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   sentiero orobie invernale, 17/03/2006
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Onicer  oscarrampica   
Gita  sentiero orobie invernale
Regione  Lombardia
Partenza  valgoglio  (1000 m)
Quota arrivo  2500 m
Dislivello  3000 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  calvi biv frattini
Attrezzatura consigliata  ciaspe
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Pessime
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Naturale evoluzione del nostro escursionismo esplorativo fu nelll’inverno del 1990 l’idea di lanciarci in un giro di più giorni e la scelta cadde sul tentativo di fare il sentiero delle Orobie. Partenza col Mot per Valgoglio e arrivo alle 22. Bicchierino al bar per scaldarsi le ossa inumidite dalla pioggerellina e poi notte in Alfasud cullati dal ticchettio della pioggia battente sulle lamiere dell’auto che ci ha tenuto compagnia per tutta la notte.
Il programma che avevamo pensato con Greg era quello di camminare circa 10 ore ogni giorno per 3-4 gg ma il nostro ritmo era inferiore a quello previsto perché rispettavamo il tempo di cammino ma facendo meno strada del previsto. Ci siamo alzato alle 6.30 e partiti un ora dopo sotto la pioggia che per frtuna è però poco dopo cessata. All’inizio gli zaini erano veramente pesantissimi e non vedevamo l’ora di fermarci a mangiare per alleggerirli cosa fatta alla Baita Cernello a quota 2000 dove abbiamo sostato dalle 11 alle 12 e poco dopo la sosta sulle rive del lago Resentino. Svetta bianca di neve la torreggiante cuspide del monte Pradella che ci osserva dall’alto per un bel pezzo.
Un lago dopo l’altro in questa prima escursione: dopo il Resentino incrociamo infatti il Sucotto ,il Cernello, il Campelli basso e alto, il lago nero e infine l’ultimo previsto quello di Aviasco posto sul fondovalle di declivi già coperti di neve. Siamo a quota 2070 mt e ci attende la salita ai Passi d’Aviasco posti a circa 2300 mt di quota e che raggiungiamo il primo alle 15 e il secondo alle 15.30 affacciandoci così sulla Valle dei Frati che percorsa in discesa ci porterà alla nostra meta serale. Il tragitto tra una sella e l’altra, è in ombra e cominciamo a sprofondare nell’inconsistente coltre nevosa fino alla vita sbaragliati oltretutto da un vento freddissimo che termina un poco di flagellarci quando iniziamo la discesa verso il Lago Colombo. Abbiamo impiegato mezz’ora per fare duecento metri quasi piani. Raggiungiamo l’invernale del Gemelli alle 17. Sugo ai funghi e e la gioia di scaricare tutto il cibo che avevamo in spalla . Poi serata sulla panca contemplare la bellezza della notte,un poco dilettura e poi a nanna in quell’incanto di invernale con tutti i comfort.
Venerdì mattina 2 novembre ci siamo messi in marcia alle 7.30 quando aveva appena smesso di nevischiare con l’intenzione di raggiungere il Rif. Calvi. Un bellissimo sentiero in costa,dopo un abella vista su Carona in basso nel fondovalle, ci ha guidato sulle rive del lago Sardegnana a quota 1740, che abbiamo raggiunto 2 ore dopo. Oltrepassato il bacino è cominciata una fitta nevicata che ci ha tenuto compagnia fino all’arrivo al rifugio dove abbiamo fatto sosta e pranzato dalle 11.30 alle 13. Ci siamo anche cambiati gli abiti inzuppati e siamo ripartiti sotto un cielo bigio che ogni tanto spolverava ancora di neve il paesaggio. Sulle rive del Lago Rotondo complice la nevicata abbiamo smarrito la via vs il Brunone e sono iniziate furiose liti e consultazioni frenetiche della cartina per cercar di capire la direzione. Poi finalmente siamo arrivati alle Baite del Poris, lieti di aver ritrovato la via alle 15.30.
La giornata nel frattempo si era rasserenata e abbiamo colto l’occasione per proseguire: il blu del cielo rifletteva sulle pareti ammantate di neve e a noi pareva d’esser in Himalaya , unici spettatori della meraviglia alpina che ci circondava. Mot forse per timore di perdersi nuovamente mi precedeva di molto e io faticavo a tenere il passo mangiando in continuazione. E quel passo Valsecca che s’apriva a quota 2500 fra le immense moli del Diavolo a sx e del Poris Grabiasca a dx sembrava non arrivare mai. Alle 16.20 passiamo dal laghetto Poris e non ci rimane che l’ultima rampa col sole alle spalle che ha iniziato il suo viatico vs il riposo notturno e pennellando d’arancione il pendio nevoso sul quale con sempre più fatica arrancavamo. Un ultima foto al cielo infuocato che riempie di meraviglia i nostri occhi e sensi e raggiungo un po’ trafelato Greg nel vento gelido del passo. Sono le 17.30 e sull’altro versante è già buio e solo la splendida luna piena che si è già levata garantisce un minimo di visibilità. Greg concitato m’invita a muovermi dicendomi di aver fatto appena in tempo a scorgere le lamiere del Bivacco Frattini sulla cresta, prima che fossero inghiottite dalla notte.
Greg si fa un poco prendere dal panico e preferirebbe tornare maio insisto dicendo che se l’ha visto possiamo raggiungerlo ad occhio. La luna piena permetteva una discreta visibilità per qualche metro: il globo giallo nel blu intenso della notte,il nero delle rocce e l’azzurro della neve erano i colori. Scendemmo con cautela nella neve alta un metro stando attenti di non prender la via del fondovalle.
Cercare qualche segno sulle rocce che talvolta bucavano il candore bianco era un po’ come cercare un ago nel pagliaio alla luce fioca della nostra piccola pila. Chissà dove passava il sentiero, mi chiedevo ad ogni passo che mi allontanava. Un silenzio immenso regnava mentre i profili scuri delle montagna circondavano il nostro timoroso incedere, ovunque lo sguardo smarrito si posasse. Mi sentivo piccolissimo…la notte era tutta nostra….forse eravamo noi. Gridavo al Mot di aspettarmi perché ero troppo stanco e i miei scarponcini ormai usurati da anni di lotte non reggevano più, scivolavo in continuazione tremando un poco per riavermi dallo spavento preso. Attraversando rocce in diagonale arrivammo ormai in prossimità della cresta: là qualcosa si sarebbe visto. Niente, solo buio nulla della nostra agognata visione ,solo un vento gelido e carico di nevischio a ricordarci quanto eravamo fuori luogo lì soli al buio. Mot disse che si doveva scendere e dopo qualche minuto lo sentii gridare: “ eccolo,eccolo”. Si era girato, mentre scendeva e se l’era trovato alle spalle, sopra di lui. Gli chiesi distanza e tempo necessario per raggiungerlo perché io non vedevo niente, mi sentivo stremato e volevo evitare di scendere troppo per poi dover risalire. 30 mt, 10 minuti, la sua risposta mente nuotavamo nella neve. Fortuna che ti sei girato, altrimenti chiossà dove finivamo , pensai ad alta vove e rompendo il silenzio. Come furono lunghi quei 10 minuti in cui dovetti superare l’ostacolo di una lastra ghiacciata posta proprio sotto la verticale del bivacco. Me la presi urlando col Mot che nella fretta di raggiungere la salvezza non mi gradinava coi suoi scarponi rigidi a sufficienza la neve indurita sulla quale i miei scarponcini non facevano presa sufficiente. Ad un tratto scivolaii e trasalendo mi gettai sulle rocce a lato riuscendo a frenare la mia caduta. Con rabbia e pazienza ripresi a salire e raggiunsi Gorio davanti alla porta di quello scatolotto arancione che era la nostra salvezza. Erano le 19. I vestiti bagnati e l’umidità sopportata tutto il giorno impedivano al freddo di abbandonare i nostri corpi debilitati e all’esile fiammella della bomboletta a gas di scaldarci un poco. Un'altra misera bomboletta lanciava qualche sprazzo di luce illuminando talvolta i nostri visi provati dalla stanchezza e silenziosi nell’ingurgitare quella brodaglia calda e fumante che avrebbe dovuto essere minestrone. E poi a letto sotto una montagna di coperte lanose più pesanti che calde con le ossa e i muscoli stanchi e le gocce di condensa che precipitano dal tettuccio metallico..che storia è mot se stanotte dovesse nevicare di brutto eh?..dissi prima di addormentarmi tanto per scherzare rincuorato dalla notte serena solo velata da qualche nube. Uno spiffero di vento e neve m’investì, brusco buongiorno delle 6.30 quando,sforzandomi, riuscii ad aprire un poco la porta del bivacco che sembrava bloccata. Non si vedeva nulla fuori oltre un biancore fosco ma era evidente che c’erano ameno 20 cm di neve fresca. A fatica dall’interno riuscimmo ad aprire un poco di più il bivacco per poter uscire e spalare la neve nei dintorni. Dopo colazione era ormai giorno ma la visibilità rimaneva nulla. Tutto bianco sopra sotto e ai lati: di tracce di sentiero manco a parlarne e si trattava allora di scegliere da che parte andarsene sperando di evitare salti e burroni. Quei luoghi che poi mi sarebbero diventati familiari erano allora ancora avvolti dal mistero. Tra l’ipotesi di precipitare direttamente dai lati della cresta di Valsecca e quella di provare a seguire la traccia sulla cartina vs il Brunone e poi scendere a valle, optammo per la seconda. Facile il primo tratto immersi nella neve ma poi raggiunto il torrente che ci doveva guidare a valle era veramente dure stare in equilibrio sui sassi coperti di neve e col rischio di cadere in acqua ma del resto non si vedeva altro e seguire il corso d’acqua era l’unica possibilità. Poi cambiammo strategia perché alcuni salti erano troppo pericolosi e rimontammo il vallone dove il fiumiciattolo ansimava inghiottito dalla neve. Ma poi anche questo secondo tentativo divenne sempre più ripido e la paura di precipitare o svalangare a valle erano scongiurati solo dai provvidenziali appigli che gli arbusti offrivano generosamente nella selva nevosa nella quale eravamo andati ad incastrarci. Comunque tra rami in faccia, botte sulle gambe o sciviolate sul sedere un passaggio lo si trovava sempre e lo annunciavamo al compagno. Navigavamo a vista in un oceano bianco indefinito, accorti a non scorgere all’improvviso il baratro davanti a noi e consapevoli che ormai c’eravamo persi ed eravamo nelle mani della natura. I contorni erano abbastanza inquietanti ed erano ore che la tortura continuava. Ad un certo punto mi son fermato a pregare e poco dopo gli avambracci che bruciavano per la tensione continua del tenersi a rami ed arbusti, han ceduto e prendendo velocità ho iniziato a spaventarmi, ma fortunatamente dopo pochi metri il volo si è dolcemente arrestato. Avevo male dappertutto, la mano graffiata e dolorante e pensai che non ce l’avrei fatta ancora per molto ma subito mi misi ad urlare a Mot che era finita, che forse eravamo a terra, che il terreno attorno a me era finalmente piatto. Pochi attimi dopo percorsi due trecento metri in piano,eravamo al riparo dalla forte nevicata che nel frattempo era ripresa, sotto un grande masso della piana dell’Asen che avremmo ricordato come il Sasso della Salvezza. Stanchi, fradici,affamati, ma felici come fossimo in Paradiso.Eravamo salvi, dopo averne a lungo dubitato. Ritrovato anche il sentiero che passava alto sopra il greto del Fiumenero che stavamo seguendo nel suo impetuoso scendere a valle assistemmo al progressivo diradarsi della coltre nevosa che lasciava ora spazio a meravigliosi boschi di faggio e larice che coi loro colori tardo autunnali tra giallo rosso verde e marrone interruppero la trasmissione del fil m in bianconero che ci aveva ormai storditi. Dopo la neve il freddo il gelo tornavamo insomma alla vita, percorrendo in discesa la Val Negra.
Avevamo impiegato solo due ore e mezzo a scendere dal Frattini alla Piana dell’Asen ma era sembrata passare un eternità. In un tripudio di colori col bianco che rimane in alto arriviamo a Fiumenero alle 14 e in modo sentito preghiamo e ringraziamo davanti ad una cappelletta dedicata al Cristo delle Vette in memoria delle vittime della montagna. Foto 1 io nella conca del calvi
Foto 2 tramonto al passo di valsecca Foto 3 mot vs la Val Negra

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