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   Monte Matto, 11/04/2015
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Onicer  rozzoschi      
Gita  Monte Matto
Regione  Piemonte
Partenza  S.Anna  (1000 m)
Quota arrivo  3094 m
Dislivello  2120 m
Difficoltà  BS
Esposizione in salita  Varia
Esposizione in discesa  Varia
Itinerari collegati  nessuno
Neve prevalente  Trasformata
Altra neve  Trasformata
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Eccellenti
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento ABEMUS MATTO: 11-04-2015

Non me l’aspettavo così bello. Pensavo più lungo, noiso e poco sciistico anche dopo il Soprano. Eppure, prima o poi era doveroso tornarci, soprattutto perché il Matto, aveva una storia senza eguali:

Correva il 5 Aprile 2008, quando mi ero fatto ripetere da un simpatico garista il nome di quella cima bitorzoluta che aveva attirato subito la mia curiosità non solo per la forma particolare ma anche per il nome: Il MATTO. Quel giorno di cui ricordo ogni minimo particolare essendo una prima personale scialpinistica in terra occitana ero con il suocero ciaspolaro per l’ambita meta del Passo di Bravaria con partenza dai Bagni di Vinadio. Da inesperto bighellonatore più da bassorilievi che da erti pendii gironzolavo con un panino con frittata alle cipolle e dissetante aranciata, ad orari da merenderos, pensando che l’ARVA fosse un’appendice del modulo lunare usato da Neil Armstrong, che la pala si usa solo per il letame mentre la sonda un aggeggio per ispezionare le arterie intasate di trigliceridi. Idem rampant e ramponi fossero qualcosa che usavano solo gli esperti per le cose “pericolose” e che le valanghe succedevano solo sul Monte Bianco o su qualche montagna di quota oltre i 4000 metri. Quel giorno, il germe della “doppietta” era già insito al dilettante, tant’è che una volta raggiunto il Passo di Bravaria dopo tre (!) ore di patimenti ero attratto da una specie di cavalletta umana che oltre ad essere vestito in maniera ridicola (fuseaux aderenti un po’ fru-fru) mi pareva stesse facendo una pazzia: rimetteva le pelli dopo essere appena sceso da una bella pala lì di fronte la cui cima scoprirò una volta raggiunta essere lo Steliere. Il Franco di Aisone, così si presentò il tizio, dietro mie insistenze mi fece la toponomastica del buon montanaro: ricordo che mi aveva indicato la Meja (perché assomigliava alla Grignetta) e l’Argentera (grossa e larga con nome facile), e poi il Monte Matto. Come il Matto? Chi è Matto? C’è qualche Matto in giro? Si si quelle due “poppe” laggiù sono il Monte Matto liquidandomi un qualcosa in “piemontensis linguae” che interpretai come: devo tornare a casa a mangiare l’ossobuco e ne ho abbastanza di far da guida turistica.

Non passa nemmeno un anno, e il 14 Marzo 2009 sono pronto al grande passo. 7-8 gite ski-alp, quindi il doppio dell’anno precedente, mi avevano dato convinzione di essere ben allenato e pronto per affrontare quel “po’” di dislivello e altrettanto “po’” di avvicinamento. “Stai all’occhio”- mi disse il mitico “gestur” Livio Bertaina​ -: “solo ad arrivare al rifugio sono 2 ore buone e quasi 8 km di sviluppo!!”. Alle 5:30 in una S.Anna di Valdieri illuminata a giorno dalla luna capisco subito le potenzialità di queste catene montuose attaccate al mare con quantità di neve inimmaginabili a “noi” del nord. La salita è subito tremenda e degna di una mega ravanata orobica con motosega appresso, attraversando ruscelli, mega valanghe e incontrando esemplari di “capras ibis” in decomposizione. Alle 7:30 il sole era già alto ricordandomi di essere in ritardo di quasi un’ora sulla tabella di marcia con le vesciche che incominciavano a farsi sentire dopo i lunghi traversi a mezza costa di avvicinamento al Sottano. Nonostante l’entusiasmo indotto dalla rude bellezza del luogo e dagli aghiformi imbrattati di neve a quote inusuali per le Orobie (2200-2300 m), al Sottano qualche convinzione iniziava a vacillare perché capisco che la salita dovrà svilupparsi tutta a dx e non all’ombra come pensavo guardando a tavolino le foto disponibili in rete. Poi una bella banana piantata nello stomaco, 30 cm di farina a 2100 m e quindi un superzoccolo faranno si che i sogni di gloria s’infrangessero più o meno al colle della Valletta. Facile dar colpa alle evidenti contingenze, eppure quel giorno è stato il primo vero contatto con l’isolamento antropologico condito da completa inesperienza alle “scammellate-solitarie” montane. Il silenzio assoluto e sapiens-sapiens non pervenuti disorientavano un po’ tant’è che con la coda tra le gambe son sempre rimasto a tiro dell’unico effettivo insediamento umano del Rifugio Livio Bianco non superando quindi quota 2450 m su una specie di morena glaciale a un tiro di fionda dal colle della Valletta.

Va detto che gli almanacchi ricordano che c’è stato un secondo tentativo, abortito all’imbocco del Soprano per nebbia, bufera e rumori sinistri, datato 26 Aprile 2010. Ricordo ancora l’espressione compassionevole del Livio alla vista del forestiero con sci ai piedi e ombrello in mano destra e il sacchetto per le rane a sinistra mentre varcava la soglia del rifugio ordinando una pentola di thè per immergere le proprie membra in principio di congelamento.

Il Matto è la quint’essenza della scelta di un’uscita con gli sci in montagna. Devono essere valutati tutti i “quattro” fattori che generalmente portano alla scelta di un pendio nevoso che dopo qualche anno di esperienza riassumo in: Gamba&Salute, QuotaNeve&Pericolo, Meteo&ZeroTermico e chiaramente il Tempo (in ore).

Oggi per una casualità galattica tutto è andato per il verso giusto, oppure tutto è andato per il verso giusto perché una gita come il Matto la si gode di più se fatta con i 3 amici di scammellate che anche oggi si son divertiti tutti come dei Matti. Appunto.

Oggi con quelli che in Marittime ci vivono: Giorgio, Francesco e Mariano.
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