Home Gallery
Reports
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Mountain Bike
Archivio
Itinerari
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Fenio...menali
Forum
Ricerca
   Alta Via dei Monti del Sole, 19/09/2020
Inserisci report
Onicer  oscarrampica   
Gita  Alta Via dei Monti del Sole
Regione  Veneto
Partenza  Le Rosse Alte  (550 m)
Quota arrivo  450 m
Dislivello  2100 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  biv. Valdo
Attrezzatura consigliata  corda per sicurezza
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Famiglia in vacanza, io al lavoro. Nonostante i turni covid molto assidui ritaglio 2 gg liberi(8 e 9 agosto) per una fuga che decido essere dolomitica. Ho appuntamento coi monti del sole per terminare l’alta via iniziata e non conclusa con mio figlio Giona circa un mese fa. Fa caldo in pianura, riposo male ed ogni volta che la sveglia suona non ho voglia di alzarmi: capisco che metto a rischio il programma di questa due giorni ma mi arrendo alla stanchezza e mi alzo tardi quando il sole ormai è alto. Parto comunque più per inerzia che per entusiasmo. Il viaggio è assurdo con molta coda in autostrada sotto il sole cocente e arrivo a Le Rosse alte, nella valle del Mis, sopra Belluno che è già mezzogiorno e mezzo. C’è un caldo e un’afa impressionante e mi avvio poco dopo. Parto di buon passo con i pantaloni lunghi per proteggermi dalle zecche e nei tratti in falsopiano e discesa, corro per recuperare il tempo perduto. L’obiettivo è di riuscire ad arrivare a d una delle grotte bivacco per dormirci e poi l’indomani completare il giro. Quando dopo i saliscendi iniziali comincia la salita vs Casera Nusieda comincio a faticare e sudare copiosamente, la stanchezza mi paralizza i quadricipiti che sembrano anestetizzati. Mi fermo spesso e non capisco cosa ci sia che non vada. Grondo di sudore, ma non mi sembra di stare male. Mi pongo come obiettivo quello di arrivare almeno a Casera Nusieda, un’ora di buon passo. Ad un certo punto mi blocco all’ombra, guardo l’orologio che mi dice sto camminando da tre quarti d’ora e sono ancora basso di quota. Mi prende lo sconforto e mi siedo pensando a cosa fare. Quando mi rialzo convinto di salire almeno fino alla casera, faccio un passo in salita e poi mi giro vs valle. Scendo triste ed accaldato pensando che non m’era mai capitato nulla di simile in tanti anni di onorata carriera alpina. Rotolo a valle senza nessuna intenzione d’invertire il senso di marcia e ho in mente solo di tornare a casa, provare a dormire e vedere di riuscire a salvare almeno la giornata di domani. I brevi strappetti per tornare all’auto confermano le mie condizioni pietose. Alle 14.15 sono all’auto in una calura infernale: un enorme cervo bruca nel prato e osservandomi poco intimorito mi permette di fotografarlo. Quando torno a valle in macchina rifletto sul fatto che ho tre ore e mezza di viaggio per tornare a casa e allora balena in me l’idea di salire nella mia casetta di Caprile (1 ora di viaggio) e vedere domani cosa fare. Mi fermo a mangiare un gelato e il fresco al cervello mi spinge a risalire la Valle Cordevole. Vado a dormire pensando che quando mi sveglierò deciderò cosa fare. Alle 18.30 apro gli occhi, vado a fare la spesa, cucino, esco a far fotografie nella sera che cala sul Civetta e passeggio finchè scurisce. Alle 22 vado a letto con un progetto ambizioso: alzarmi prestissimo e provare a fare il giro in un giorno solo. Calcolo i tempi e penso che se non perdo tempo, potrei farcela. Alle 3 mi alzo, faccio colazione, e parto da Caprile vs Le Rosse. Il cervo è nel bosco e lo fotografo nel buio della notte. Alle 4.30 parto tranquillo e timoroso visto cos’è successo ieri. Finiti i saliscendi arrivo al bivio fra sentiero normale e attrezzato e provo a prendere il primo, visto che non l’ho mai fatto, ma mi sembra poco battuto e scelgo la sicurezza della conoscenza. Salgo attento alle condizioni: non mi sento brillante ma neanche in crisi. Poi mi coglie l’entusiasmo quando esco dal bosco nella radura di Nusieda Alta: è l’alba e in quel luogo incantevole mi rendo conto che sono salito in un ora soltanto ed è una bella iniezione d’entusiasmo. La giornata di ieri è alle spalle. Scappo via veloce prima che si sveglino le zecche ed entro nel boschetto faticando a trovare la partenza del sentierino che da destra piega poi verso sx e poi man mano che salgo entro in un mondo nuovo perché la nebbia nel precedente tentativo, copriva tutto. Alle 6.45 fotografo il Sass de Peralora indorato dal primo sole e poi la vista si appoggia gaudiosa sullo splendido Zimon de Peralora che mi viene incontro. Foto anche ai Pizet alle mie spalle e poi il sole m’inonda e m’abbraccia in cresta, poco prima di abbassarmi nel bosco da traversare in orizzontale e rispuntare sulle grandi banche chiuse all’orizzonte dal paretone della Palaza. Alla mia sx bianche e bellissime placche calcaree rendono mirabile l’incedere. Bellissimi passaggi su cenge che s’allargano sul vuoto sottostante, conducono sempre orizzontalmente al punto in cui il sentiero aggirata una quinta rocciosa da sull’immaginifica Val de le Coraie che appare in tutto il suo selvaggio e primordiale splendore. Prima però il sentiero svolta repentino vs l’alto ad angolo retto vs sx, e s’avventura per saltelli fino ad uno stretto canalino scuro ed umido che precede un salto impegnativo di qualche mt di III° grado dove il cavetto toglie dagli impacci dell’umidità. Poi un saltello più semplice e infine quello che oppone un piccolo muretto con un passo di secondo non semplice che da poi sul ripido erboso dove si va ad agguantare una catena che toglie dagli impacci e che non si capisce perché non scenda fino all’ultimo saltello che sprotetto rappresenta il punto più delicato secondo me di tutta la traversata perché volando lì si rotola giù con conseguenze pericolose. Ci si issa fino alla fine del canale e si riguadagna l’aria aperta e la posizione eretta. I in pochi minuti tra rocce e mughi si perviene al Forzelon de le mughe (1756 mt.). Sono le 8 di un radioso mattino di sole, la vista è immensa vs ovest e libera può spaziare vs le Pale di San Martino e il pugnale del Sass Maor. Io sono al valico, il punto più basso della dorsale che unisce il Zimon de Peralora alla mia sx e il Fornel alla mia dx,in estasi per tanta bellezza. Scendo per tracce e pochi segni sul versante occidentale cercando di ricordarmi qualcosa della volta prima. Mi abbasso sotto le pareti del Fornel, dove il sentiero torna a farsi evidente, per poi passare sotto gli scudi del Mont Alt e puntare vs la forcella del Col dei Sech. Si arriva prima ad una sorta di anfiteatro dove il sentiero sfugge nella costa verde a sx e dove la volta prima sbagliammo. Poco prima delle 9 sono alla forcella dove ci fermammo con Gio e dove causa nebbia non riuscii ad individuare la svolta a dx: ora è tutto più facile anche se terminato il canalino franoso in discesa come al solito i segni sono parecchio sbiaditi e la traccia non evidentissima. Si arriva immediatamente al traversino esposto ma non difficile anche per l’ausilio del cordino metallico a cui a dire il vero è meglio non fare troppo affidamento: ma i piedi poggiano abbastanza bene. Uscito dal tratto sul baratro la scena è presa dall’immenso giallo della Croda Bianca che si avvicina imponente. Il sentiero, spettacolare, corre sulle banche verdi che sorreggono le verticali pareti e il giallo muro copre tutto il campo visivo fino a quando stanco di fotografarlo lo contemplo alto sopra di me da dover torcer indietro il collo. Superatolo richiama comunque lo sguardo a controllarne la presenza e la forma che muta. Sguardi meno oppressivi ad ovest regalano le punte calcaree del Piz Sagron e del Sass de Mura che fiammeggiano dietro i tondi profili dell’Agnelezze o la mole possente della parete est del Pizzocco. Continuando a traversare si arriva ad un muretto roccioso ma molto articolato ed appigliato che scavalco senza problemi se non quello del capire esattamente dove passa la linea del percorso e che ad un certo punto mi apre la vista sull’altra parete della Croda Bianca. Mi prende allora la speranza di essere già al punto tecnico descritto nella relazione e la controllo, ottenendone conferma. Sono proprio sullo spigoletto ovest dove pochi metri di arrampicata mi hanno consegnato a questa costola rocciosa che tiene insieme le due pareti della Croda Bianca (o cima delle Coraie) che si aprono a ventaglio dal mio clamoroso pulpito d’osservazione: giallo a dx e grigio a sx per un tripudio cromatico veramente incredibile. Contemplo la bellezza, e il facile sentiero che per banche ghiaiose si dirige vs Forzela dela Caza Grande. Lo percorro in leggera discesa sotto la grigia parete fino a quando lo perdo di vista e continuando orizzontalmente nel mio incedere m’insospettisce il non trovar più segni, ma proseguo nella speranza di potermi abbassare successivamente. Intanto è apparsa lei, la montagna regina e più bella della zona (e non solo), la camaleontica e multiforme cima del Bus del Diaol che da qua appare come uno sperone lanciato vs il cielo. Dietro di lei, si contendono la piazza d’onore le più massicce ma non meno eleganti Cima del Camin e le Stornade. Raggiungo un pulpito sopra la forcella ma raggiungerla necessiterebbe di un paio d’ali o di correr qualche rischio eccessivo. Mi ripaga dell’errore la vista che si apre vs le creste del Viaz e il dominante Burel. Si vede proprio tutto il percorso con i Pinei, i Sabioi e le Pale Alta e Bassa. Lontano ad est le cime dei Tamer mentre ad Ovest la fa da padrone l’Agner. Preferisco tornar sui miei passi alla ricerca della traccia perduta che ritrovo pigramente segnata da bollini rossi quasi invisibili che ad un certo punto si abbassano decisi per andare a dirigersi verso le sottostanti zone verdeggianti e risalire infine per tagli di mughi verso la mitica Forzela de la Caza Grande che si affaccia sul solco primigeno della Val de le Coraie. Sono felice. Calco luoghi e nomi leggendari che uniscono poesia a magia. Faccio un autoscatto. Sono le 10.30. saluto a malincuore la Croda Bianca possente nel mio sguardo all’indietro e muovo passi indecisi; le radici dell’eternità legano le mie gambe a questo suolo sacro e lo abbandono pensando a quanto ho sognato e faticato per arrivarci e alla contraddizione del lasciarlo così velocemente. Raggiungo immediatamente la grotta descritta nella relazione che trovo ancora più bella e spaziosa di come l’avrei desiderata, con zona cucina e notte. E che posto, faccio i pochi passi per accedervi ed è come essere su un balcone del paradiso. Qui mi devo proprio fermare: estraggo il cartoccio della pizza e mangio contemplando la visione delle creste del Viaz dei Camorz e dei camorzieri. Mastico in silenzio e con la mente sono sul viaz, sono là e sono qua, sono ovunque nella meravigliosa sensazione che il tempo diventi un unicum e come un setaccio filtri e condensi la bellezza per farmene dono. Non mi alzerei più. Ma per ora sono condannato al movimento, avremo tempi eterni a confronto per approfondire le gioie dello Spirito. Ora si scende ad ovest del versante di crinale e Il Bus del Diaol apre la sua grandiosa parete che dovremo traversare da sotto. Passo oltre il pendio che da sulla forcella dove inizia la Via normale sognando quando ci verrò per scalarla. Sotto di me la Val Coraie da il meglio di sè e sembra un incendio di pietra con tutte queste rocce che s’alzano dal suo fondo inesplorabile. Il sentiero traversa fondamentalmente in piano e alle 11.40 raggiungo un'altra grotta giaciglio. il mezzogiorno mi trova invece alle prese con un traversino franato. Non c’ è il vuoto sotto ma scivolare costerebbe caro e quindi affronto con apprensione questa paretina fortemente inclinata di scaglie che rimangono in mano quando le afferri e di appoggi che si sgretolano sotto la pressione dello scarpone: titubante ci provo in diversi punti ma sempre con lo stesso risultato. Fino a che lo scarpone non frana e riesco ad arrivare dall’altra parte. E’ una svolta sull’altro lato della montagna perché passo sotto l’enorme e semicircolare anfiteatro del Bus e arrivo a piani inclinati erbosi che dovrebbero essere il lasciapassare verso l’ultima mitica e aerea forcella di questa traversata, la Forzela dei Pon. Mi par di vedere la quinta rocciosa che dovrebbe coprire la forcella e invece ad un certo punto doppio uno spigolo e ho davanti a me la partenza di una cengia sufficientemente larga all’inizio ma con un primo passo di atterraggio che da sul vuoto. Fatto il passo, vado avanti titubante perché si restringe, perché non vedo segni e perché finisce in un piano inclinato franoso che poco mi convince. Sono teso, avrei voglia di farla finita con questa esposizione costante e il continuo dover cercare e sperare di vedere qualche segno. Mi fermo e credo di aver sbagliato qualcosa. Torno con prudenza allo spigoletto, lo risalgo e vedo un segno in alto che m’era sfuggito. Il sentiero giusto passava esattamente qualche metro sopra a dove m’ero pericolosamente cacciato. Affronto la nuova rientranza e stavolta si, sono sulle erbe dall’altra parte. Ancora pochi passi, supero in salita la quinta rocciosa e s’apre a cielo aperto la Forcella agognata. Sogno da tempo l’approdo ad un porto tranquillo e m’immagino di trovare finalmente un cartello che indichi il bel sentiero da seguire per scendere al Bivacco Valdo e la fine del mio peregrinare esplorativo che da tante ore mi conduce per passi incerti. Alle 12.45 faccio gli ultimi metri erbosi che precedono la soglia misteriosa. Un’altra grotta bivacco offre i suoi servizi, ma questa ha solo una stella. Sono in forcella, l’incredibile parete nordovest del Bus mi si profila davanti con la partenza della cengia irreale che la taglia penetrando attraverso i segreti della grande caverna centrale. Ma non è li che punterò, sono troppo stanco e ancora lunga la via del rientro perché non c’è nessun cartello e nessun sentiero. Questo è un altro posto dimenticato (non) da Dio e dagli uomini. Una frontiera per partenze ancor più improbe, una cima più che un passo. Non ho neanche voglia di spostarmi un poco vs la cima est dei Feruch per vedere meglio la parete, in miglior prospettiva. Sono cotto, il sole picchia come un maglio sulla mia fatica e avrei voglia di capire da dove scendere per rilassare un poco la mente. Vedo due segni che traversano in orizzontale, poi più niente e quando scendo un poco e rinvengo un ometto, capisco che come si dice, nella relazione del grande Mario Briotto che sto seguendo, scendere da qui sarà dura ed impegnativa. Per oggi basta e mi concentro sulla discesa, sono gli ometti a condurmi e ho paura di perdermi in questa marea di mughi e pietrame, e placche inclinate. Spesso devo ripercorrere i miei passi o correggere la via. Impegnativo dopo così tante ore: desidererei proprio rilassarmi e allentare un poco l’attenzione ma questo tratto è tecnicamente e per le difficoltà di orientamento ancor più difficile della traversata. Alcuni tratti sono quasi verticali e bisogna stare veramente attenti: il profondo solco della Val Feruch non va quasi mai avvicinato ma la banca alla sua dx dove corre la traccia di discesa è ampia, dirupata e basta non vedere un ometto per trovarsi a perder tempo ed energie. Mi succede diverse volte ma riesco sempre a ritrovar il piccolo caro cumuletto di pietre. Comunque si scende. Si passa un passo di un buon II° in discesa con caratteristico buco e si contemplano gli orridi laterali all’orrido principale. Scenari maestosi e primordiali, veramente qua l’uomo non ha mai modificato la severità dell’ambiente. E mentre volgendomi il Bus si staglia sempre più imponente e la forcella dei Pom sempre più lontana, all’improvviso una macchia gialla nel bosco dirimpetto attira la mia attenzione. Si è proprio il Bivacco Valdo anche se per raggiungerlo dovrò fare un bellissimo sentiero in cengia che a semicerchio e superando lo stupendo circo della Borala mi permetterà di raggiungerlo. Anche se con forte disappunto scendendo nel bosco ad un certo punto vedo inciso su un faggio la scritta BV con la freccia verso l’alto. Ma come ho fatto a superarlo? mi chiedo irritato. Per fortuna risalendo pochi metri noto sotto il fogliame il sentierino che arriva alla macchia gialla e alle 15.15 ci sono. Fugace sguardo al suo interno solo per meravigliarmi del fatto che quest’anno ci son salite tre persone. Son proprio luoghi impenetrabili per la maggior parte dei bipedi umani.
So che è ancora lunga prima di arrivare a valle e il sentiero è sempre simile a vaga traccia che gioca a nascondersi di tanto in tanto. Finalmente però ci si abbassa e si svolta vs sx per andare a prendere vs Nord la Val Soffia: ora il sentiero migliora e con qualche saliscendi si alza sopra la valle lasciandola sempre più in basso a dx. Qualche foto d’addio al Bus e poi l’intrigo dei Monti del Sole si chiude su se stesso rendendoli dal basso quasi indefinibili. Alle 17.30 arrivo alla magnifica fontana di Gena Alta dove bevo tutta l’acqua fresca che riesco. Saluto con una foto la triade Fornel Mont Alt Croda Bianca che da qua mostra la bellezza di entrambe le sue pareti che s’abbracciano allo spigoletto dove son salito ere e non ore fa. Alle 18 atterro in riva al lago del Mis dove decine di automobili e persone rompono l’incantesimo della magica solitudine. Mi avvio di gran passo a fendere la vociante moltitudine e guadagno la statale dove inizio a fare autostop. Non devo attendere molto che si ferma Alberto giovane appassionato escursionista con cui stringiamo amicizia e che si offre di riportarmi proprio dove 15 ore prima avevo lasciato l’auto, risalendo le stradine che portano a Le Rosse. Che giornatona! Attorno a mezzanotte sono a casa pronto (?) per il turno di domattina.
Foto 1 il Bus del Diaol Foto 2 io a forcella della Caza Grande Foto 3 il Bus del Diaol e la caverna
Report visto  2212 volte
Immagini             

[ Clicca sulla foto per ingrandire ]
Fotoreport