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   come una volta sul Col Pizzon, 28/04/2020
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Onicer  oscarrampica   
Gita  come una volta sul Col Pizzon
Regione  Veneto
Partenza  Pont dei Castei  (500 m)
Quota arrivo  1467 m
Dislivello  1000 m
Difficoltà  EE
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  ciaspe per la neve
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Di ritorno dalla Val Canzoi ne approffitto per andare a dare un occhiata al sentiero che dal Pont dei Castei dovrebbe partire in direzione del Col Pizzon. Ho dei dubbi perché è un sentiero in una zona interdetta e si parla spesso di tracce nella relazione di Giuliano Dal Mas. Alle 14.30 del 7/3 sono già alla sbarra che blocca la vecchia strada statale che scendeva vs Agordo(o saliva) passando dalla forra dei Castei. Ora il traffico scorre attraverso la galleria costruita per evitare l’angusto e spettacolare restringimento della valle. Ufficialmente non si potrebbe, ma i divieti in Italia, non incontrano molti favori. Parcheggio con discrezione cercando di non dare nell’occhio e mi avvio sull’asfalto. Camminare sulle strade abbandonate ha sempre esercitato su di me un fascino particolare perché è come esplorare un territorio dimenticato dove l’azione dell’uomo è annullata e dove i segni dell’intervento sono remoti o, se nuovi, legati a frequentazioni particolari. L’altro aspetto è il ritorno prepotente della natura che torna a prendere possesso delle infrastrutture infilando ovunque il suo esercito verde. Non fa eccezione la strada che percorro dove l’erba secca ha già infiltrato in tanti punti l’asfalto. Sorpasso il tratto franato e mai più ricostruito perché si è passati poi dalla galleria ed entro nella Tajada di San Martin, una roccia così levigata da sembrar tagliata e che costringe la strada a stringersi dall’altra parte della forra, lasciando spazio solo al torrente che ruggisce di sotto. Poi la curva spettacolare a 90° che da sul ponte ad archi noto come “dei Castei”. Un cartello vieta ai bipedi di traversarlo e dall’altra parte attendono qualche edificio fatiscente e una cantoniera in buono stato. La vista dal ponte è suggestiva essendo alto circa una ventina di metri. A sud, da sul Coro e la Schiara. Lascio le mie impronte sulla neve che all’ombra è rimasta. Appena oltre una serie di cartelli tematici segnano la Via dei Papi, o quella degli Ospizi. Il cartello Cai 874, indica Valchesina, forcella dell’Om. Transito per “el Pindol” un obelisco roccioso alto una trentina di metri e poi per una bella vasca di raccolta dell’acqua nella roccia. Ci sono tante gallerie, residui della vita bellica che aveva nel fortino di Sass Martin posto più in alto, il suo centro vitale. Segnavia diversi orientano vs il sentiero tematico che sto seguendo oppure per la via degli Ospizi che abbandono con i suoi segni ecclesiali. Dall’alto si hanno belle viste sul ponte e sulla gola. Alle 16.10 arrivo all’inizio delle tre gallerie consecutive che mi confermano il percorso. Pochi passi e la incontro, la salamandra che spesso trovo in questi ambienti dimenticati: simpatica, timida,quasi anestetizzata nel suo incedere al rallentatore.Foto con lei ,di rito e via. Nei tratti di raccordo tra un foro e l’altro si vede il serpentone del sentiero esterno che magari percorrerò in discesa. Uscito dal terzo e ultimo tratto traverso il ponticello in traversine di legno sul ru carbonere che precipita con un gran salto poco oltre dando origine ad una bellissima cascata. Provo a sporgermi con la paura di scivolare sulla roccia bagnata..il salto è veramente alto e ritraendomi noto uno spit per le calate . Dall’altra parte cascatella alta qualche mt crea invece una pozza verde smeraldo..peccato per il freddo! Proseguo e su un muro a secco prima di una svolta a sx, noto un vecchio cartello che indica Bus de le Neole. Proseguo e arrivo attorno alla quota 700 mt dove dovrebbe staccarsi dalla strada principale il sentierino che ridiscendendo al ru carbonere dovrebbe poi risalire il bosco in direzione del Col Pizzon. Come un cane da tartufo, scruto il bosco in cerca di tracce e finalmente dopo qualche tentativo arrivo dall’alto sulla probabile traccia giusta che era coperta nella sua partenza da un taglio di piante. Non è molto visibile ma si riesce a seguire finchè la discesa termina al guado. La traccia che prosegue oltre complice anche la poca neve non è facile da individuare ma dopo un paio di prove errate, riconosco il muretto a secco un po’ coperto dalla vegetazione e posizionando qualche ometto preparo il percorso per l’indomani. Salgo un poco per vedere se la traccia prosegue e inizio a scendere. Al ritorno prendo il sentiero esterno alle gallerie e a un certo punto mi infilo in un budello lunghissimo in cui mi devo aiutare col flash della macchina fotografica per vederci. Poi all’uscita mi disoriento e perdo nel bosco, salvo poi tornare sui miei passi e comprendere l’errore. Alle 18 sono di ritorno all’auto, felice per l’esito positivo della ricognizione. La mattina dopo, pensando al ritorno a casa, e a dover riordinar tutto dopo due settimane di leonkavallo non sono motivatissimo e mi sento anche un poco stanco dopo due settimane vissute intensamente all’aria aperta. Poi data una prima riordinata di massima alla casa, parto vs la mia meta e raggiungo il Pont dei Castei alle 8.45. Oggi ho con me tutto quello che occorre per una sfida totale alla neve: guanti, ciaspe e pantaloni impermeabili: sarà come una volta quando partivo lancia in resta per giornate passate a litigare con la neve più alta di me. Ripercorro velocemente il tratto di sentiero già svelato ieri e in mezz’oretta scarsa sono al guado. Ora inzia la fase 2. La traccia, abbastanza visibile, sale rapida a repentine svolte, alzandosi sempre più sul Ru delle carbonere e puntando come direzione vs Forcella della Caccia tra il monte Crot e il Col de Mez.
Salendo, la vista diventa grandiosa sulla triade di Framont e poi in un canalone perdo la traccia quando questa esce dallo stesso; è allora che vedo il camoscio brucare su una pala erbosa…mi guarda, sembra sorridermi e riprende tranquillo la sua colazione. Io ritrovo la traccia poco più sotto ed esco a dx dal canalone, inoltrandomi attorno alle 10 in un boschetto di faggi descritto nella relazione. E’ poco dopo che spostandomi vs sx si ha una meravigliosa vista sulla piana agordina: ora sopra di me a sx incombe la mole del monte Celo. Continuo a traversare ma poi nell’ennesimo boschetto non ho più la certezza di essere ancora sulla traccia e seguendo le indicazioni della relazione mi alzo vs una fascia rocciosa dove dovrei trovare vecchi segni gialli, che in effetti scorgo, ma che si rivelano licheni quando li raggiungo. Ormai non ho elementi di riferimento e decido di assecondare la relazione anche se poco più su mi ritrovo la strada sbarrata da mughi coperti di neve. Ormai è lotta per avanzare e decido di tornare sui miei passi: così facendo scopro un ometto sepolto dalla neve e mi fermo allora a studiare il piano di avanzamento. Sono le 11.15 e nell’ultima mezz’ora ho più o meno girato a vuoto nel sottobosco sommerso di neve. Osservo la parete boscosa sopra di me e decido di forzarla vs l’alto: la scelta si rileverà corretta perché circa mezz’ora dopo esco dal fitto sottobosco e approdo ad un boschetto di piccoli faggi che brillano al sole: il riflesso sulla neve è molto forte per me che arrivo dalla lotta all’ombra. Forse vedo la luce e non solo metaforicamente. Salgo infatti più agevolmente e quando alle 12.15 sono in una sorta di radura a circa 1200 mt di quota, cerco vanamente i resti di Casera Vecia… forse sono semplicemente sepolti sotto la neve o le piante cadute. Volevo anche avere una conferma di essere sulla via giusta…ma perlomeno ora sono su una sorta di terrazzo sopra i boschi dei versanti che mi contornano. Cammino e salgo comunque a fatica perché la neve diventa sempre più alta e frequenti sono le trappole in cui cado a causa gli attraversamenti su piante cadute. Poi finalmente alle 12.45, dal folto del bosco di piccolo fusto emerge un panettone boscoso che immagino possa essere la mia montagna. Gioisco in maniera contenuta, perché la strada sembra ancora lunga e non capisco se sia solo una traversata, oppure dovrò anche scendere per poi risalire. Intanto intuisco il solco della Val Pegolera alla mia dx, e appaiono i Feruch oltre. Traverso un vallone di piante precipitate l’una sopra l’altra cercando di camminare sugli enormi tronchi sepolti dalla neve attento a non precipitare di sotto, poi subito dopo un poggio che definisco della speranza e che mi costringe ad un naufragio nella neve altissima. In cima vedo che che ho da attraversare altre dune prima di arrivare allo sforzo finale…vabbè. Ma ormai ci siamo e dopo un ripido nel bosco al limite dei 60° affondo nella neve della sommità alle 13.30. La coltre abbondante e instabile non mi permette di sporgermi come vorrei vs il baratro della val pegolera sotto ai miei piedi e di cui non riesco a vedere il fondo: mi consolo alzando gli occhi al cielo occupato dai Feruch, dalle punte cime che li precedono(Antène, Cima Val del Mus) e poi a sx fino alle Stornade, alla Rochèta e poi traversato il canale d’Agordo il misterioso mondo delle cime unite da quel filo magico che è il Viaz dei Camorz e dei Camorzieri. E’ bello starsene quassù trastullandosi nei ricordi e a rimirare quella cresta infinita percorsa qualche anno fa e sognare nuovamente quel sogno. Alle 14 mi rimetto in moto per tornare e poco dopo trovo un segno rosso su un albero ma null’altro che faccia presagire un sentiero diverso e allora me ne torno dal mio che almeno conosco. Stessi su e giù, stessi sprofondamenti,ma ormai devo solo seguire il solco nella neve…con qualche difficoltà quando questa si abbassa ma alle 16.30 sono in pace con me stesso al Pont dei Castei, pronto al rientro dopo 14 giorni di quarantena alpina. Pronto?
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