Home Gallery
Reports
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Mountain Bike
Archivio
Itinerari
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Fenio...menali
Forum
Ricerca
   oltre lo Zinalrothorn..., 15 Luglio 2007
Abbiamo parlato spesso ultimamente di cartucce… cartucce grosse, dicevamo… alla fine, dall’arsenale disponibile abbiamo puntato le nostre attenzioni sulla teca riguardante il Vallese. La cartuccia è pesante, l’obbiettivo veramente lontano ma confidiamo nelle nostre armi, sappiamo di poter centrare il bersaglio nonostante i messaggi di annunciata disfatta inviati dalle truppe svizzere…
















































Dopo una lunga stagione fatta di uscite in giornata con levate improbabili stavolta ci troviamo in viaggio con ben tre giorni davanti. La traversata l’ha partorita Lorenzo, io l’ho solo leggermente modificata. Salita alla Rothornhutte, via normale allo Zinalrothorn e da questo traversata in cresta allo Schalijoch scavalcando le Punte di Moming e lo Schalihorn, Schaligrat al Weisshorn e discesa a Randa attraverso la via normale lungo la cresta est. Programma ambizioso, al limite della ragionevolezza. Mentre percorriamo in treno il tratto che ci separa da Zermatt parliamo della logistica e dei tempi. Non contano i nomi delle cime e dei passi, conta solo la nostra resistenza. Lo zaino ci schiaccia sul bellissimo sentiero che conduce al rifugio, il sole ustiona il collo, la luce infastidisce le pupille, il vento fresco rende sopportabile tutto ciò. Mentre saliamo lo sguardo va ripetutamente al fianco sudorientale dello Zinalrothorn, abbondantemente innevato, cerchiamo di individuarvi in esso una traccia inesistente. I gestori del rifugio erano stati sibillini , condizioni non buone, too much snow. Quando arriviamo al rifugio un paio di cordate scendono dal ghiacciaio. Chiediamo loro notizie confortanti, riceviamo picche: due tedeschi ritornano dalla normale allo Schalihorn senza neanche averlo raggiunto, ci raccontano di neve molle e profonda, di una Schaligrat abbondantemente innevata ed inavvicinabile. L’altra cordata aveva ribattuto sullo Zinalrothorn. Too much snow! Poche anime al rifugio in una spettacolare serata di metà luglio. Atmosfera familiare al tavolo dove George, guida alpina di Losanna, serve a noi due ed al suo cliente la minestra. Chiacchiere, risate, poi i programmi per il giorno successivo. Occhi sgranati. Lo Scalijoch pare essere irraggiungibile, le Punte di Moming luoghi esistenti solo nella fantasia di antichi topografi. Poche anime, una dozzina,quasi tutti indirizzati alla salita dell’Obergabelhorn che un impavido alpinista solitario ha tracciato in discesa, proveniente chissà da dove. Quasi tutti, tranne George e Domenico intenzionati ad effettuare la salita dello Zinalrothorn per scendere poi alla Cabanne du Mountet attraverso la classica nordgrat. Il percorso rispecchia il nostro fino alla “spalla” dello Zinalrothorn e il fatto che una guida locale abbia intenzione di intraprenderlo confortato dalle notizie ricevute dal versante di Zinal è senz’altro positivo. Il tramonto sul gruppo del Rosa e sul Cervino è stratosferico. Parliamo con il rifugiata riguardo la nostra meta dell’indomani … occhi sgranati…colazione anticipata obbligatoria. Good luck!

02:30, la sveglia interrompe un sonno appena caduto nel profondo. Ci prepariamo rapidamente e cerchiamo di ingoiare qualcosa che sappiamo risulterà fondamentale nell’evolvere della mattinata. Usciamo, pestiamo la neve… merda, è pappa! Seguiamo la traccia dei due tedeschi, inesorabilmente sbagliata. Ce ne accorgiamo presto ma proseguiamo ancora un pochino prima di staccarci in modo deciso e risalire in verticale il ghiacciaio. Siamo in giro da mezz’ora ed è già una pena. Non è il modo migliore per iniziare, stupido… avevo fatto lo stesso errore quando salimmo lo Zinalrothorn anni fa con Rob. Stavolta è peggio, ma ci vuole ben altro per mutare lo stato d’animo. Raggiungiamo la parete del contrafforte, riconosco il passaggio, la neve facilita la risalita del canalino. Segue una traversata su roccette e placchette sfasciate sulle quali scorre abbondante l’acqua di fusione dei nevai soprastanti. Raggiungiamo il primo nevaio e troviamo li, evidente, la certezza che non troveremo tracce oggi su questa montagna. Sprofondiamo fino alla coscia nel ripido traverso verso la costola detritica. Quando la raggiungiamo gli sfasciumi ci paiono manna dal cielo, si va. Dopo pochi metri la costola si fa più marcata e la neve più compatta. Finalmente si procede come circostanza comanda, George e Domenico ci raggiungono all’altezza del nevaio perenne che si traversa in mezzacosta. Ci ringraziano per il lavoro svolto e se ne vanno, abbassandosi verso la Rothorngrat. Ma come? E noi che speravamo ci dessero il cambio alla traccia. Vabbè, dovremo cavarcela da soli. Siamo ormai alla caratteristica cresta nevosa che precede la massiccia cuspide rocciosa finale. Ci leghiamo da conserva lunga. Durante le manovre il mio borsello del pronto soccorso prende il volo… no cazzo! Addio Aulin e aspirine. La traversata verso il ripido canale nevoso che conduce al Gabel è in queste condizioni abbastanza infida, si prosegue dapprima sulla cresta che diventa affilata, poi si traversa in mezzacosta esposto su esili gengette rocciose innevate e placche ghiacciate. Chiodi e cordoni non mancano in questo tratto e in più Lorenzo integra adeguatamente. Abbiamo una montagna di materiale. La risalita del canale non comporta particolari problemi. Al Gabel possiamo concederci una breve sosta, in vista del tratto roccioso finale. Le placche Biner si presentano pulite da neve e l’arrampicata è resa sicura dalla presenza di luccicanti spit misti a chiodi. La cresta finale aerea e con passi interessanti ci consegna alla vetta. Non perdiamo tempo e muoviamo i passi sulla bugiarda cresta nord, dapprima nevosa, poi ripida e rocciosa, poi ancora con caratteristici passaggi quali quello della Sfinge e del Rasoir. Pare essere una faccenda veloce, invece impiegheremo oltre due ore per risolverla, aiutandoci anche con due brevi corde doppie dove indispensabile. Siamo finalmente alla Epaul du Zinalrothorn, classica meta scialpinistica della valle di Zinal. Lo Zinalrothorn da qui mostra orgoglioso l’affilata cresta appena percorsa. Siamo all’incirca a metà del nostro viaggio. Risaliamo una china ghiacciata e con attenzione scendiamo verso nord il successivo ripido pendio, verso la cresta sud della Punta meridionale di Moming. Non abbiamo informazioni su questo tratto di traversata. Dobbiamo prendere le decisioni necessarie volta per volta, scegliere le regole del gioco. Un errore potrebbe compromettere la riuscita. Il momento chiave della giornata… decidiamo di aggirare la punta sud abbassandoci sul suo lato occidentale tramite il suggestivo ghiacciaio sospeso incredibilmente innevato. Osservo immobile Lorenzo che pian piano tende la corda per saltare la terminale, entriamo in terre sconosciute. Una volta superata quella terminale non torneremo più indietro di qua. E’ un’immagine che resterà per sempre fissa nella mia memoria. La corda tesa e Lorenzo che traccia deciso nella neve alta. Un mondo nuovo, un nuovo modo di vedere la montagna, abituati come siamo a conoscere tutto di quello che facciamo mi trovo un attimo in soggezione pressato da un ambiente che ostenta infinito potere nei nostri confronti. Ma riconosco pure, ancora meglio adesso, i mezzi di questa cordata! Puntiamo la base del ripido canale ghiacciato che scende dal Colle di Moming. La progressione mi risulta veramente faticosa sprofondando ad ogni passo fino al ginocchio e con un dolore alla nuca provocato da sto cazzo di zaino pesante come se dovessi stare in giro per le Alpi 10 giorni…
Arriviamo alla base e scavalchiamo la terminale. Per non far mancare niente ci infilo dentro entrambe le gambe. Cristo, se vado giù faccio fare uno scivolone della Madonna al socio… fortunatamente il pendio non presenta difficoltà, una prima parte a 50° su ghiaccio e tutto il resto in neve sui 45/40°. Dal Colle inizia la parte più faticosa ed infida di tutta la traversata, su esili creste incorniciate, delicate traversate su pendii sfasciati e canalini ghiacciati. La maggior difficoltà è prettamente psicologica. Faccio fatica a disarrampicare a corda tesa, Lorenzo è nettamente più veloce e spesso devo chiedergli di rallentare. Quando non si è abituati a procedere per ore e ore in conserva protetta su cresta la concentrazione a lungo andare diviene logorante. Una voce mi scuote… e’ difficile. Sti grandissimi cazzi, tra me e me… meglio se mi sveglio. Lorenzo procede e protegge in funzione del suo secondo, proprio in corrispondenza della cima del Moming. Una cengia nevosa, un diedro da risalire per poi spaccare a sinistra. Si passa bene… che culo! Inizia la discesa verso l’ Hohlichtpass su terreno sfasciumato . Lorenz… fermiamoci qui sulla cresta, abbiamo abbastanza ore di luce per creare un riparo e poi sto morendo di sete, sciolgo mezzo ghiacciaio e me lo bevo… ma Lorenzo non sente, non può sentire i miei pensieri. In vista dello Schalihorn, ultimo ostacolo alla nostra traversata vedo il socio sedersi e recuperare a mano la corda. Parliamo. Sono le quattro e mezza… discutiamo, valutiamo… il pendio è sufficientemente pericoloso per impiantare solidi dubbi sull’opportunità di posarci il piede…può bastare, torniamo al rifugio per la normale dello Scalihorn! Al rifugio? Minchia ero talmente preso dai ragionamenti che non avevo neanche preso in considerazione questa possibilità. Ormai la traversata è compromessa, non abbiamo più il margine di sicurezza minimo da noi stessi inconsciamente imposto. Ci fermiamo a mangiare qualcosa dopo 14 ore di marcia praticamente ininterrotta. Siamo felici, sappiamo di aver fatto qualcosa di grande e di aver fatto, soprattutto, la giusta scelta. Adesso sarà solo fatica fisica, a mente libera con la bocca impegnata a masticare neve. Discutendo della qualsiasi e lasciandoci affascinare dalla spettacolare severità dell’Hochlichtgletscher battiamo traccia a turno ai piedi del maestoso versante orientale dello Zinalrothorn. Chilometri ghiacciati di pura fatica fino a toccare forzatamente la cima dell’Aschhorn, ridiscenderlo sul versante opposto e mettere piede sul Rothorngletscher. Siamo adesso in territori noti e il piatto ghiacciaio trascorre abbastanza velocemente tra molteplici scatti ai colossi infiammati dalla luce del tramonto. Ritornati al rifugio dopo 18 ore di viaggio i gestori si mostrano cortesi nei riguardi dei due italiani ed offrono loro da mangiare. Noi facciamo il pieno d’acqua ed accettiamo volentieri un giaciglio. Gli alpinisti presenti al rifugio ci confortano cogli occhi sgranati mentre spieghiamo loro il nostro ritardo. La notte trascorre tra mille pensieri poco sonno e tanta sete. La mattina seguente la rifugiata ci offre un passaggio a Zermatt in elicottero…decliniamo e ci congediamo sorridenti, il resto saranno due ore di bella passeggiata fino alla stazione, un ottimo pranzo alla trattoria della dogana di Iselle e decine di fotogrammi di questa entusiasmante esperienza rivissuti assieme durante il viaggio di ritorno.


Partecipanti: LorenzOrobico ed io
by Domonice