salire lassù sarà comunque probabilmente avventuroso ed emozionante nel ricordo dei grandi che hanno tracciato vie impossibili sulle pareti inaccessibili che sbucano kilometriche dalla Val de Piero e Val Ru da Molin. Due giorni dopo il 20 di luglio è il giorno. Alle 6 del mattino sono già pronto per salire le scale (loc. Casa de la Vècia 450 m), che direttamente dalla Statale Agordina, sul fondovalle del Cordevole, tra le località di 'La Stanga' e di 'La Muda', (chiari riferimenti ai luoghi di sosta delle diligenze lungo la strada per Agordo) danno il via alla salita. Poco dopo, supero un vertiginoso ponticello che permette di attraversare la profonda e fotogenica forra del Vescovà. Il sentiero prende a salire sempre molto ripido e sostenuto, non vi sono tratti di tregua. Dopo circa 20 minuti esco sulla lunghissima stradina sterrata (otto chilometri e ottocento metri di dislivello) proveniente dalla Costa dei pinei e che dovrò noiosamente seguire fino al rifugio. Ogni volta che la ripercorro, mi sembra sempre più lunga, decisamente monotona sale con poca pendenza e larghi tornanti, tra alte pareti rocciose e il fondo della valle, conducendo infine alla bella radura dove la valle si apre e dove si trova il rifugio Bianchet al Pian dei Gat (m.1.300), sul versante nord della Schiara (m.2.563). Ci arrivo alle 8 e il panorama è monopolizzato dal versante nord della Schiara con l'evidente monolite della Gusela del Vescovà (gusela=ago) che prende il nome proprio da questa valle. Insolitamente, entro nel rifugio per chiedere qualche informazione visto che ho notizie molto scarne sul percorso ma la ragazza al banco quando le nomino Burel strabuzza gli occhi e capisco che è meglio andare a cercare la strada nel bosco. Dalla fila di cartelli scelgo di seguire il 503 verso il Bivacco della Bernardina sotto la Gusela e m’inoltro nel bosco incurato a farmi largo in tracce di sentiero spesso nascosto da piante cadute e mai più tagliate…cominciamo bene penso se già la situazione è questa appena fuori dal rifugio… Oltre il bosco ed una zona di bassi arbusti ci si addentra nel Van de la S’ciara. Il sentiero per un tratto sale sulla destra sotto il contrafforte delle Pale Magre e contornandone la base,ora su terreno aperto, torna a sx. Lo seguo sapendo che ad un certo punto io devo prendere a dx ed entrare nel valòn de le Camorze: un ometto presso un rugo asciutto (h1 dal Bianchet) che si apre su un vallone mi fa sperare che sia la svolta giusta e la conferma mi arriva subito dopo quando appare alta e splendida la caratteristica forcella del Balcon (finestra naturale squadrata nella pietra). Mi inoltro nell’erboso vallone che tiene immediatamente fede al nome perché mi appaiono subito camosci che corrono nell’erba e poco dopo che giocano sul nevaio che precede la chiusa della valle sotto la finestra. Risalgo il vallone e noto un altro camoscio che mi osserva dall’alto proprio a fianco del Balcon: sembra invitarmi a raggiungerlo ma forzare l’accesso diretto mi sembra troppo impegnativo e allora rimonto le rocce laterali a sx e alle 10 sono al colle della finestra: vista impressionante sulla parete verticale simile ad uno scudo delle Pale Magre. Dall’altra parte è apparso il cupolino rotondo della testa del Burel e si vede la strada che andrò a percorrere successivamente. Faccio un paio di foto all’arco da sotto e dentro e poi riprendo il cammino vs la mia cima. Dalla finestra salgo per tracce fino ad una spalla con erba dalla quale si vede il catino ghiaioso sotto il Burel (Van del Burel). Faccio una splendida foto ad un papavero giallo cresciuto fra le rocce calcaree e seguo la la traccia che scende per poi risalire per ghiaie e roccette all'evidente forcella alla sinistra della cima (Forcella Tissi; attenzione che dall'altro versante non si scorge il fondo...). Sono le 11 e ormai la cresta di cima è poco sopra di me. Dalla forcella tendo a destra (ometti) per andare a prendere un caminetto (I), con bolli rossi, poi una diagonale verso destra su una cengetta e un altro canalino su rocce rotte, mi portano direttamente in cima (2281 m), dove mi fotografo alle 11.15. in cima un ometto di pietre calcaree proteggono il barattolo di vetta: tutto molto semplice e spartano come questa vetta isolata e solitaria merita. Guardo vs il Coro che appare come visto da un aereo per via delle nuvolette che riempiono l’immenso vuoto che da lui mi separa e anche sondando vs le Pale Magre mi chiedo dove potrà mai passare il Viaz di Miotto in quelle lande laide verticali repulsive ostili. E la costa dei Castelaz che unisce i loro due mondi. Dalla parte del bellunese, verso le Pale Alte e Basse invece le nubi la fanno da padrone e coprono di mistero il passaggio su quelle creste. Anche lo Schiara appare e si nasconde fra gli sbuffi di vapore e ame non resta che scendere con l’idea di andare a vedere se riesco ad intercettare il Viaz dei Camorz e dei Camorzieri che dovrebbe passare sul versante della Forcella del Balcon opposto a quello da cui io sono salito. Raggiungo nuovamente la forcella del Balcon e scendo vs l’ignoto: terreno scabroso ma non difficile ma mi sembra un po' di cercare un ago nel pagliaio e tracce non ce ne sono. Esploro il terremo avvicinandomi alle Pale Magre, la Val Ru da Molin sotto di me, è un abisso verde che ricorda le foreste lussureggianti del Borneo, capisco perfino da così in alto quanto debba essere impraticabile quel tipo di terreno che ne garantisce l’isolamento e il confinamento. Ad un certo punto mentre sto scendendo e mi chiedo come proseguire…improvvisamente appare. Un sasso in mezzo all’erba con l’inconfondibile segno del Viaz: banda rossa e gialla accostata. Mi prende l’emozione, sono commosso, sono sul Viaz..anche se di fatto il sentiero non c’è e null’altro si vede oltre questo sasso che continuo a rimirare incredulo. Alzo lo sguardo e ragiono sul fatto che il sentiero dovrebbe traversare in quota e allora ne cerco il logico proseguio almeno come quota e direzione. Sono le 12.45 e mi muovo in direzione del monte Coro, traverso subito due canaloni che precipitano rocciosi verso le profondità della Valle Ru da Molin e intravedo sulle verticali loppe sotto le Pale Magre una sorta di traccia di passaggio: forse ci siamo. Si ogni tanto trovo una traccia il cui calpestio ha resistito all’abbandono e qualche segno talvolta anche se nelle zone prative non ne trovo; quando ho dei dubbi proseguo in orizzontale cercando di interpretare i passaggi a seconda della morfologia prossima e futura della montagna. I passaggi sotto le Pale Magre sono fondamentalmente su loppe verticali molto insidiose perché scivolose e parecchio inclinate. Capisco ora il perché dei mitici..(ne comprerò in seguito un paio) “fer de tac”, dei piccoli ramponcini da attaccare alla suola posteriore dello scarpone per aumentarne la tenuta su questi scivoli erbosi che danno sull’abisso. Entro in una sorta di bolla, fuori dal tempo che mi scorre accanto mentre io sono tutto intento a “sentire” i passaggi e a non rischiare di uscire dal percorso perché qui significherebbe rischiare di brutto. Ad un certo punto mi trovo su una traccia piccola ma evidente in cui poggio a fatica gli scarponi fino a quando diventa così esile che per farci stare il piede sx, dovrei abbracciare il muro verde verticale alla mia dx. Mi fermo incredulo col fiato grosso…ma non è possibile che prosegua qui e tanto meno che finisca così. Non ho il coraggio di fare il passo successivo, perché veramente rischierebbe di essere l’ultimo. Mi giro indietro col viso ed è evidente la traccia che sto seguendo..decido allora di tornare e trovare un punto più consono alla riflessione. Per farlo non ho neanche la sicurezza di girarmi su se stesso e retrocedo all’indietro per qualche passo fino a poter appoggiare entrambi gli scarponi e tornare a respirare normalmente. Osservo il terreno e nonostante non mi piaccia, mi sembra che l’unico tentativo a disposizione sia quello di affrontare il muro quasi verticale erboso e provare a vedere oltre. Rifletto sulle probabilità che ho di scivolare sull’erba e fermarmi sull’esile cengetta dove mi trovo: scarse. L’allarme interiore si è acceso e prendo a guardare dubbioso la paretina erbosa di 2/ 3 metri che dovrei affrontare e a tastarne la solidità dei ciuffi (loppe, sono erbe lunghe e secche che afferrate a fasci…tengono) cui dovrei sostenermi per progredire vs l’alto. Devo provarci, DEVE essere di qua. Salgo calciando gli scarponi sull’erba quasi stessi scalando su ghiaccio e rapidamente mi porto oltre, col cuore in gola in una zona meno ripida…ma soprattutto trovo un segno ed erompo in un urlo liberatorio di gioia che porta qualche secondo di vita in queste terre selvagge ed ipnotiche. Ce l’ho fatta, ora la traccia sembra a tratti salire per andare a prendere la costa dei Ciastelaz, cresta d’unione fra le Pale Magre e il Monte Coro. Quando ad un tratto, esco dalla zona impervia e affronto una normale lotta fra pini e mughi e mi rendo conto di avere i piedi ben saldi su terreno semplice, esco dalla bolla e guardo l’orologio(15.20)rendendomi conto del tempo che è passato in questa mistica e vertiginosa traversata. Faccio una foto e la vita ritorna a scorrere con i suoi ritmi più blandi. La costa dei Ciastelaz è solo intricata perché il bosco ne ha ripreso possesso ma non presenta difficoltà se non quella dell’orientamento anche se fondamentalmente, quando è possibile, si tratta di seguirne la cresta. Nei tratti a cielo aperto torno a respirare a pieni polmoni e mi volto indietro ancora timoroso per quello che ho fatto. Alle 15.45 arrivo ad un masso sul quale è inchiodata la targhetta con cui Miotto segnala l’inizio del tratto alpinistico non attrezzato. Per me significa fine dei guai perché io da lì arrivo e ora per completare l’opera non mi resta che seguire il facile e per gli umani sentiero che porta al Coro. Sono alla Forcella del Boral de l’Ors(1750 mt), antico valico di collegamento fra la Val vescovà e la Val Ru da Molin. Caratteristici pinnacoli rocciosi e una sorta di lunare piccolo Canyon mi permettono di accedere alle praterie erbose sommitali di questa montagna che precipita comunque anch’essa con pareti verticali, solcate da altri viaz sulle valli sottostanti. Il sontuoso e incredibile spigolo del Burel emerge dalle nuvole che si sono nel frattempo addensate rendendo cupa e greve perfino l’atmosfera in questo luogo tranquillo. Capisco che è uscito apposta per salutarmi e ringraziandolo commosso ricambio con belle fotografie. Grazie. Grazie veramente. Ormai sono in cima, vedo già l’alto e bellissimo filiforme ometto di cima(1985 mt.) e alle 16.15 mi sdraio sull’erba coperta di rododendri esausto, felice e un poco incredulo per il dono e la sorpresa che questa giornata mi ha rivelato. Prego e ringrazio nel silenzio del mio cuore e quando riapro gli occhi le nebbie hanno avvolto tutto, come se calasse il sipario dopo una magnifica recita. Ma non c’è malinconia, solo questa vita che attraversa noi stessi con tante fasi diverse che danzano insieme tenendosi per mano. E tante volte non ce ne accorgiamo. Mi siedo e resto. In silenzio ad assaporare il vuoto e il nulla che mi circondano e queste nebbie che giocano a rivelar e nascondere, intrecciandosi ai miei pensieri. Poi bisogna scendere perché i lampi illuminano il cielo ma della luce rimane solo il ricordo. Ripasso alla forcella e scendo in Val Vescovà, ritorno alla civiltà incrociandone alle 17 antiche vestigia abbandonate nei pressi di ciò che rimane della Casera Ciastelaz. Pietre accatastate in equilbri rotti dal tempo, ortiche , profumi di una vita non c’è più e di cui sento rimpianto. Quando l’uomo non era migliore ma viveva in contato con la Natura.
Ripasso davanti al Rifugio e alle 19 sono in fondo alla Val Cordevole, immerso nella gioia.
Foto 1 camoscio e Balcòn Foto 2 in cima la Burel Foto 3 segnavia del Viaz

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